In un originale elogio della pazienza, Rainer Maria Rilke ci invita a saper aspettare, impegnandoci in una “gestazione lunga”: «Quando si vivono le domande, / forse, piano piano, si finisce, / senza accorgersene, / col vivere dentro alle risposte / celate in un giorno che non sappiamo». Ma quando l’orizzonte storico si dilata è soprattutto la speranza ad alimentare una semina davvero profetica. È perciò essenziale saper rintracciare dentro l’intreccio di domande e di risposte in cui siamo immersi l’eredità viva di profeti di speranza, veri e propri giganti dello spirito che ci consentono di salire sulle loro spalle.
L’immagine di Giovanni di Salisbury dà il titolo a una grande opera, curata da Marco Vergottini (Sulle spalle di giganti. Storie cristiane dal Vaticano II, Vita e Pensiero 2024, pp. 381), dedicata a trentanove figure che attraversano il panorama italiano del Novecento, disposte in ordine cronologico come una costellazione di punti di luce orientati verso la stella polare del Concilio Vaticano II.
L’interpretazione del Concilio che, secondo il curatore del volume, è «un punto di non ritorno sul fronte del vissuto ecclesiale, dell’intelligenza teologica e della coscienza di ogni buon credente» (p. 9), garantisce la coerenza unitaria di un affresco in cui si compongono armonicamente percorsi plurali e convergenti.
I contributi, affidati ad autori competenti e appassionati, rileggono il messaggio di questi testimoni, enucleandone il legame – diretto e indiretto – nei confronti dell’evento conciliare; si concludono tutti con una utile notizia biografica, rimandando, tramite un QR code, a una sezione bibliografica online.
Qui se ne possono offrire solo cenni inevitabilmente selettivi, attraverso qualche chiave di lettura trasversale.
Un posto di rilievo è occupato anzitutto dal primato della Parola di Dio, che nel cardinale Martini si congiunge all’invito ad affidarsi agli «imprevisti dello Spirito» (Marco Vergottini) e che nella madre Canopi valorizza la lectio divina per una spiritualità dell’abbandono (Mariella Carpinello).
Non meno originali e sfidanti gli approcci alla Scrittura da parte di laici cristiani, particolarmente attenti alla Bibbia ebraica come Paolo de Benedetti (Piero Stefani), e all’unità dei cristiani come Maria Vingiani (Adelina Bartolomei), senza separare mai attesa del Regno e abisso del male come Sergio Quinzio (Claudio Ciancio).
Una seconda chiave di lettura emerge attraverso approfondimenti, cordiali e non regressivi, del rapporto tra fede e storia, tra Chiesa e mondo, che preparano e rilanciano Gaudiun et spes: Giorgio La Pira e Giuseppe Lazzati, rispettivamente affidati a Massimo de Giuseppe e a Luciano Caimi, manifestano un’attenzione nuova alla laicità nella storia. L’Italo Mancini di Piergiorgio Grassi traduce filosoficamente tale attenzione nella doppia fedeltà a Dio e alla storia, che Pietro Scoppola, secondo Beppe Tognon, rilegge storicamente alla ricerca di una laicità positiva, e che in Aldo Moro (affidato a Guido Formigoni) diviene forma politica del dialogo, spinta fino all’eroismo.
Su questa linea s’incontrano anche impegnativi contributi teologici, nei quali è evidente un’atmosfera (pre)conciliare: tra gli altri, Piero Coda valorizza in Luigi Sartori la sinergia del doppio movimento tra Dio e l’umanità; Franco Giulio Brambilla interpreta la figura di Luigi Serenthà come teologo conciliare, aperto alla Pasqua di Gesù; Sergio Tanzarella evidenzia nel vescovo Cataldo Naro un incontro senza compromessi tra fede e storia.
Un terzo percorso lascia trasparire una nuova libertà nella vita cristiana, che anticipa – non senza immeritate incomprensioni – molte novità conciliari. È il caso di Carlo Carretto, che sperimenta una originale forma di purificazione spirituale, tra «la Chiesa e il deserto» (Gianni Di Santo). Senza dimenticare il contributo di Luigi Pareyson a una originale filosofia della libertà (Giovanni Ferretti), è molto ricco l’elenco dei «profeti scomodi» della libertà cristiana, che insegnano a guardare alla pace e alla fraternità planetaria, oltre un cattolicesimo ideologico: come Giuseppe Dossetti (Fabrizio Mandreoli), padre Benedetto Calati (Guido Innocenzo Gargano), padre David Maria Turoldo (Maria Cristina Bartolomei), padre Ernesto Balducci (Bruna Bocchini), don Lorenzo Milani (Alessandro Andreini).
Una ulteriore e non meno interessante chiave di lettura ci è offerta dalla galleria di volti femminili, già in cammino verso il Concilio; un elenco ancora un po’ avaro, rispetto all’attualità, ma qualitativamente vivace e rilevante. Basterebbe ricordare l’impegno teologico di Adriana Zarri, descritta da Mariangela Maraviglia come «una mistica tra lotta e contemplazione», e di Maria-Luisa Rigato, presentata da Marinella Perroni come la «rivoluzione gentile» di Miss Biblicum. Sul piano dell’impegno politico che si alimenta di un’ispirazione cristiana alta ed esigente, appaiono esemplari le figure Maria Eletta Martini (Daniela Mazzucconi) e di Tina Anselmi (Rosy Bindi).
