Il 12 febbraio 1980 Vittorio Bachelet, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura e figura maggiore del cattolicesimo italiano, viene ucciso dalle Brigate Rosse. A quarant’anni di distanza Domenico Rosati raccoglie un pezzo di memoria di vita del paese a partire da una telefonata del Presidente della Repubblica Sandro Pertini dopo la celebrazione del funerale di Bachelet, in cui il figlio Giovanni aveva pregato con queste parole: «Senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, la vita e mai la richiesta di morte».
Pronto, sono Pertini.
Buona sera, Presidente, mi dica.
Eravamo in tre al telefono perché l’interlocutore del Presidente, che era l’allora ministro del lavoro, il mio amico Franco Foschi, aveva messo subito in vivavoce perché voleva che ascoltassi la conversazione in quanto, mi aveva spiegato, quasi ogni sera Pertini chiamava i ministri e a ognuno aveva o qualcosa da chiedere o un giudizio da confermare. A differenza di Cossiga, il Presidente del Consiglio di allora, il quale usava soltanto presentarsi – sono Cossiga – e poi rimaneva in un estenuante silenzio. Rituali di governo. Quella sera, la sera del 14 febbraio 1980, comunque, Pertini aveva voglia di parlare.
Caro ministro, c’è una cosa a cui ho pensato tutto il giorno…
Mi dica Presidente…
Che vuole che le dica. Stamane eravamo tutti in chiesa per il funerale di Vittorio Bachelet.
È vero, proprio tutti. Una cerimonia commovente
Ecco… ma io ho avuto un problema e ho sentito il bisogno di parlare con un cattolico.
Un cattolico? Perché?
Perché quel ragazzo – ha capito di chi parlo? – stamane mi ha commosso, anzi strabiliato e ho sentito la necessità di parlare con un credente per capire come sia possibile che un figlio preghi per gli assassini di suo padre davanti alla sua bara. Come questo sia possibile; è una cosa straordinaria.
(silenzio)
Ha capito quel che ho detto? Un fatto straordinario. Un figlio che prega per gli assassini del padre, come si dice praesente cadavere: una cosa incredibile.
La singolarità cattolica
Tutti ci siamo commossi.
Commossi è poco. Io ho detto: un fatto straordinario…
(silenzio)
…e sono arrivato a concludere che voi cattolici avete qualcosa di singolare, di originale, di non ripetibile…
(silenzio)
Ecco, io voglio sapere come questo sia possibile in un essere umano.
Sentii che gli occhi del ministro interrogavano anche me; e che neanche io avevo una risposta pronta che non fosse di scuola. E che anch’io seguivo la via del silenzio.
È che voi cattolici avere una conformazione speciale che vi fa reagire in modo così sorprendente alle situazioni della vita anche le più tragiche.
Sappiamo qual è il vostro sentimento spirituale
La conversazione, che non c’era stata, terminò a quel punto, e ci lasciò sorpresi e incapaci di reagire. Il presidente partigiano si poneva certi problemi e ci spiazzava in modo così violento. Ci sembrò, al primo commento, di rinvenire una traccia profonda del Vangelo, sia nelle domande di Pertini sia nel nostro silenzio.
A me venne di ricordare un altro incontro con Pertini una sera a Torino durante il Congresso del PSI, che si era svolto mentre Moro era tenuto prigioniero delle BR. Ero a cena con gli amici delle Acli e al tavolo accanto c’era Pertini con i suoi amici socialisti.
Non avevo una particolare confidenza col futuro Presidente della Repubblica, ma lui mi riconobbe, si alzò, mi si avvicinò e un po’ teatralmente, con la sua voce inconfondibile mi disse: «Sappia che vi dobbiamo solidarietà e amicizia, non solo perché hanno rapito una grande uomo politico della vostra parte, ma anche perché sappiamo quale è il vostro sentimento spirituale e riconosciamo che avete qualcosa che altri non hanno nella capacità di vedere i fatti della storia umana».
La preghiera laica e le figure credenti
Quel ricordo mi riportò nelle vicinanze di un Pertini al quale certamente non mancavano la capacità di percepire le gioie e i dolori delle vicende umane e che era capace di mettersi in sintonia con gli uomini del suo tempo nell’affrontare i tragici eventi che stavamo vivendo in quella stagione dolorosa del nostro paese.
I due fotogrammi affiancati (la telefonata dal Quirinale e la stretta di mano di Torino) mi portarono a constatare che Pertini aveva una grande considerazione di figure cattoliche come Moro e Bachelet; e li considerava uniti in quella preghiera laica che cercava di specchiarsi nelle espressioni di figure credenti come, nel caso ultimo, il figlio di Bachelet.
Ma ora, lasciando sullo sfondo le commemorazioni pubbliche, mi vengono alla mente altre immagini della vita di Vittorio e degli incontri che ebbi con lui. L’ultimo proprio la sera antecedente il suo assassinio. Siamo stati a lungo a conversare di questioni riguardanti le Acli, di cui ero allora Presidente.
Vittorio Bachelet
Ci appartammo nel vano di una finestra dell’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, dove eravamo per l’annuale ricevimento, e parlammo di tante cose. La principale delle quali era il destino del convegno ecclesiale su «Evangelizzazione e promozione umana» alla cui preparazione avevamo lavorato insieme, producendo in particolare quel «documento preparatorio» nel quale restano scolpite le figure di una Chiesa in grado di proiettarsi nei tempi nuovi di una cristianità rimodellata dal Concilio.
In qualche modo siamo stati tutti discepoli di Bachelet specie per la sua visione di un’Azione cattolica liberata dai vincoli di una pastorale politica e orientata ai traguardi di una formazione spirituale che liberava il cristianesimo dai lacci di una disciplina tanto severa quanto indebita.
Partecipazione alla vita della Chiesa italiana
Spiace rilevare che, tra i tanti approcci alla figura di Vittorio Bachelet, alla quale la stessa preghiera del figlio Giovanni rinvia con forza, pochissime siano state finora le evocazioni del suo ruolo ecclesiale, sopraffatto dal peso della sua figura pubblica e dei suoi compiti istituzionali.
Ecco gli spunti da non lasciar cadere e da riprendere con vigore perché in essi sono le fonti di un magistero unitario che costituisce la matrice di un insegnamento da considerare nel suo insieme.
Grazie infinite a Domenico Rosati per questo illuminante squarcio di memoria, che genera nostalgia di un tempo faticoso sì ma frequentato da altre persone, capaci di un’altra e alta politica