Jürgen Habermas, filosofo e sociologo, è probabilmente il pensatore vivente più famoso. Ha compiuto 90 anni il 18 giugno. Ma, nonostante l’età avanzata, sta per pubblicare un corposo lavoro di 1.700 pagine e continua ad approfondire il rapporto tra religione e filosofia. Per l’occasione il sito katholisch.de ne ha tracciato questo profilo.
Mentre gli altri, alla sua età, già da diversi anni sono in pensione e stanno godendo la fase del tramonto in una vita ritirata e in tranquillità, Habermas presenta per il suo giubileo un nuovo frutto della sua attività. La casa editrice Suhrkamp in un comunicato stampa ha recentemente reso noto che in autunno sarà pubblicato un suo nuovo libro: 1.700 pagine, in due volumi, intitolato «Auch eine Geschichte der Fhilosophie» (Anche una nuova Storia della Filosofia). Già questo fatto da solo dimostra che bisogna fare i conti con Jürgen Habermas: anche in età avanzata egli segue attentamente e commenta gli sviluppi della società, ciò almeno è quanto ci si può attendere da questa sua nuova opera.
Ma chi è quest’uomo che offre una prestazione così impressionante?
Cenni biografici
Jürgen Habermas nacque a Düsseldorf nel 1929. La sua giovinezza fu segnata dalla presa del potere dei nazisti e dalla seconda guerra mondiale. Dopo la fine del conflitto, iniziò i suoi studi a Göttingen, Zurigo e Bonn, ma non si concentrò su una materia soltanto, si occupò piuttosto di una gamma molto vasta di interessi che vanno dalla filosofia alla storia, dalla psicologia alla letteratura.
Particolarmente importante fu il suo incontro con Karl-Otto Apel, ideatore e rappresentante più autorevole della concezione denominata «etica del discorso» (Diskursethik) che, a quell’epoca, fece il suo dottorato su Heidegger, a Bonn.
Allorché Martin Heidegger, agli inizi degli anni ’50 pubblicò la sua Introduzione alla metafisica – si era nel 1953 – nel Frankfurter Allgemeine Zeitung (FAZ) apparve una recensione di un certo Jürgen Habermas. Il fatto che Habermas si esprimesse già allora in maniera molto critica su Heidegger traccia come un filo rosso che attraversa tutto il suo curriculum vitae. Jürgen Habermas non ha mai portato a termine una lettura completa e un discorso critico su Heidegger.
Nel 1954 conseguì il dottorato presso l’università di Bonn con una tesi su Schelling, poi si dedicò al campo giornalistico e lavorò tra l’altro anche per il FAZ e il Merkur come libero collaboratore.
Dopo alcuni anni come assistente scientifico a Francoforte sul Meno, dove effettuò delle ricerche con Max Horkheimer e Theodor W. Adorno, nel 1964 fu chiamato a succedere a Horkheimer nella cattedra di filosofia e sociologia. Tuttavia, non rimase a lungo a Francoforte e già nel 1971 lasciò l’università per guidare a Starnberg, assieme a Carl Friedrich von Weizsäcker, il «Max-Planck-Institut per la ricerca delle condizioni di vita del mondo scientifico tecnico».
Ma anche l’incarico di direttore dell’istituto fu di breve durata e, nel 1983, si trasferì nuovamente a Francoforte, dove occupò la cattedra di filosofia fino al suo ritiro nel 1994. Ma anche dopo il suo addio alla vita di insegnamento attivo non si mise a riposo: interveniva di continuo sugli avvenimenti politici e sociali attuali commentandoli in maniera spesso critica.
L’attività scientifica di Jürgen Habermas fu premiata con numerosi riconoscimenti: tra l’altro, nel 2001 ricevette il “premio della pace” del commercio librario tedesco, nel 2004 fu insignito del “premio Kyoto” per tutta la sua opera e recentemente è stato onorato del “gran premio dei media franco-tedeschi” (2018). Tutto ciò sta a indicare che Habermas è uno dei più noti e discussi filosofi del nostro tempo.
