Un film di valore, con un protagonista reduce dall’interpretazione di un famoso boss mafioso, e una serie di manifestazioni dedicate a lui, Bettino Craxi, in occasione dei vent’anni della sua scomparsa. Dedicate, tendenzialmente, all’uomo di stato perché ne venisse compresa la grandezza, in realtà frequentate da un ceto politico non sai se più piangente per la perdita o più riconoscente per i benefici ricevuti consule Craxi.
È quanto autorizza a scrivere che si è mancato di mettere a fuoco la figura di questo protagonista della politica italiana costringendola a non uscire dalla gabbia del suo tempo, dove i limiti sovrastano i conati di grandezza, che pure sono esistiti anche se spesso in misura sovrabbondante.
Una zona inesplorata
Si è rimasti così al di qua della linea oltre la quale sarebbe stato possibile comprendere il significato di un’azione politica che cercava di interpretare il riformismo non solo come rifiuto del comunismo ma anche come consolidamento di un capitalismo “compassionevole”, come diceva Ronald Reagan, dominus delle tendenze politico-sociali al di là dell’Atlantico.
Ed era quello, precisamente, il recinto in cui veniva ad essere rinchiuso, per l’Italia, il movimento che partiva dalle novità che si registravano, su scala mondiale, nel campo della ricerca della pace che si era aperta con l’Atto finale di Helsinki relativamente al disarmo e ai diritti umani, che pure stava avendo un grande impatto nell’Unione Sovietica di Gorbaciov. Per cui il card. Silvestrini, che aveva costruito quell’accordo tra Est e Ovest per conto della Santa Sede, era esaltato per fare in Italia il nuovo Concordato, una cosa buona e giusta, ma non per dare respiro ad un’azione per la pace che non sarebbe stata possibile se non mettendosi in sintonia con i grandi impulsi pacifisti in atto per premere sull’URSS e sugli USA al fine di far regredire l’installazione degli “euromissili”.
Era, quella del Psi di Craxi, una posizione opposta a quella dei partiti socialisti del resto d’Europa con i quali – qui parlo a nome delle Acli – ci trovavamo in tutte le piazze e in tutti i centri d’installazione d’Europa, a partire da Comiso, nel deprecare il pericolo incombente, mentre il Psi era in prima linea nel sostenere ad oltranza la tesi del riarmo nucleare.
Una polemica improduttiva
Su un piano più specifico, sempre per l’Italia, Craxi si dimostrava ostile all’evoluzione del Pci in atto sotto l’impulso di Berlinguer, e perciò non favorevole alla politica di solidarietà nazionale patrocinata da Moro, e in ciò veniva a collegarsi con tutte le forze che a tale impresa si opponevano nel nostro paese, fino a ricercare e a trovare l’alleanza delle correnti più destrorse della Dc piuttosto che quella delle sinistre che avevano aderito al progetto di Moro.
Cercando attorno a questi problemi, può spiegarsi così l’oscillazione di Craxi nei giorni successivi al rapimento di Aldo Moro. Posso dire di esserne stato testimone diretto. Dalla linea della fermezza intransigente proclamata al congresso Psi di Torino, al quale partecipai con la delegazione delle Acli. al patrocinio dello scambio “uno contro uno”, cioè la liberazione di Moro per la grazia ad un/a brigatista, scambio al quale Craxi volle personalmente chiedere la mia adesione e con essa quella delle Acli, portando a sostegno della sua proposta un asserito consenso del segretario della Dc Benigno Zaccagnini che – lo potei accertare direttamente – risultò essere sicuramente contrario.
Un eccesso di silenzio
Evocando questi episodi di contrasto, non intendo certamente rinfocolare spunti polemici che né allora né successivamente trovarono spazio nelle posizioni delle Acli. Lo faccio solo per sottolineare che, ricordando Craxi nella circostanza del ventennale della sua morte, si sarebbero potute approfondire le ragioni per cui certi atteggiamenti furono presi e non altri, che pure sarebbero stati possibili.
Da parte mia – e delle Acli per la mia stagione – mi sento solo di rendere conto delle ragioni per cui con il Psi di Craxi non scendemmo mai ad una dura polemica. Si trattò del fatto che, al momento dello scioglimento del MPL di Livio Labor, dopo la disfatta elettorale del 1972, molti dirigenti e militanti delle Acli passarono nelle file del Psi. E non erano né malfattori né altrimenti “chiacchierati”, ma – a cominciare da Labor – persone di sicura integrità oltre che di certa fedeltà alla causa della democrazia e dei lavoratori.
Per questo rimasi sorpreso del loro silenzio, come di quello della mia vecchia organizzazione, quando Craxi pronunciò il suo famoso discorso parlamentare sulla corruzione della politica. Il cui senso era: è certo che tutti si finanziano in modo scorretto e dunque noi socialisti non siamo qui per ripristinare la correttezza, ma esattamente il contrario: se tutti sono scorretti, possiamo esserlo anche noi.
Per la verità, anche nell’anniversario, quel discorso è stato circondato da un eccesso di enfasi. Peccato. Sarà per un’altra volta.