Se ne è andato, il 14 marzo, il card. Danneels, uno dei grandi arcivescovi del dopo-concilio Vaticano II. Era un fiammingo.
Licenziato in filosofia all’università di Lovanio (Belgio) e laureato in teologia alla Gregoriana di Roma, è stato professore di teologia e dottrina dei sacramenti nel seminario di Bruges, incaricato della formazione dei preti e quindi professore a Lovanio.
Nominato vescovo di Anversa nel ’77, divenne arcivescovo della storica sede di Malines-Bruxelles nel ’79, succedendo al cardinale Suenens, uno dei quattro moderatori dell’assise ecumenica. Affabile, conversatore squisito (parlava l’italiano con sorprendente fluidità), molto stimato.
Lo conoscevo dal 1984 e andavo a trovarlo di frequente, soprattutto nei momenti difficili della Chiesa post-conciliare e l’incalzare della secolarizzazione. Lo ascoltavo con interesse, gli ponevo anche le domande più scottanti. Non si è mai sottratto.
All’inizio del terzo millennio, eminenti personalità della Chiesa avevano la sensazione che si fosse di fatto perso tempo nelle riforme e che si dovessero imboccare altre strade. Le tensioni si accentuavano tra le Chiese cristiane, la curia romana la si sentiva ingombrante, movimenti e comunità andavano alla ricerca di approvazioni con abili sotterfugi, conferenze episcopali sotto controllo da parte della Congregazione per la dottrina della fede, si facevano nomine episcopali discutibili, difficile il dialogo con gli ortodossi, soprattutto nell’ex Unione Sovietica dopo il crollo del comunismo per improvvide attività di proselitismo e anche con gli anglicani a motivo dell’ordinazione delle donne e di talune loro posizioni in campo etico. Segni di scoraggiamento serpeggiavano dovunque.
In una delle tante conversazioni gli ricordai il grande teologo tedesco, Karl Rahner, il quale diceva che bisognava ritornare al silenzio per capire di più la parola. Troppe parole da parte della Chiesa? Mi rispose: «È vero. Abbiamo trasformato il discorso della montagna in una montagna di discorsi. Bisognerà certamente intervenire ancora, ma sono necessari il silenzio, l’interiorità, il pentimento, la preghiera, l’unione con Dio, la semplicità. Fare come san Francesco, la cui regola era il vangelo puro. Si deve trovare il senso della semplicità, della povertà di parole, di prestigio e di mezzi» (Regno-attualità 22,1998, p. 723).
Gli facevo notare la mancanza di vocazioni, le chiese sempre più vuote, l’indifferenza, la perdita di tante strutture. Il Belgio, ad esempio, ne aveva tante. Mi rispose: «Non so che cosa voglia il Signore con la diminuzione di vocazioni. È un mistero. La Chiesa non ha mai fatto così tanto per le vocazioni come in questi tempi. Ma si riflette per lo più a partire dalla sociologia, dalla psicologia, dalla religione, ma non dalla teologia, cioè da Dio. Stiamo entrando in un periodo di esilio per ritrovare il senso dell’interiorità e della povertà. Il popolo di Israele diceva di non avere né città santa, né tempio, né profeti, né sacerdoti. Bisogna diventare più discreti e semplici. Il Dio della Bibbia è il vero Dio e forse ce ne siamo dimenticati. In Belgio, ad esempio, cinquant’anni fa, avevamo tutto: personale, prestigio, potere, finanze, chiese, sacerdoti, religiosi e religiose, seminaristi e tantissimi missionari. Forse il Signore vuole che impariamo a non far niente senza di lui e forse, prima di capire questo, dobbiamo trascorrere un certo periodo di povertà. Non è facile, ci sono tante sofferenze e strappi, ma è un cammino pasquale» (ivi).
Ovviamente un altro tipo di Chiesa: «La Chiesa si deve imporre nella società con la qualità della sua vita interiore e non con la quantità, si deve imporre con la testimonianza, con il messaggio, con l’impegno per i poveri. Tutto il resto è decorativo. Penso che stiamo andando verso questa strada, contro la nostra volontà perché non è facile. Quando si hanno troppi mezzi, si perde la gioia e ci si affida ai calcoli» (ivi).
Gli ricordai in un incontro la figura di Jacques Loew, che avevo conosciuto in una casa di religiose nei pressi di Bordeaux, affascinato dalla forte personalità di Madeleine Delbrêl. Era ateo, poi si convertì, divenne prete operaio nei bassifondi di Marsiglia, predicò gli esercizi spirituali alla curia romana ai tempi di Paolo VI. Diceva che la Chiesa dovrebbe dimagrire perché ha troppo. Ancora la risposta di Danneels: «Per la verità, noi non vorremmo dimagrire, ma è il Signore che ci manda un periodo di povertà. È comunque un periodo appassionante e interessante, anche se non è facile. Negli anni ’60 abbiamo creduto nelle quasi illimitate possibilità dell’uomo. Adesso siamo come il popolo d’Israele lungo i fiumi di Babilonia» (ivi).
Per il Vaticano era diventato scomodo. Quando divenne emerito, gli succedette André Leonard, teologo stimato da Ratzinger, di tutt’altro stampo, con sorprendenti posizioni integraliste.
Quando divenne emerito, si riparò con la nomina di Jozef de Kesel il 6 novembre 2015, trasferito da Bruges, uno dei più convinti estimatori di papa Bergoglio, creato subito cardinale, a differenza di Leonard, nel concistoro del 19 novembre 2016.
Caro Francesco,
Il cardinale Danneels era un uomo con squisite capacità di dialogo e di cultura. Gande ammiratore dell’arte religiosa e secolare ha dichiarato tante volte che il futuro della società sta nei principi di bontà, bellezza e nei rapporti umani. Era davvero un uomo buono, di grande dialogo e di preoccupazione per quanto accadeva nella società. Ci teneva a creare dialogo fra i partiti politici come anche fra i vescovi che in diocesi avevano magari orientamenti diversi su alcuni temi. Nel contesto europeo della CCEE il cardinale era molto stimato, collaborando con il cardinale Martini e altri ad una riflessione sociale sull’Europa di domani. Per me personalmente è stato una guida importante, almeno due volte all’anno andavo a colloquio con lui quando era ancora in carica. Sono stati per me momenti memorabili, da ricordare sempre. La cosa che mi ha colpito di più nel cardinale Danneels era il suo ‘humor’, sapeva godere di momenti di dialogo tra vescovi e sacerdoti come anche tra i laici, raccontando cose dalla vita ordinaria e godendo di cose accadute in questi tempi.
“Humor” e santità sono gli aspetti che voglio ricordare dal cardinale Danneels.
Con un caro saluto.
Il vescovo Luc Van Looy