Da ultimo, il libro riserva giusta attenzione a figure, forse meno vistose ma cruciali, che si sono assunte il compito non facile di “traghettare” il Concilio sui sentieri non facili della sua attuazione. Spiccano al riguardo figure importanti di vescovi, come Loris Francesco Capovilla, di cui Marco Roncalli ricorda la fedeltà a papa Giovanni; Enrico Bartoletti, impegnato a guidare il cammino postconciliare della Chiesa italiana (Marcello Brunini); Achille Silvestrini, al quale Gianfranco Brunelli attribuisce un «martirio della pazienza»; Luigi Bettazzi, che si fa fino alla fine pellegrino di pace e infaticabile comunicatore (Luca Rolandi); don Tonino Bello, che traduce la sensibilità conciliare in un’attenzione radicale agli ultimi e alla pace (Vito Angiuli). Non si può tralasciare, infine, Vittorio Bachelet, che traghetta l’Azione cattolica sui sentieri della «scelta religiosa», offrendo un servizio prezioso alla semina dello spirito conciliare nella coscienza laicale.
Questi semplici (e incompleti) suggerimenti di lettura lasciano già intravedere una comunità invisibile di «profeti dell’incompiuto», cui lo spirito del Concilio conferisce, quasi retroattivamente, lo statuto di «popolo in cammino». Sentieri, volti e storie di vita accomunati da un’«aria di famiglia», che meritano di essere ricordati e onorati; soprattutto in questo frangente storico, in cui avvertiamo, mentre gli orizzonti si abbassano e lo smarrimento dilaga, il riemergere di un senso dell’incompiuto nel cammino della Chiesa, che ci sfida e ci interpella.
C’è anche per noi un dovere di restituzione in avanti, che consiste, per tornare a Rilke, in quella capacità di «vivere le domande» che consentirà un «vivere nelle risposte». E, se oggi ci pare di essere un po’ orfani di nuovi testimoni, scomparsi o forse solo meno visibili, abbiamo bisogno più che mai di riaprire la via del Concilio a quella sinodalità che può andare incontro alle generazioni future solo donando a un intero popolo in cammino «spalle da giganti».
Difficile sfuggire al fascino delle parole attribuite, nel XII secolo, da Giovanni di Salisbury a Bernardo di Chartres, suo maestro: «Siamo come nani assisi sulle spalle di giganti, cosicché possiamo vedere più cose e più lontano non per l’acume della nostra vista o per l’altezza del nostro corpo, ma poiché siamo sollevati più in alto dalla loro statura».
L’aforisma evoca la questione del debito dei moderni verso gli antichi, il riconoscimento della grandezza di quanti ci hanno preceduto, il rapporto fra maestri e discepoli, e tra le diverse generazioni, ma anche la capacità e la possibilità dei moderni di vedere più lontano se sanno fare buon uso della grande opportunità loro offerta.
Per questo partiamo dalla lezione di alcuni testimoni, vissuti nell’Italia del Novecento, che hanno contribuito a far nascere, crescere e fruttificare l’evento del Vaticano II, chiedendoci come possiamo interpretarla per il presente e quale possa essere l’elaborazione critica ulteriore.
Forse, a distanza di sessant’anni, si sono un po’ affievoliti l’entusiasmo, la fiducia, la capacità di sognare che il Concilio aveva comunicato alla nostra Chiesa e che procurò tanta gioia. Sulla spinta del pontificato di Francesco, dobbiamo però riconoscere che lo Spirito Santo non ha fatto mancare alla Chiesa figure luminose di donne e uomini, instancabili testimoni del Vangelo e autentici protagonisti nelle vicende della storia.
Con loro ci lasciamo guidare alla riscoperta della lezione conciliare ispirati da una singolare beatitudine, che invita a rilegare insieme il tempo ‒ il passato da custodire, il presente da onorare e il futuro che ci attende: «Beato chi coltiva in cuor suo una memoria carica di speranza».
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Marco Vergottini, teologo milanese, stretto collaboratore del cardinale Carlo Maria Martini, già vice-presidente dell’Associazione teologica italiana (2003-2011), ha ricoperto ruoli di docenza in teologia presso le Facoltà teologiche di Milano, Padova e a Palermo. Autore di saggi sul concilio Vaticano II, su Paolo VI, sul ripensamento critico della teologia dei laici.
«Nell’atto in cui il presente volume viene alla luce sento di dover esprimere il mio sincero ringraziamento a Gianfranco Brunelli, direttore de Il Regno, e ad Aurelio Mottola, direttore responsabile di Vita e Pensiero; a entrambi mi lega una pluridecennale amicizia. La riconoscenza si estende poi a Valeria Roncarati, Letizia Rovini e Martina Fracarolli, che hanno mostrato – oltre alla solerzia e alla professionalità – di condividere con passione l’iniziativa editoriale. Oltre a ricordare con stima e gratitudine tutte le amiche e gli amici che hanno collaborato con la stesura dei profili, una menzione particolare intendo esprimerla a don Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara, sempre prodigo di consigli sulle scelte strategiche e sui minimi dettagli della presente opera.
tra i personaggi ricordati c’è il Vescovo Michele Pellegrino?