Ágnes Heller

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Il 19 luglio ricorre il primo anniversario della morte di Ágnes Heller. Ne abbiamo chiesto un profilo a  Ornella Crotti che ha recentemente pubblicato il volume Ágnes Heller. Un’Etica in cammino, Mimesis, Milano 2020.

  • Gentile Professoressa, in questa data anniversario, può offrirne qualche cenno biografico di Ágnes Heller e può dire le motivazioni che l’hanno indotta a dedicarle questo suo libro?

Il 19 luglio ricorre il primo anniversario della scomparsa di Ágnes Heller, morta, probabilmente di infarto, mentre stava nuotando nelle acque del lago Balaton in Ungheria. Era nata nel 1929 a Budapest in una famiglia della borghesia ebraica, colta e laica e la sua figura di pensatrice appare oggi paradigmatica di una nostra eredità culturale europea di grande e tragica valenza etica.

Ágnes Heller ha vissuto l’esperienza del ghetto, della persecuzione nazista e ha perduto l’amato padre che è stato catturato e deportato ad Auschwitz. Come ha raccontato nel suo libro Il valore del caso, la mia vita, è sfuggita, con l’aiuto di amici, allo sterminio: ha poi spesso ricordato come un soldato tedesco, una persona buona, abbia affrontato il rischio del bene per aiutare la sua famiglia a salvarsi. Alla fine della guerra è divenuta assistente del filosofo Gyorgy Lukács, condividendone la scelta teorica marxista ma, quando il marxismo di stato ha mostrato sempre più il suo volto totalitario, ne ha preso apertamente le distanze.

Da spirito profondamente libero – quale è sempre stata – ha aderito in Ungheria ad una corrente del dissenso denominata “Scuola di Budapest” ed è stata per ciò espulsa dall’Università e dal Partito. Negli anni successivi, ha scelto di emigrare in Australia dove è divenuta docente a Melbourne e, in seguito, in prestigiose università americane come la “New School for Social Research” di New York, dove ha ricoperto la cattedra che era stata di Hannah Arendt.

Mi ha colpito di lei il tono profondamente etico della sua opera: la sua voce sempre coerente di pensatrice della morale, di attivista e di dissidente è stata una presenza costante all’interno della riflessione etica contemporanea dandone sino alla fine della vita testimonianza con la sua dura critica nei confronti del regime sovranista di Orbán, che lei non riteneva affatto democratico.

  • Ha conosciuto personalmente la Heller? Quale ricordo porta?

Sì, ho conosciuto personalmente Ágnes Heller, ho avuto modo di incontrarla tre o quattro volte in presentazioni e convegni: al Festivaletteratura di Mantova e altrove. Lei parlava ovviamente l’ungherese e molto bene il tedesco e, nonostante le nostre difficoltà di comunicazione linguistica, ricordo nitidamente il sorriso con cui mi è venuta incontro la seconda volta che mi ha vista, come fossi sua amica da sempre, forse anche perché sapeva che ero una studiosa di Hannah Arendt. Era una persona molto empatica e penso di poter dire che incarnava uno dei suoi assunti filosofici fondamentali: «le persone buone esistono».

La Heller era aperta, curiosa, attenta alle persone quanto tenace nelle discussioni e in questo modo mostrava quanto fosse convinta di un altro suo assunto fondamentale: quello della ricchezza del confronto e del valore del dialogo tra esseri umani, con lo sguardo sempre rivolto all’orizzonte di qualcosa di nuovo che sta continuamente per apparire. La sua opera e la sua stessa persona sono intessuti di un ottimismo morale che è un ottimismo della ragione e della speranza che nel suo pensiero trovano una giustificazione filosofica, come ho cercato di mostrare nel mio libro a lei dedicato.

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Ornella Crotti con Ágnes Heller

Biografia e bibliografia
  • Può dire delle influenze ricevute dalla Heller e dei cardini del suo pensiero attraverso alcune opere che lei ritiene fondamentali? 

La Heller aveva una cultura filosofica molto ampia e basta scorrere l’altrettanto vasta e variegata sua produzione per verificarlo; in effetti, l’articolazione dei suoi interessi e dei suoi studi si è andata ampliando nel corso dell’intera sua esistenza. Aveva una conoscenza approfondita di Marx e, benché si sia progressivamente allontanata dal marxismo, ha continuato a coltivare l’utopia di una società giusta in riferimento alla quale è andata elaborando quello che lei ha chiamato un «concetto etico-politico incompleto di giustizia».

