Pubblichiamo l’omelia del vescovo di Agen, mons. Hubert Herbreteau, in occasione dei funerali del filosofo francese Michel Serres lo scorso 8 giugno 2019, nella cattedrale di Agen sua città natale (qui l’originale francese). Epistemologo e scrittore, Accademico di Francia fin dal 1990, Michel Serres è morto il 1° giugno a Vincennes a 88 anni.
Michel Serres è passato all’altra riva.
Non posso fare a meno di ricordare la bella metafora che propone ai suoi lettori nel Le Tiers instruit: quella del passaggio dall’infanzia all’età adulta, ma anche dei molteplici passaggi che dobbiamo affrontare nel corso della vita.
«Nessuno sa veramente nuotare prima d’aver attraversato, da solo, un fiume largo e impetuoso»; è chiaro che scrivendo queste righe Serres pensava alla sua Garonna. «Partite, tuffatevi! Dopo aver lasciato la riva, per un po’ di tempo rimanete molto più vicini ad essa che all’altra, di fronte, almeno abbastanza perché il corpo calcoli e si dica silenziosamente che può sempre tornare indietro. (…) Il vero passaggio avviene in mezzo» (Le Tiers instruit, Gallimard, p. 24).
Arriva infatti il momento in cui non è più possibile tornare indietro. Bisogna attraversare a tutti i costi. E aggiunge: «Bisogna attraversare per imparare la solitudine. (…) Partire esige uno strappo che toglie una parte del corpo alla parte che rimane aderente alla riva della nascita…» (pp. 25-27).
Michel Serres ha appena vissuto un passaggio. Nessuno sa quello che vede ora, quello che scopre sull’altra sponda. Per lui è una nuova vita che inizia. Certamente continuerà a filosofare lassù, e a parlare di ecologia, di rugby, di Petite poucette (Pollicina) e di tutto ciò che riguarda la nostra terra e gli umani.
Ha vissuto una vita molto intensa. È stato il filosofo che si ama, a un tempo sapiente e superbo divulgatore, sempre curioso del suo tempo. Assaporava le parole come si assapora un buon piatto. E la parola curiosità gli si addiceva. Nella parola latina curiositas c’è cura, le cure, le buone cure. Aperto alla scienza, alla religione, alle tecniche moderne, osservava con cura e amore tutto quanto lo circondava.
Il battesimo, un tuffo
La metafora della traversata nelle acque tumultuose della Garonna si arricchisce di un’altra metafora. Alla fine di un album di Tintin, L’oreille cassée, che Michel Serres amava particolarmente, si trova una magnifica vignetta di Tintin solo in mezzo all’acqua, minacciato dai piranha. E Serres la descrive così: «Tintin, niente: un cerchio nell’acqua; un viso rotondo; una risata sul fiume, un ricordo, un tratto passeggero su una superficie liscia, brezza che increspa la superficie dell’acqua. Tintin nulla nel foro della pagina» (Hergé, mon ami, Le Pommier, p. 60).
Parole eloquenti per un cristiano, il quale al seguito di Cristo sa che ci sarà sempre da compiere il passaggio da una vita intensa e appassionante alla morte minacciosa, terribile, ingiusta. Ma sa anche che un altro passaggio si compie dalla morte alla vita in pienezza, presso Dio.
È così che i cristiani parlano del battesimo, come di un tuffo nella morte e nella risurrezione di Cristo. Michel Serres non se la prenderà se affermo con forza e con gioia ciò che costituisce il centro della vita cristiana: la fede in Gesù Cristo vincitore della morte!
Il tuffo nelle acque tumultuose del battesimo è anche la metafora del rischio bello della fede. «Se credo in Dio è una domanda che non ha risposta, ma so che il divino è qui, davanti a me», affermava. Dopo aver condiviso un pasto insieme a lui e ad altri amici ho compreso che la questione di Dio era molto presente nella sua vita. Sempre ottimista, egli diceva: «Divino è una bellissima parola, perché è ovunque per chi vuole contemplarlo. Nell’aurora, in una poesia, in una bella donna, in una bella azione, in una bella vita».
Costruire ponti
Ottimista, sì, ma cosciente fin dall’infanzia degli sconvolgimenti della nostra epoca. Restò profondamente segnato dalla seconda guerra mondiale quando ancora non aveva sette anni.
«Ho creduto di morire d’angoscia dopo la vignetta dei piranha in L’oreille cassée. Che cosa diventerà Tintin, annegato, perso, divorato, scomparso in mezzo a pesci sconosciuti e feroci, sotto il remo alzato dei ladri, lungo un fiume che conoscevo bene, figlio di un barcaiolo di questa Garonna che vedevo scorrere attorno all’esile barca di mio padre… quando ci ammalammo di una violenza che ci colpì come un fulmine nel primo terzo della mia vita» (Hergé, mon ami, p. 50).
Nelle numerose interviste rilasciate alla televisione, Michel Serres analizzava l’attualità; riteneva che i filosofi non fossero abbastanza presenti nei dibattiti attuali, quasi colpevolizzandosi di mancare d’audacia e di coraggio. Non accettava che si dicesse: «Era meglio prima!». Gli avvenimenti tragici della storia del XX secolo provavano, infatti, il contrario.
Ciò che conta è «costruire ponti». Un’espressione che in Michel Serres esprimeva il desiderio di entrare in relazione, la volontà di andare nel territorio di qualcun altro, la felicità di stabilire un’unità fra due sponde.
Conservava un ricordo commosso della sua infanzia passata presso la Garonna: «Agen, la mia città natale, si muoveva tra due ponti: il ponte-canale, noto in passato per la sua via di trasporto; e il ponte di pietra, lungo il quale sono nato. Una fragile passerella ritmava lo spazio fra i due ponti, variando sul tema del passaggio, in quanto essa portava solo i pedoni, come sotto e sopra il primo (il canale) passava solo l’acqua. Agen aveva quindi un ponte in tre persone. Dimenticando la mia avversione per i pontefici, ho sempre voluto costruire ponti» (Les ponts, Le Pommier, pp. 12-13).
Con un briciolo di idealismo l’immagine del ponte simbolizza la relazione, la comunicazione agevolata, gli avvenimenti che avvicinano e uniscono gli uomini. Al contrario, l’espressione «tagliare i ponti» riflette una situazione di malinteso, un allontanamento, una rottura definitiva.
Il ponte evoca i legami che avvicinano gli uomini, i mondi separati e l’esclusione. Vi sono poveri che vivono e dormono sotto i ponti, al riparo degli sguardi e alla ricerca di protezione dalla pioggia e dal vento. Esistono ponti per unire e consolidare la pace; e altri costruiti per far scoppiare la guerra.
La metafora del ponte ha dunque significati diversi e anche contraddittori. Michel Serres ci invita a guardare i ponti di fraternità che si stabiliscono oggi nel nostro mondo. Senza ingenuità, ma anche senza pessimismo.
Grazie, caro amico, filosofo di Agen. Lei ci aiuta a vivere meglio i passaggi che dobbiamo fare e a stabilire tra noi relazioni di comunione e di fraternità!