Nelle ultime settimane la legge elettorale sembra uscita dalla condizione di letargo in cui l’inerzia delle forze politiche l’aveva confinata. Dopo il referendum costituzionale di dicembre e la pronuncia della Consulta sull’“italicum”, pareva la cosa più urgente. E invece è subentrata una fase di stasi che non trova una spiegazione ragionevole se non, appunto, in una condizione di paralisi dell’iniziativa politica.
Ora, invece, tutti gli ingranaggi si sono rimessi in movimento e l’opinione prevalente è che, volendo, si potrà andare a votare addirittura in autunno con un dispositivo di elezione nuovo di zecca.
“Se volete votare…”
Pare anzi che proprio la presa in considerazione del voto in autunno 2017, anziché alla scadenza naturale di febbraio 2018, abbia costituito il fattore di accelerazione più persuasivo.
Per uno di quei paradossi che segnano il corso delle vicende politiche, a determinare lo scatto è stato il personaggio, il presidente Mattarella, più convinto dell’esigenza di rispettare il calendario fissato dalla Costituzione.
Tempo addietro, tramite i presidenti dei due rami del Parlamento, egli ha trasmesso un messaggio molto chiaro alla platea vociante dei gruppi parlamentari e dei partiti, specie di quelli trincerati sulla linea del voto subito: perché io possa sciogliere le Camere, dovete produrre una normativa elettorale il più possibile organica e condivisa.
Il monito presidenziale interessava soprattutto i soggetti che più intensamente chiedevano di andare alle urne quanto prima: le destre “sovraniste”, il Movimento5Stelle e, oltre il vincolo di solidarietà con il governo (Gentiloni stai sereno…), lo stesso Pd.
La ri-carica di Renzi
Tutto è apparso più chiaro dopo la conclusione del congresso dei democratici e la rielezione di un Matteo Renzi più che mai determinato a riprendersi quanto prima il posto di comando a Palazzo Chigi.
Ne era sintomo evidente la creazione di una “cabina di regia” in sede di partito che tallonasse l’azione programmatica e politica del governo; e con essa le sortite pubbliche del leader su aspetti dell’attuazione del programma dell’esecutivo o su spunti offerti dalla polemica politica, ad esempio sui vaccini.
Tra parentesi: pare difficile per un presidente del consiglio convivere con il… sostegno del proprio partito, quando un segretario lo esercita in modo così pressante. E, d’altra parte, dal quadro generale andava rimossa qualsiasi ipotesi di accensione di una dialettica tra capo del governo e segretario del partito. Chiusa parentesi.
Tre mosse essenziali
Tornando alla legge elettorale, bisogna comunque riconoscere che, una volta tornato in sella, Renzi ha manovrato con grande perizia.
Tre le mosse essenziali. Innanzi tutto, si è sbarazzato del “testo base” elaborato dal presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera e l’ha fatto sostituire da una proposta sostanzialmente diversa (il così detto “rosatellum” (dal cognome del capogruppo Ettore Rosato) basato su una divisione a metà dei seggi delle Camere: 50% collegi uninominali e 50% proporzionali.
Quindi, ha favorito l’adesione a tale proposta del leader della Lega Matteo Salvini, espressione di una base fortemente legata ai territori, con la conseguenza di accentuare il conflitto, già acceso per altri motivi, tra lo stesso Salvini e Berlusconi.
Berlusconi conquista la scena
La terza mossa è stata quella di attivare, contestualmente, un contatto con Berlusconi, offrendogli un’opportunità di svincolarsi dall’abbraccio troppo stretto di una Lega sempre più distante dagli approdi europeisti del Ppe, ai quali nel frattempo il Cavaliere si è riaccostato.
A questo punto, però, è stato Berlusconi a conquistare la scena. Siccome la proposta del Pd evocava il sistema tedesco senza però riprodurlo, è stato agevole per Berlusconi lasciar intendere che un’intesa sarebbe stata possibile «su un sistema tedesco, quello vero», cioè interamente proporzionale, anche se con attribuzioni dei suffragi differenziate.
I titolisti e i retroscenisti hanno fatto il resto: la legge elettorale è fatta, si andrà a votare con un sistema proporzionale più o meno corretto da varianti “germaniche”, in quale collocazione e misura è da vedere; ma in modo da consentire la formazione di maggioranze, se ci sono i numeri, o, in caso diverso, di coalizioni.
Coalizioni obbligate?
L’allusione alle coalizioni è legittima anche alla luce dell’esaltazione che Berlusconi ha fatto del sistema tedesco come quello che ha dato alla Germania «settant’anni di stabilità, di bipolarismo, di democrazia consolidata ed efficiente».
E, poiché i calcoli dei sondaggisti confermano che, ad oggi, non c’è prospettiva di affermazione per una forza politica che conquisti da sola la maggioranza assoluta, si diffonde come logico il suggerimento di adattarsi ad un’esperienza di coabitazioni nelle quali un ruolo importante tornerebbe a svolgere comunque il Cavaliere.
Il quale sarebbe stato mosso non solo dal desiderio di affrancarsi dal vincolo leghista, ma anche dal ridimensionamento dell’attesa di una propria integrale riabilitazione da parte della Corte di Strasburgo.
Ovemai infatti venisse invalidata la legge Severino per trasgressione del principio di non retroattività, resterebbe comunque operante la sentenza di interdizione dai pubblici uffici che lo esclude dal Parlamento. Questo si sostiene tra i giuristi e questo può aver determinato un depotenziamento degli effetti pratici di un’eventuale sentenza favorevole.
Disincanto e adattamento
E gli altri? La nascita di una legge elettorale che sia frutto di un’intesa a due tra Forza Italia e Pd (come fu l’“italicum”) non dovrebbe lasciare tranquillo il resto del mondo politico. Non vi saranno però le reazioni furenti della precedente occasione. Le proteste si concentreranno, da parte dei “minori”, sulla soglia di sbarramento per l’accesso alla ripartizione dei seggi. Ma l’incombenza della prova del voto consiglierà a ciascuno di considerare se i propri interessi siano o meno tutelati.
E, siccome in tutti i dibattiti finora registrati non c’è traccia di preoccupazione per esigenze di bene comune ma ognuno cerca di farsi confezionare un abito su misura, non è improbabile – anche se sgradevole – che ogni soggetto trovi nei dispositivi adottati qualche elemento di vantaggio. E si adatti di conseguenza.
Del resto, il clima attorno alla fabbrica delle regole elettorali è molto cambiato dai tempi in cui si confidava che, con regole nuove o diverse, si sarebbe cambiata in meglio la vita del paese. Oggi c’è disincanto e, nella migliore delle ipotesi, pragmatismo utilitario.
E la data? Dipende
Un’ultima considerazione riguarda la data. Aver sottolineato che, nel procedimento iniziato, si è stabilito un collegamento tra redazione della legge e tempi del voto non significa dare per scontato che, se la legge si fa a giugno, si voterà a settembre.
Vi sono ragioni serie e oggettive per ponderare l’opportunità di accelerare o rispettare le scadenze. Saggezza vorrebbe che si riflettesse sul tema con attenta ponderazione. Ricordando, in ogni caso, che l’ultima parola in materia appartiene al Capo dello Stato.