L’11 marzo 1924 nasceva a Venezia Franco Basaglia. Il centenario è stato ricordato in Italia soprattutto da chi l’ha conosciuto e ha lavorato con lui, o comunque da chi a lui si è ispirato nell’assistenza alle persone con diagnosi psichiatriche, in particolare quelle più povere e a forte rischio di emarginazione.
Basaglia, che veniva dalla Clinica Neuropsichiatrica di Padova, incontrò i folli internati nel manicomio di Gorizia, stabilimento di cui divenne Direttore nel 1961. Allora i manicomi erano istituti la cui vita era regolata da una legge del 1904 che stabiliva che una persona, una volta diagnosticata affetta da una malattia mentale, fosse da ritenersi automaticamente «incapace di intendere e di volere» e «pericolosa per sé e per gli altri»: perdeva, di conseguenza, tutti i diritti civili e politici e veniva internata, appunto, in manicomio. La struttura era sanitaria, il Direttore ne era un medico e il personale di assistenza era costituito soprattutto da infermieri; era amministrata dalle Province e di solito posta ai margini delle città.
La persona “folle”, una volta internata, veniva spogliata dei suoi abiti, per indossare quelli dell’Istituto, non poteva tenere con sé il proprio denaro, né comunicare con l’esterno: anche la posta era controllata e acclusa alla cartella clinica; gli incontri con i famigliari avvenivano in locali separati – i parlatori – alla presenza, sempre e comunque, di un infermiere. Le donne erano rigidamente separate dagli uomini.
La vita quotidiana si svolgeva in reparti a porte chiuse, di cui solo il capo-infermiere possedeva le chiavi. Gli ambienti erano suddivisi in dormitorio e soggiorno, nel quale le persone ricoverate trascorrevano le ore diurne e consumavano i pasti. Esistevano poi gli stanzini di isolamento nei quali le persone “difficili” venivano legate, anche per settimane.
Le persone ricoverate erano contate almeno due volte al giorno, al mattino e alla sera perché il mandato fondamentale conferito al personale era quello della custodia: la “fuga” del matto era evento da evitare in tutti i modi e, quando accadeva, pesanti sanzioni ricadevano sul personale in servizio.
Nei reparti di degenza non si svolgeva alcuna attività: vigeva quello che era chiamato “ozio passivo”.
Nel manicomio erano attive solo le funzioni legate alla cucina, alla lavanderia, al guardaroba; spesso c’era una colonia agricola nei campi vicini, con orti e, talvolta, stalle: spazi nei quali una assoluta minoranza delle persone degenti lavorava alle dipendenze di personale esterno salariato; era l’unico modo per trascorrere parte del tempo fuori dal reparto. Il lavoro delle donne e degli uomini degenti non era remunerato in quanto considerato terapia: era infatti chiamato “ergo-terapia”.
Franco Basaglia aveva partecipato alla Resistenza ed era un uomo di grande cultura. A Gorizia incontrò una umanità derelitta, senza speranze. Cosa fece di speciale? Un gesto semplicissimo: si mise a parlare con i matti, non presi singolarmente, uno ad uno, bensì insieme, in comunità, con riunioni di reparto: tutti seduti, insieme, con tanto tempo per ascoltarsi.
Da quel gesto così semplice ebbe inizio la “rivoluzione basagliana”: dal riconoscimento che i folli saranno stati pure “pure” dei malati, ma non erano “solo” tali, perché avevano desideri, progetti, speranze, affetti, relazioni famigliari, sociali: erano e sono umani, come tutti.
La legge manicomiale del 1904 venne abrogata dalla legge 180 del 1978 che, da allora, riconosce i diritti di cittadinanza delle persone con disturbo mentale, ha chiuso i manicomi, istituito i Servizi detti “di Salute Mentale” che valorizzano il protagonismo di utenti e famiglie, gestiscono progetti di vita e di lavoro nei quali il consenso delle persone coinvolte è condizione costitutiva.
Stiamo parlando di esperienze professionali, scientifiche, politiche di cui la nostra Repubblica può essere orgogliosa.
In occasione del centenario della nascita di Franco Basaglia Poste Italiane hanno emesso un francobollo celebrativo. Ma nulla hanno detto di questo grande italiano i membri del Governo in carica, a partire da Orazio Schillaci, Ministro della Salute.
Nel ringraziarLa per il Suo articolo, segnalo il bel libro della scrittrice Viola Ardone, dal titolo “Grande Meraviglia” (2023): narra la storia di Elba, degli anni trascorsi in manicomio, dell’incontro con il dottor Fausto Meraviglia, del suo riscatto. In trasparenza, la legge Basaglia. E’ il racconto di un’esperienza di vita, certamente replicabile in storie di persone reali, di cui “la nostra Repubblica può essere orgogliosa”. Grazie per aver fatto memoria.