Domenica prossima, 26 febbraio, si concluderà, dopo un lungo percorso, il Congresso del Partito Democratico, con la scelta – tramite primarie aperte – del futuro segretario.
Si sono ormai scritti fiumi di inchiostro su questo appuntamento, che appare veramente ultimativo per il futuro di questa forza politica. O le si darà un disegno leggibile, una credibilità, una leadership adeguata, o la prospettiva appare problematica. Il giudizio di tanti elettori è sospeso: potrebbero tornare, o abbandonare per sempre.
Del resto, dal Partito Democratico non ci si aspetta mai poco, un piccolo cabotaggio, una mera gestione del potere e delle (ormai scarse) poltrone rimaste. Il PD è nato, quindici anni fa, geneticamente pensato per assolvere agli obiettivi alti dell’innovazione del Paese, per realizzare le riforme strutturali e costituzionali di cui esso aveva e ha ancora, e da lunghissimo tempo, enorme necessità.
Partito Democratico: un bilancio storico
Se si guarda a questo “compito storico”, a questo “destino”, esso è sostanzialmente irrisolto. Il PD ha governato a più riprese il Paese – mai con maggioranze nette – ma la Repubblica Italiana resta invischiata in un bicameralismo indefinito, un sistema elettorale ambiguo, un modello fiscale complesso e largamente iniquo, una giustizia lentissima, e così via sui tanti temi di riforma incompiuta che ben conosciamo.
Ci sono tante attenuanti per il PD: in primis la strutturale difficoltà di autoriformare un sistema in corsa, dall’interno dello stesso e con vincoli “ereditari” pesantissimi (deficit pubblico, inefficienze e ridondanze della pubblica amministrazione, fragilità istituzionale ecc.). E “gli altri” non hanno certo fatto meglio, spesso limitandosi ad una gestione del potere e ai temi in grado di produrre facile consenso. Come se solo alla sinistra competesse di migliorare strutturalmente il Paese e le sue istituzioni.
Si può aggiungere che il PD ha governato e governa bene tanti poteri locali. Cosa sicuramente vera, ma oggi meno di un tempo, con appena 4 regioni governate su 19, mentre per i comuni, malcontati per la presenza di tante liste civiche, si parla di circa una metà.
Ma in ogni caso, nel merito essenziale, il compito che si poneva il disegno politico del Lingotto – per citare il celebre discorso fondativo veltroniano del 2007 – non è stato raggiunto, per il bene del sistema-Paese. Ed è questo giudizio che rimane chiaro nell’elettorato. Impedendo al PD di andare al di là di quella quota, ormai strutturalmente inferiore al 20%, di elettori che si “sentono” di sinistra, che “appartengono” per motivi culturali, personali o familiari, e che solo per questo, o per mancanza di alternative credibili, non abbandonano la traballante barca democratica.
Il compito del Congresso 2023
Quello che tocca fare ora, quindi, è tirare una riga e capire come rifondare/rilanciare un soggetto politico capace di una progettualità in grado di tornare credibile per il prossimo decennio: i tempi infatti non sono brevi. E forse è meglio così: il 2027 può e deve essere un primo riferimento, ma forse toccherà guardare al 2030 e oltre per tornare a vedere una forza di sinistra al governo di questo Paese.
Con questa consapevolezza, sarebbe importante che il congresso in corso, quasi concluso (manca in pratica solo lo “spareggio” finale tra Bonaccini e Schlein, ai “gazebo”) si ponesse oltre le beghe ordinarie di dominio interno tra vari gruppi, e affrontasse una prospettiva di largo respiro, di progetto, di strategia.
Ci sta riuscendo? In parte sì, con una leggera ripresa della vita e del dibattito dei Circoli, ma in ogni caso con numeri infintamente inferiori a quelli di qualche anno fa. Importante vedere quanti andranno alle Primarie, ma i 3 milioni e più del 2007 (Veltroni) o del 2013 (Bersani/Renzi), appaiono lontanissimi.
Qui però ci concentriamo sulla qualità del dibattito, delle idee, delle strategie, andando rapidamente a scorrere i “programmi” congressuali dei due sfidanti finali: Bonaccini (che ha raccolto nei Circoli più o meno il 53% dei consensi) e Schlein (attestata attorno al 35%).
I programmi dei due candidati segretari
Scorrendo i progetti politici dei due principali competitor alla segreteria del futuro PD, i temi importanti ci sono tutti, come sempre. Non stupisce: i programmi politici, oggi, sono sempre “costruiti” a tavolino, da sherpa attenti a non dimenticare quello che ognuno si aspetta di leggere, e soprattutto a non toccare temi potenzialmente urticanti e divisivi, capaci di far perdere consenso.
