Il grande vizio intellettuale dell’economia moderna è quello di creare l’illusione che le transazioni siano reali, mentre tutte le altre cose (compresa la stessa realtà) lo sono solo a un livello inferiore.
Il denaro dovrebbe essere a servizio e non il legislatore delle nostre vite. Essenzialmente, si tratta di uno strumento – e questo è tutto.
Riconoscere che i sistemi economici sono creazioni umane e non sistemi naturali governati dal «flusso del capitale» (insieme a tutte le altre metafore nautiche di basso livello di cui gli economisti sono così innamorati), sarebbe un passo importante verso la configurazione di un sistema più equilibrato e ugualitario.
Quale società vogliamo?
Chiedere che tipo di società vogliamo, e solo poi determinare cosa vogliamo che il denaro faccia per noi, significa rimettere finalmente il bue davanti al carro.
Anche le critiche al sistema capitalista cadono nell’errore di considerare le transazioni economiche come la realtà primaria. Generalmente si afferma che il sistema capitalista non è sostenibile perché si basa sull’assunzione di una crescita infinita (e con ciò si intende un consumo senza fine) in un mondo in cui le risorse sono finite, limitate.
Questo approccio è fuorviante. Il capitalismo si basa, infatti, sulla crescita delle transazioni, e le transazioni non sono la stessa cosa del consumo. Le attività finanziare, ad esempio, sono transazioni che consumano pochissime risorse: di solito, si tratta di pochi bits di informazioni digitali. Pagare per della fisioterapia è una transazione, per la quale non è necessaria la consumazione di praticamente nessuna risorsa.
Miti di un’economia fattasi religione
A causa dell’accresciuta efficienza nell’industria primaria e nelle imprese secondarie, nelle economie sviluppate è possibile registrare uno spostamento verso i servizi e le cosiddette «imprese della conoscenza» (che non opera in ragione di una mancanza, poiché il sapere può essere venduto o condiviso anche senza essere perso da colui che lo possiede).
Questo ha condotto alla de-materializzazione, suggerendo che se vi è un consumo eccessivo delle risorse questo avviene perché abbiamo creato dei sistemi basati sulla creazione di scarti. Si può riconfigurare tale condizione avendo a disposizione un sistema nel quale le transazioni salgono, mentre l’esaurimento delle risorse limitate decresce.
Un altro mito creato dall’economia contemporanea è l’affermazione che i mercati hanno sempre ipso facto ragione; e che, se solo i governi si togliessero dai piedi, la gente si auto-organizzerebbe da sé in una specie di utopia materialista. Come tutti i migliori inganni, anche questa affermazione ha un nocciolo di verità.
I mercati si auto-organizzano, infatti, e sembra che essi abbiano una sorta di intelligenza collettiva che è maggiore della somma delle parti. Quantomeno a livello locale, i mercati sono delle attività sociali che, per larga parte, producono un bene generale.
È vero anche che i governi possono essere insensibili davanti a interessi collettivi o individuali, e che possono produrre inefficienza a causa di un eccesso di burocrazia. Ma chiunque abbia lavorato in un’azienda o impresa privata sa benissimo che questa non è una prerogativa esclusiva del settore pubblico.
La non divinità del libero mercato
Non appena le affermazioni inerenti i benefici senza tempo e irrefutabili del «libero mercato» vengono esaminati criticamente, allora il loro gioco di prestigio intellettuale diventa sufficientemente chiaro. Il capitalismo moderno (qualsiasi cosa esso sia, appunto) esiste al massimo da un paio di secoli.
Allo stesso modo, la chiara dicotomia «mercati vs. governi» è o debole o fallace. È vero che parte del comportamento del mercato si auto-organizza, ma per poter funizionare i mercati hanno bisogno anche di una serie di norme esterne – e questa è la funzione del governo pubblico.
Nel caso dei mercati finanziari, che consistono solo in norme, questo diventa ancora più chiaro. Le istituzioni pubbliche provvedono alla fondazione essenziale di un quadro normativo, anche se (come è accaduto nel corso delle cose che hanno portato alla crisi finanziaria globale) a banche e traders privati, che ci hanno raggirato usando il trucchetto della «deregolazione finanziaria», è stato concesso di inventare le loro proprie ed esclusive norme sul denaro.
Che i governi e le istituzioni pubbliche siano stati conseguentemente ritenuti responsabili per la crisi finanziaria globale, dice solo quanto tutti siamo risucchiati nel gorgo capitalista.
Oligopoli e concetrazione della ricchezza: come truffare il resto del mondo
Un altro mito è che il capitalismo si basa su mercati liberi. Il capitalismo globalizzato, che forse sarebbe meglio indicare come «corporatism», è ben altra cosa da quella libertà che Adam Smith aveva intravisto. In realtà abbiamo a che fare con degli oligopoli che controllano i mercati attraverso una miriade di tecniche manipolative ultra-veloci – molte delle quali sono extra-legali (ossia bypassano i governi).
Se vogliamo avere un’idea di quanto siano deboli i governi davanti al capitalismo globalizzato, basti sapere che l’8% del capitale globale è ben al sicuro in paradisi fiscali offshore.
La truffa chiamata «transfer pricing», per cui le imprese transnazionali e globali riportano dei guadagni in posti dove non sono previste tassazioni dei profitti così da non dover pagare le tasse nei pesi in cui essi sono stati di fatto ottenuti, è così comune e ad alto volume che il movimento di denaro interno a imprese di questo genere super di 2/3 quello che riguarda le transazioni internazionali di denaro.
Ecco come stanno davvero le cose: gran parte del cosiddetto «commercio» tra nazioni diverse è in realtà la manipolazione dei bilanci interni da parte delle grandi corporation.
Siamo stati ingannati da teorie economiche insensate o inaccurate nel credere che qualcosa creato da noi, il denaro, rappresenti una realtà primaria. Questo ha reso sempre più arduo percepire la crescente fragilità dei sistemi economici moderni, e l’esigenza di trovare qualcosa di nuovo e diverso che prenda il loro posto.
Articolo ripreso dalla rivista dei gesuiti australiani Eureka Street (originale qui), nostra traduzione dall’inglese.