È morta ieri, venerdì 19 luglio, la filosofa ungherese Ágnes Heller – una delle figure intellettuali maggiori del XX secolo europeo. Ebrea perseguitata durante la II Guerra Mondiale, sionista convinta, comunista militante, entrò in collisione col potere ungherese quando i suoi scritti vennero indiziati dal Partito Comunista locale, con l’accusa di avere contenuti contrari alla dottrina di stato e propagare principi di destra. Nel 1978 Heller lascia l’Ungheria e inizia un’esistenza filosofica nomadica.
Dopo essere divenuta emerita, era tornata a vivere per parte dell’anno a Budapest; e qui si era profilata come una delle intellettuali più esplicitamente critiche nei confronti del governo Orban e del sistema politico con cui aveva stravolto l’architettura costituzionale e civile del paese.
«L’Orbanismo è una figura estrema delle diverse costruzioni politiche prodotte dalla moderna società di massa. Una tirannia che viene benedetta ogni quattro anni. Essa si fonda su una clientela arricchitasi, di cui si accaparra la fedeltà pagandola.
Questa tirannia sviluppa la sua efficacia di massa attraverso la sua ideologia estrema; di cui fanno parte un nazionalismo razzista, la produzione di immagini del nemico, il generare un sentimento diffuso dell’essere minacciati, la lotta permanente contro qualcosa o qualcuno che annienterà l’Ungheria. Dove Orban, in tutto ciò, è il protettore e salvatore della nazione. L’animo del popolo viene avvelenato con l’odio e il panico».
Dei suoi libri tradotti in italiano ricordiamo: L’uomo del rinascimento. La rivoluzione umanista; Per un’antropologia della modernità; Filosofia morale; Teoria dei sentimenti; Gesù l’ebreo.