Di conseguenza, le contraddizioni tra le due proposte non sono mai enormi, e occorre concentrarsi su alcuni elementi distintivi – di contenuto o di linguaggio – per cogliere alcune differenze sostanziali, che comunque non mancano.
Le proposte di Bonaccini
La “mozione Bonaccini” è la più ampia e articolata. “Energia popolare per il Pd e per l’Italia” (questo il titolo) attraversa in nove capitoli i principali temi necessari per rifare del Partito Democratico ancora/di nuovo una forza popolare, radicata, ma capace di tornare al governo del Paese. Rilanciare, ripensare, ma senza distruggere.
L’obiettivo di riconquistare il governo nel 2027 viene chiaramente posto, con una chiave “interclassista” (come si sarebbe detto un tempo) giocata sul tema del lavoro, visto da Bonaccini come la vera sfida politico/organizzativa del partito, come il terreno in cui tornare a parlare non solo ad operai e lavoratori dipendenti, ma anche agli autonomi, ai professionisti, ai piccoli e grandi imprenditori. Insomma, l’idea di un nuovo «contratto sociale» costruito attorno a diritti, modernizzazione e lavoro, come fondamento del Paese e del disegno politico di ritorno al governo dei Democratici.
Si è osservato che la parola “sinistra” nel testo programmatico di Bonaccini è frequente (12 volte), con 5 ricorrenze anche per “centrosinistra”, mentre molto forte è il richiamo a misurarsi in alternativa alla “destra” (citata invece ben 52 volte, e mai nella forma “centrodestra”): insomma, la sua mozione è chiaramente inserita nell’idea di rimettersi in competizione contro l’attuale maggioranza, per il Governo del Paese.
Nel “pantheon” bonacciniano – altro interessante indicatore di posizionamento della mozione – ci sono subito citazioni di Berlinguer e Moro (le icone “classiche” di riferimento di chi vuole garantire un Pd multiculturale e di “centrosinistra”), con Sandro Pertini e David Sassoli a immediata conferma di questo. Si passa poi per Liliana Segre (su democrazia e libertà), Naomi Klein (sui temi ambientali), un sorprendente Alexander Langer (per pace ed Europa) e soprattutto un non banale Adriano Olivetti (sui temi dell’innovazione), a riprova finale di una particolare attenzione della mozione all’imprenditoria “sana” e socialmente responsabile.
Sul tema delle alleanze, infine, per tornare al governo, la mozione è chiarissima e insieme elusiva: ora non se ne parla. L’alleanza da ritrovare – classicamente – è quella con elettori e cittadini: del resto si parlerà nel 2027.
La proposta di Schlein
La “mozione” Schlein accentua sicuramente il tema del cambiamento radicale del PD. “Verso un nuovo PD” è uno dei capitoli di apertura, e il titolo stesso (“Parte da noi”) indica che l’obiettivo di “cambiare insieme il Partito Democratico” – altro capitolo della mozione – è il baricentro della candidata alla segreteria.
Molto accento viene dato anche ai temi della dignità del lavoro, con toni sicuramente meno attenti alle esigenze di economia e imprese rispetto a Bonaccini, e una visuale più centrata sulle tutele sociali e individuali dei lavoratori, specie di quelli più esposti alla precarietà.
I temi della transizione green – peraltro largamente presenti in entrambe le mozioni – sono un’altra colonna portante della mozione Schlein, con un’idea molto attenta ad accompagnare tutta la società in questa “conversione”, facendone un’occasione di nuove equità – anche a livello globale – e non di nuove divisioni e diseguaglianze.
L’idea è molto “francescana” e, in effetti, la prima citazione esplicita della mozione tocca proprio alla Laudato si’ di papa Bergoglio, con un richiamo all’idea di ecologia integrale. Nel “pantheon” delle citazioni della Schlein entra poi l’urbanista franco-colombiano Carlos Moreno, teorico delle città vivibili e compatte. Ma ci si ferma qui: nessuno spazio per “padri nobili” e riferimenti di storiche aree culturali della Prima Repubblica e fondativo del progetto ulivista e democratico.