Penso che il suo messianismo si radichi nel marxismo piuttosto che in un’educazione religiosa ebraica che probabilmente non ha mai ricevuto nell’infanzia. Certamente ci sono altre e molto importanti presenze filosofiche nel suo pensiero, tra queste il Socrate di Platone, Kant, Wittgenstein, Levinas, Arendt, Habermas, Baumann, con i quali si è confrontata in un dialogo serrato e in particolare, con gli autori di discendenza ebraica, ha condiviso le parole di  sapienza della Torah, dei testi dell’ebraismo e lo studio dei Vangeli, come ben dimostra il suo volumetto Gesù l’ebreo. La consapevolezza che è andata maturando è che la filosofia si abbevera a sorgenti diverse ed è in uno stato permanente di incompiutezza ma che in questo consiste la sua ricchezza.

Un suo libro molto letto – anche in Italia nei primi anni ’70 – reca il titolo La teoria dei bisogni in Marx e da questo testo inizia un suo percorso di ricerca sui bisogni umani che per lei sono molto più dei bisogni della nuda vita: sono bisogni di libertà, di emancipazione, di realizzazione di sé stessi legati al desiderio di giustizia e di felicità degli esseri umani.

Un secondo libro che vorrei segnalare è Per un’antropologia della modernità che si chiude con la seguente affermazione: «La filosofia ha sempre posto domande infantili: continuiamo a frequentarle». Il suo è dunque un invito rivolto a tutti noi ad amare la sapienza, quella della grande tradizione greco-latina insieme a quella ebraica, quale luogo di incontro e di comprensione del senso della vita e della condivisione del mondo per ogni essere umano in quanto costitutivamente morale.

Ebraismo e tradizioni religiose
  • Il ritrovato dialogo tra tradizioni storico-religiose e filosofiche appare uno dei tratti distintivi nelle opere della Heller in prospettiva di lavoro propria del pensiero del nostro tempo: è così?

Ho voluto iniziare il mio libro con un capitolo intitolato Ágnes Heller tra Socrate e il Talmud, proprio per rendere omaggio al suo tentativo di conciliazione e di sintesi delle radici del pensiero occidentale, confrontandosi con il contributo sia del pensiero razionale greco, sia della sapienza ebraica che ritiene entrambi imprescindibili e preziosi per la sua costruzione etica.

profilo hellerNonostante, infatti, l’aperta professione di laicismo, l’ebraismo della Heller affiora continuamente nella sua opera più recente e con crescente partecipazione emotiva. La figura di Gesù è per lei una presenza ebraica a pieno titolo. La risurrezione di cui tratta in Gesù l’ebreo – ed è il terzo volume di cui vorrei raccomandare la lettura – sottopone alla nostra attenzione che la riscoperta della ebraicità di Gesù, sia in ambito ebraico che in ambito cristiano, può rappresentare un importante beneficio per la cultura contemporanea.

La consapevolezza dell’ebraicità di Gesù sta ponendo di fronte alla nostra coscienza ciò che è stato collettivamente obliato per secoli e che solo ora si rivela in grado di intrecciare nuovi dialoghi all’interno degli ebraismi, delle Chiese e persino tra le religioni monoteiste, islam incluso. Non a caso – sosteneva la Heller – si sta assistendo a un rinnovato rapporto tra le religioni, non più caratterizzato dall’esclusione, dalla diffidenza e dal rancore, bensì dal reciproco interesse, dalla comprensione e dalla tolleranza.

L’immagine del Gesù ebreo incarna per la Heller la trasformazione del moderno concetto filosofico di verità che è stata sempre più sottoposta ad un processo che lei definisce di detotalizzazione:  la riflessione contemporanea starebbe muovendo i primi e incerti passi verso un nuovo ellenismo, cioè verso un’ operazione di conciliazione e di arricchimento dei pensieri, nella direzione di una verità della quale siamo sì sempre in cerca, ma depotenziata da assolutismi e da cariche di aggressività. Ágnes Heller mostra in questa prospettiva di ricerca la sua fiducia nell’umano e il suo ottimismo morale.

  • L’esperienza della bontà ha portato la Heller alla elaborazione di una “etica della bontà”: può spiegare?

Come ho già accennato, il percorso filosofico della Heller è inevitabilmente segnato dalla sua storia personale e l’incontro con il gesto di generosa bontà del soldato tedesco, vissuto dalla Heller adolescente, mi appare di fondamentale importanza per la produzione del suo pensiero. La riflessione nasce in fondo da questa semplice e profonda constatazione di ciò che sta davanti a tutti noi: ci sono nel mondo esseri umani giusti e buoni e la bontà è sempre oltre la giustizia, ossia delle norme e delle regole che regolano la condotta giusta.