L’analisi del suo pensiero può essere ricostruita solo frammentariamente. Troppo complessi e molteplici sono i suoi interventi degli ultimi decenni. Habermas non è uno che si concentra su un tema e si limita ad esso soltanto. Nel corso della sua carriera scientifica ha sempre conservato uno sguardo molto ampio; per il suo pensiero sono caratteristiche le attenzioni collaterali ad altre discipline e, in particolare, allo stretto rapporto tra filosofia e sociologia. Se ci si domanda quale sia il punto di partenza dei suoi lavori di ricerca, si può dire che fu anzitutto l’esperienza del nazionalsocialismo che lasciò su di lui un’impronta duratura fin dalla sua giovinezza.
Habermas voleva togliere la paura alla gente
Nell’introduzione dei suoi Testi filosofici scrive: «Per noi fu impossibile non prendere posizione sulle rivelazioni dei crimini del regime nazista, o in maniera difensiva o autocritica. (…) Per noi, la discussione politica sul fatto del vasto consenso della nostra popolazione al regime nazista è rimasta fino ad oggi più che un argomento tra gli altri. La prima Repubblica federale fu caratterizzata da un divario tra le fragili istituzioni democratiche e le mentalità autoritarie a stento scosse. Come in quasi tutti gli ambiti operativi, anche nel mondo universitario la continuità personale è rimasta intatta. I pionieri intellettuali del vecchio regime – ad eccezione di poche eccezioni – sono sopravissuti impassibili alla de-nazificazione. Si sentivano al riparo dalla critica e non vedevano alcuna ragione di fare autocritica. Le continuità personali e spirituali che proseguirono sotto il manto di un anticomunismo indisturbato hanno tenuta viva la paura di ricadere sotto un modello di comportamento autoritario e di abitudini élitiste del pensiero della Germania pre-democratica – per quanto mi riguarda, persino fino ai primi anni ’80».
Ma ad Habermas non interessava perdersi in questo pessimismo in seguito a queste esperienze. Molto più importante era per lui il pensiero di togliere la paura nella gente e consolidare in essa la speranza di un futuro migliore. In quanto successore di Horkheimer e Adorno nella “Scuola di Francoforte”, era suo desiderio rafforzare il legame tra la filosofia e le scienze sociali, lavorando in questo modo per una società più democratica e umana.
Anche i temi riguardanti la religione e il cristianesimo, almeno negli ultimi tempi, sono stati sempre presenti nelle sue opere. Fino ancora al 1981 nella sua Theorie des komunikativen Handels (Teoria dell’azione comunicativa) condivise la vecchia tesi della secolarizzazione secondo cui la religione sarebbe progressivamente scomparsa. Ma anni più tardi parlò di un’epoca «postsecolare», qualificando se stesso (in riferimento a Max Weber) come un «religioso non musicale», tuttavia riconobbe molti lati positivi nel sistema religioso, soprattutto nei problemi morali ed etici. Contrariamente all’assunto medioevale secondo cui la filosofia era una semplice «ancella» della teologia, egli cambiò questa antica determinazione di rapporto pronunciandosi a favore dell’utilizzo delle tradizioni religiose nei discorsi filosofici -sociali.
Ratzinger e Habermas: più vicini di quanto si creda
In una conversazione con il card. Joseph Ratzinger, nel gennaio 2004, presso l’Accademia cattolica di Monaco, Habermas affermò: «I cittadini secolarizzati, in quanto agiscono nel loro ruolo di cittadini, non possono negare in linea di principio un potenziale di verità alla visione del mondo religioso, né contestare ai loro concittadini credenti il diritto di offrire il loro contributo al dibattito pubblico con un linguaggio religioso. Una cultura politica liberale può anche attendersi dai cittadini secolarizzati che abbiano a partecipare agli sforzi per tradurre i contributi rilevanti del campo religioso in un linguaggio accessibile al pubblico».
Il fatto che, alla fine, Habermas e Ratzinger non fossero poi così distanti tra loro dimostra quanto altamente il filosofo stimasse l’influsso della religione sul sistema sociale e politico.
Bisogna ora aspettare che Habermas si esprima al riguardo nel suo nuovo libro, nel quale – scrive l’editore nella presentazione – intende rispondere al perché «la filosofia si è gradualmente secolarizzata e separata dalla sua simbiosi con la religione».