Aveva 93 anni. Sentendosi vicino alla morte, si era fatto riportare nel vicino palazzo arcivescovile. La notizia della morte – il 4 agosto 1992 – destò profonda impressione e la gente corse in massa al Castello, raccogliendosi in preghiera. Da mezzogiorno dell’11 agosto fino alle 17.00 una folla immensa rese omaggio alla salma dell’arcivescovo nella chiesa cattedrale. Una semplicissima bara in zinco e tanti fiori.
Sfilarono credenti, atei e agnostici, gente delle campagne e delle città, uomini politici e semplici cittadini, famiglie intere e tanti giovani. Sottofondo di note meste alle accorate preghiere di suffragio, intercalate da riflessioni tolte dalla Bibbia e dagli scritti del cardinale.
Il testamento
Nel 1982 František Tomášek aveva scritto il testamento con parole semplici e cuore di pastore: «Affido la mia anima alla misericordia di Dio e alle preghiere di suffragio di quelli che si ricorderanno di me. Le mie spoglie mortali sistematele secondo la decisione del capitolo di San Vito. Sarò grato se sarà in cattedrale. Ma l’importante è che sia ricordato nelle preghiere. In questa circostanza si celebri la santissima offerta della santa messa solo con le preghiere comuni della Chiesa senza una predica particolare. Sia rivolto soltanto un ringraziamento ai presenti per la loro partecipazione, chiedendo loro di pregare per me e desidero che siano lette queste mie ultime parole di commiato».
Le esequie furono celebrate la mattina del 12 agosto. Un accorrere ininterrotto di preti e religiosi da ogni parte della Boemia, della Moravia, terra della sua origine, della Slovacchia. Poi l’arrivo di uomini politici, di cardinali, arcivescovi e vescovi, la gerarchia cattolica al completo. Una composta e prolungata ovazione accolse il presidente Havel. Il segretario di stato, card. Angelo Sodano, rappresentò papa Giovanni Paolo II.
Il vescovo Škarvada lesse il testamento: «Saluto voi tutti che siete venuti al commiato da questa terra e voi tutti che vi ricordate di me, là dove vi trovate. È un congedo soltanto per un breve periodo, perché anche la vita più lunga scorre veloce come un attimo fuggente e la nostra esistenza umana duratura comincerà con colui che ci ha dato la vita, con il nostro buon Padre celeste (…). Ora chiedo perdono a quelli che hanno avuto l’impressione, qualche volta, che non mi sia dedicato pienamente a loro».
Ricordi personali
Conservo del card. Tomášek lettere, foto e ricordi. Con lui fui accusato dal regime di tradire la nazione cecoslovacca – era l’aprile dell’80 – per avere diffuso in occidente una drammatica intervista, nella quale Tomášek diceva chiaramente che il popolo non ce la faceva più ad andare avanti senza la libertà. Da allora gli fui vicino nell’isolamento: andai a trovarlo spesso, superando ogni sorta di difficoltà. Lui aveva di mira solo la verità, il rispetto dei diritti umani, la prospettiva di un futuro vivibile e degno.
Tomášek – a distanza di anni – mi resta in profondità come il simbolo di chi non ha paura della novità e non teme i dibattiti, non allontana i problemi, non affonda nemici. Bastino – a riprova – la stima verso la tanto discussa “chiesa clandestina”, che nasceva dall’esperienza del carcere, il rispetto verso i “preti della pace”, di cui non condivideva l’eccessivo servilismo e l’alterigia dei dirigenti, ma che capiva e, in un certo senso, tendeva a giustificare.
Non c’è nel suo testamento una parola contro il regime, benché, al tempo in cui lo scrisse, nel 1982, contro di lui si mettessero in giro volgari calunnie e la sua residenza fosse controllata in ogni angolo.
Chi di noi in quegli anni lo incontrò, ricorda che parlava sommessamente con la radiolina accesa per far disperdere la voce. Contemplava la città dall’alto del suo palazzo e sognava. Non mancava mai, negli anni precedenti la caduta del Muro di Berlino, che travolse il regime, di raccomandarmi di essere sempre prudente.
Una sera, vedendo uno strano movimento di persone davanti al palazzo arcivescovile, mi accompagnò lui stesso al centro della città, a passi lenti. Mi parlò della fede di sua madre e di sé, «vecchia quercia», che sentiva il vento dell’eterno.
Per Vlk, il lavavetri negli anni duri della repressione, divenuto arcivescovo di Praga, Tomášek non fu né un ribelle, né un rivoluzionario: solamente un faro.
Le parole di Havel
Così Havel, ricordando gli anni di Charta ’77: «Tutti sappiamo che il carattere umanistico di questa rivolta ha suscitato l’ammirazione di tutto il mondo. La dimensione spirituale della vita umana, che il cardinale Tomášek con la sua azione ci ha comunicato, ha avuto un influsso importante sul carattere di questa nostra rivolta, al cui centro erano la verità e l’amore, la comprensione e la solidarietà, lo spirito di sacrificio e la disponibilità alla penitenza e al perdono (…). Quando rifletto sul senso della sua opera e sul messaggio che ci ha lasciato, mi viene in mente ciò che significa l’appello all’unità spirituale e profana, religiosa e civile, morale e politica. È un grande avvertimento: quando nella storia boema la voce del potere spirituale e la voce del potere secolare sono stati all’unisono, abbiamo vissuto i momenti migliori. Lo stato boemo fiorisce quando la sua vita politica aveva la dimensione spirituale e quando nel governare era presente l’idea della responsabilità universale».