Etica e bontà

Della bontà Ágnes offre una definizione che prende dal Socrate di Platone: le persone buone sono le persone che preferiscono subire il male piuttosto che arrecare male ad altri. Le persone buone dunque ci sono davvero, sono intorno a noi, noi possiamo vederle: piuttosto di pretendere spiegazioni sul male, che resta in buona misura insondabile, vale la pena di interrogarci intensamente sul perché esiste il bene.

I volti del male sono molteplici, mentre il volto del bene è uno solo e si incarna nelle scelte di bontà di coloro che la scelgono. In filosofia possiamo chiederci – sostiene la Heller – quali siano le condizioni di possibilità perché siano sempre esistite ed esistano intorno a noi persone buone. In questo – potremmo dire – sta il suo “credo” e la sua “vocazione”.

Norme e regole hanno naturalmente grande valore. Nel libro Etica generale, la Heller afferma che il significato che penetra il mondo è fornito e mediato dalle norme e regole che danno forma alla «condotta giusta»: sarebbe impossibile per gli esseri umani vivere in un mondo privo di categorie di orientamento rispetto ai valori, senza cioè distinzione tra bene e male, ossia senza etica.

  • Ágnes Heller spiega come si diventa persone buone? Sentimenti e razionalità, nella buona umanità, quanto pesano e come si rapportano?

L’essere umano è dalla nascita dotato di grandi potenzialità come persona, anche di sviluppare sentimenti ed emozioni, ed è già immerso in una cultura. Senza la gamma dei sentimenti non potremmo comunicare e non potremmo condividere la nostra condizione umana.

È il sentimento, quasi come un istinto, a guidare l’umana bontà, la scelta buona piuttosto di quella cattiva: è il sentimento a dare voce al rifiuto di arrecare male all’altro e renderci disponibili a subire il male piuttosto di commetterlo. Ma sentimenti ed emozioni morali hanno, nella nostra storia personale, una genesi assai complessa, di carattere anche razionale e culturale.

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Legato a questa riflessione è il concetto di giardino che la Heller ci propone: il giardino e la sua cura costituiscono il paradigma dell’incontro tra il portato ebraico biblico – il riferimento è infatti al giardino dell’Eden – e il miglior portato della razionalità greca e del pensiero contemporaneo. Per la Heller dobbiamo dedicare estrema cura al nostro giardino coltivando il pensiero e l’attenzione agli altri sia nell’apertura al confronto che nelle relazioni umane.

La coltivazione del giardino interiore si risolve nella cura del giardino comune del mondo: il giardino della Heller sta dunque davanti a noi, piuttosto che dietro a noi in un mitico passato. Questo è un altro aspetto del suo messianismo.

  • Che cosa rende la persona umana un essere morale, secondo Ágnes Heller?

I valori fondamentali e per lei imprescindibili di ogni essere umano sono “la libertà e la vita”. Questi valori ci sono dati a priori con la nascita al mondo e non possono essere messi in ogni caso in discussione: da tali valori fondamentali discendono le articolazioni del nostro rapportarci al mondo con l’azione, il pensiero e il sentimento.

Potremmo dire che l’essere umano è sì gettato nel mondo – solo con la vita e la libertà – ma in esso, da subito, «impara a sentire»: le sue potenzialità gli permettono presto di orientarsi, di consentire alle abitudini emozionali che ritrova, oppure di trasformarle, acquisendo autoconsapevolezza e coscienza critica. Il «mondo» è dunque il luogo del significato del nostro essere umani, il posto del nostro reciproco rapportarci e condividere la vita e la libertà da persone morali.

  • Lei ritiene il pensiero della Heller prezioso per l’età contemporanea, perché?

In un mondo contemporaneo che conosce troppe visioni distopiche che peraltro sembrano confermate da tutto quello che accade, in un mondo che guarda spesso con rassegnato pessimismo al presente e al futuro, Ágnes Heller ci propone la possibilità di coltivare ancora un’utopia, quella di guardare davanti a noi con fiducia, verso un mondo più ricco di etica e quindi più autenticamente umano.

  • Ornella Crotti, PhD in filosofia etica e politica, collabora con il Centro di ricerca Asklepios e con il Centro Studi Interculturali del Dipartimento di Scienze Umane della Università degli Studi di Verona.
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Un commento

  1. Giampaolo Centofanti blog 20 luglio 2020

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