«Ero poco lontano dalla stazione, in Lambretta, ho sentito uno scoppio enorme. Allora ho detto: “È una bomba”. Sono corso subito, senza nemmeno prendere gli Oli Santi. Per prima ho visto una donna a terra sui binari: chiedeva aiuto ma era bloccata da una trave di ferro. Non sono riuscito a liberarla. Vicino a lei c’era un giovane, morto, con la testa aperta, spaccata; gli ho dato la benedizione. Poi, con i primi volontari, ho cominciato a scavare. Con le mani, sì. Quando sono arrivati i soldati, mi hanno dato dei guanti».
Così raccontava, al settimanale Gente, il salesiano Paolo Annoni accorso sul piazzale della stazione di Bologna il 2 agosto 1980 pochi minuti dopo lo scoppio della bomba che aveva causato il crollo di un’ala della stazione e provocato 85 morti e oltre 200 feriti.
La risposta della città
Il racconto di don Annoni ci restituisce l’immagine di una reazione pronta, immediata messa in atto da cittadini, volontari, professionisti del soccorso, forze armate, ferrovieri, medici ed infermieri che si precipitarono in stazione per offrire mani per scavare, per benedire, per portare da bere, per medicare, per coprire e trasportare le salme, per consolare, per accompagnare, una reazione che ci restituisce la descrizione di un agire collettivo, cifra di quegli anni Settanta di cui la strage di Bologna, in un certo senso, segnò il confine.
Una mobilitazione che proseguì nei giorni successivi quando arrivarono a Bologna lettere, telegrammi, sottoscrizioni per i feriti e per i familiari delle vittime e vi furono manifestazioni in difesa della democrazia in cui i cittadini chiedevano verità e giustizia, richiesta che fu alla base della genesi dell’Associazione fra i familiari delle vittime che nacque all’inizio del giugno 1981, prima fra le associazioni di questo tipo, fortemente voluta da Miriam Ridolfi, allora assessore al decentramento.
Un percorso complesso quello della giustizia che ha portato, nel 1995 e nel 2007, a sentenze definitive che hanno individuato esecutori materiali, appartenenti all’organizzazione neofascista Nuclei armati rivoluzionari, e depistatori, uomini dei servizi segreti e Licio Gelli.
Le sentenze
Sentenze poco conosciute, e spesso sottovalutate, che sono state considerate molto importanti dall’Associazione ma non sufficienti per avere la verità completa, mancando ancora l’individuazione dei mandanti e proprio per questo, nel 2011, l’Associazione dei familiari delle vittime presentò alla procura di Bologna alcune memorie, frutto di un particolare lavoro di ricerca sui documenti processuali inerenti la strage di Bologna, le stragi avvenute in Italia dal 1969 e altri reati compiuti dai gruppi terroristici di estrema destra, ricerche rese possibili dalla scansione dei documenti e del loro inserimento nei sistemi informatici.
Queste memorie hanno portato all’apertura di un processo nei confronti di Gilberto Cavallini, appartenente anch’esso ai Nuclei Armati Rivoluzionari, condannato nel mese di gennaio 2020 in primo grado per concorso nella strage e alla notifica di fine indagine per l’inchiesta sui mandanti e sui finanziatori. In questo momento ogni azione è sospesa a causa della situazione sanitaria del nostro Paese, ma confidiamo che a breve questo percorso possa riprendere.
In alcuni casi verità storica e verità giudiziaria non coincidono, in alcuni divergono: nel caso della strage alla stazione non vi è evidenza di contraddizioni tra la ricostruzione giudiziaria e quella storica e, quindi, la strage di Bologna si inserisce nella storia della cosiddetta “strategia della tensione” che iniziò nel 1969 con la strage di piazza Fontana, e gli attentati che la precedettero, ed ebbe nel 1974, con le stragi di Brescia e dell’Italicus, la fine di una sua prima fase.
Conoscere la storia
In seguito vi furono mutamenti nella politica nazionale ed internazionale, mutamenti generazionali nei gruppi neofascisti e cambiamenti, in parte, nelle loro azioni e quindi negli anni successivi cominciò una seconda fase di quella strategia che ebbe la sua conclusione nel 1980 e che prevedeva l’uso del terrorismo, indiscriminato, per condizionare la politica, per spingere i cittadini italiani ad avere sfiducia nella democrazia, per “distruggere il sistema” nel contesto degli anni Settanta in cui vi era una forte energia civica e un diffuso impegno politico che, indubbiamente, fu messo duramente alla prova dal terrorismo e che, al contempo, ebbe un ruolo essenziale nella reazione alle stragi e alla volontà di stravolgere la struttura democratica del nostro Paese.
Una storia, questa, poco nota e a volte, purtroppo, sottoposta ad un abuso politico che ne impedisce una comprensione diffusa, mentre conoscerla ci permetterebbe di comprendere appieno il passato della nostra società per dipanare i fili che ci hanno portato a questo nostro presente e proprio per questo diventa estremamente importante divulgare la conoscenza storica di quegli anni e conservare la memoria delle stragi inserendole nel calendario civile.
Per fare ciò è indispensabile pensare a progetti tali da coinvolgere gli studenti e i cittadini utilizzando gli strumenti della ricerca storica e della public history per preparare un percorso che abbia nella commemorazione ufficiale una sua tappa vissuta al di là di ogni possibile retorica.
Rispetto alla strage di Bologna questo percorso è stato attivato, anche grazie ad una collaborazione fra l’Associazione dei familiari delle vittime e l’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna che ha portato al coinvolgimento di studenti, docenti, cittadini con progetti che hanno permesso la ricostruzione delle biografie delle vittime, la valorizzazione della stazione come luogo di memoria e l’ascolto dei testimoni.
Si può quindi affermare che il 2 agosto sia davvero una data del calendario civile di cui si diceva più sopra anche grazie al fatto che la celebrazione segue quel canone memoriale ripetuto, praticamente identico, dal primo anniversario della strage per tutti gli anni successivi, mentre ciò che mutavano erano le iniziative che accompagnavano, per tutto l’anno, cittadini e studenti verso la celebrazione.
2 agosto 2020
Per la particolare situazione che stiamo vivendo, la partecipazione in piazza Maggiore e poi in stazione il 2 agosto sarà contingentata, forse non ci saranno tutte quelle iniziative che abitavano lo spazio pubblico in occasione della commemorazione.
Si sono cercate, per questo, soluzioni compensative, si è cercato di occupare le piazze virtuali e si cercherà di essere, seppur simbolicamente, su quelle fisiche perché dobbiamo esserci in modo collettivo visto che non possiamo interrompere il filo del ricordo e della storia perché non si deve lacerare il tessuto che ha avvolto, protetto, riscaldato la memoria collettiva della nostra città e del nostro Paese.
Per saperne di più:
- Si ringrazia la redazione di EsseNonEsse e l’autrice per il permesso di pubblicazione su SettimanaNews.