Dal punto di vista semantico, infine, il termine “centrosinistra” compare solo 2 volte, e sempre citato in contesti volti a individuarne limiti e responsabilità agli occhi dei cittadini. In chiave prospettica si usa sempre e solo il termine “sinistra” (10 volte). Il concetto di “destra” e “destre” ricorre 25 volte; mai “centrodestra”, e mai “fascismo”. Anche per lei nessun chiaro cenno a temi di alleanze e coalizioni, se non generici richiami a non dividersi per motivi di tornaconto elettorale, trovando piuttosto gli elementi comuni.
Il profilo di un futuro partito
Chiunque esca vincitore – anche se il vantaggio di Bonaccini nei sondaggi è nei Circoli appare chiaro -, il profilo del futuro Partito Democratico dovrebbe avere chiari tratti comuni. Un partito attento alla transizione green del Paese, intenzionato a non frenare su questa sfida, coniugandola coi temi dell’innovazione digitale e produttiva, della ristrutturazione sociale e industriale nel senso dell’equità. Una sfida culturalmente chiara, ma non facile da gestire, specie generando esiti sociali positivi e non difficoltà al sistema produttivo.
In parallelo tra i candidati – con sfumature leggere – l’enfasi su sanità e istruzione pubblica, sui diritti civili, sulla necessità di sistemi lavoristici e fiscali più equi. È questa la piattaforma con cui ripresentarsi agli elettori, soprattutto per riconquistare il voto di operai e lavoratori, di cui il PD si riconosce chiaramente orfano, in entrambe le mozioni. C’è la consapevolezza che una base sociale tradizionale si è in parte dissolta, specie nelle periferie e nelle aree interne, rimanendo più salda nei centri urbani e nelle classi medie e medio-alte.
Ma basterà ribadire e perseguire questa piattaforma, tutto sommato abbastanza “classica” nella sinistra italiana ed europea, per realizzare l’auspicato rilancio? Basterà il richiamo ad una rinnovata coerenza ai valori – che affermano tutte le mozioni – per ritrovare la fiducia degli elettori delusi? E si riuscirà a far risaltare questa coerenza, mentre si fa opposizione o si governano poche realtà regionali?
Anche se la piattaforma classica di sinistra è declinata da entrambe le mozioni con vari spunti innovativi – dedicati ai giovani, al futuro green, alla rivoluzione digitale – l’impressione è che alcuni temi di fondo continuino ad essere inafferrabile e irrisolti nell’analisi politica corrente delle forze di sinistra, non solo nel PD e non solo in Italia.
Lavorare per recuperare lungo la faglia lavoro/diritti è essenziale. Tuttavia, occorrerebbe capire una volta per tutte se si vuole o no riconoscere uno statuto ai nuovi lavori “liquidi” tipici dell’era digitale, che non sono solo lavori poveri e sfruttati, anzi (pensiamo a chi vive di trading, di commercio elettronico, di influencing, di mestieri industriali e commerciali che non esistevano ancora pochi anni fa). Come li si vuole recuperare, questi lavoratori, spesso giovani, ad una logica di tutele e di solidarietà sociali, mentre appartengono soprattutto al mondo delle competenze personali e individuali?
Ancora: come si può tornare ad essere efficaci su entrambi i poli delle faglie centro/periferia e aree urbane/aree interne? Come si può, davvero e non a parole, arrestare il declino evidente e strutturale della scuola pubblica, o di una sanità ormai sempre più diseguale tra chi può e non può spendere? Tutti temi su cui serviranno decenni per sanare i danni arrecati dalla prolungata carenza di medici formati, dalla caduta di credibilità sociale della professione docente e dell’istituzione educativa in generale…
E da ultimo, nella politica della comunicazione, la “nuova” sinistra saprà essere efficace quanto la destra e i populismi, che nella semplificazione e nei toni duri dei social trovano un loro habitat naturale, mentre le ambizioni di articolazione del pensiero e dell’analisi sociale, tipiche della sinistra, finiscono sistematicamente oltre i 240 caratteri di un tweet…
Sono solo alcuni dei temi su cui sarà necessario tornare, da parte del futuro segretario, e non solo, perché non tutto si può risolvere con un percorso congressuale, per quanto prolungato. Sono sfide epocali.
L’impressione è che assai più che il Congresso, coi suoi esiti, conterà il “dopo”, conterà la lucidità e la lungimiranza con cui, una rinnovata (si spera) classe dirigente nazionale saprà ricollocare una forza di sinistra al cuore di sfide sociali che non assomigliano più, neanche lontanamente, a quelle in cui la sinistra è nata storicamente, o si è unita – quindici anni fa – nel progetto politico di centrosinistra del Partito Democratico.