Dumitru Staniloae, morto novantenne nel 1993, è riconosciuto come uno dei grandi teologi ortodossi del secolo scorso. Così lo ricorda Francesco Strazzari.
Dumitru Staniloae (16 novembre 1903 – 5 ottobre 1993) è giustamente riconosciuto come uno dei grandi teologi ortodossi del secolo scorso. La sua opera principale è la Filocalia rumena e il suo percorso teologico-spirituale affonda le radici nei Padri della Chiesa, soprattutto Gregorio di Nissa, Massimo il Confessore, Atanasio il Grande.
Lo incontrai più volte nella sua semplicissima casa a Bucarest. La moglie, una donna minuta e dolce, e lui un omone ieratico. Era il 1958, quando fu messo in carcere senza alcuna colpa. Lo dicevano già allora un “mistico” e veniva incolpato di lavorare a favore della fede. Rimase in carcere fino al 1964.
«Là ho potuto predicare, annunciare il Cristo, perché vi erano uomini con molta fede. In quel tempo c’era molta fede e si ascoltava con grande attenzione quello che dicevo. Facevo delle preghiere e tutti pregavano con me. Abbiamo sofferto molto, venivamo percossi, vivevamo in una situazione da far spavento, senza riscaldamento, senza letti, si dormiva sul pavimento. In quel tempo vi erano più di 150 preti in prigione e quattro morirono di stenti. Uomini innocenti. Si voleva distruggere la fede».
Si dava una spiegazione di come il popolo affrontava tanta sofferenza. «Il popolo romeno è stato formato nello spirito della “filocalia”, spirito ascetico, che dà grande importanza alla pazienza. La pazienza è una forza. E con la pazienza, in un certo senso, ci si perfeziona. Questa perfezione raggiunge l’assoluto. La pazienza è pure un mezzo di mortificazione.
Ci si appella al sacrificio di Gesù Cristo. Ha vinto i nemici con il sacrificio ed è per questo che, pazientando, il popolo arrivò all’insurrezione nel dicembre dell’89, che portò alla fucilazione di Ceaucescu e della moglie Elena, dopo un sommario processo a Targoviste il 25 dicembre. Il popolo cantò vittoria. Fu la più nobile vittoria. Il popolo s’incontrò con l’assoluto. Nel sacrificio c’è la speranza di arrivare a Dio. Si arriva alla risurrezione».
Alla gerarchia ortodossa romena si rimproverava di essere silenziosa nei confronti del dittatore. Il palazzo del patriarca Teoctist fu invaso dai dimostranti, tanto che lo costrinsero alle dimissioni.
«È vero, ma è pur vero che i capi della Chiesa ortodossa hanno preservato la fede. Ci fu qualche accomodamento verbale per conservare la continuità della liturgia e della vita religiosa. Certi capi della Chiesa hanno fatto qualche concessione verbale, ma la maggior parte dei preti ha sofferto ogni sorta di persecuzione, di rigorosa e onnipresente sorveglianza, ha praticato la liturgia, ha mantenuto la continuità della vita cristiana».
La sua considerazione sull’ideologia marxista: «È una ideologia che conduce alla ferocia, è capace di tutte le mostruosità. Senza Dio, l’uomo è capace di tutto il male, è capace di azioni diaboliche. Il cristianesimo è la sola concezione che dà all’uomo la possibilità di arricchirsi nella bontà. Se io escludo l’altro, l’altro esclude me, ed ecco la lotta».
Gli chiesi, subito dopo la fucilazione di Ceaucescu: «Dove sta la forza del cristianesimo? Il risveglio nei paesi dell’Est scuoterà le Chiese?». «Me lo auguro e lo sogno. Le Chiese devono trarre profitto da queste esperienze che stiamo vivendo. Devono dimostrare la forza del cristianesimo non solo con argomenti di pura teoria, ma con i fatti. Tutto quello che ha detto Gesù Cristo deve essere messo in pratica. Non ha dato una concezione della vita, ma un modo di vivere. Ha detto di amarsi perché Dio è amore, amore infinito. È il fondamento della fede cristiana.
Per questa ragione gli uomini devono ritornare al cristianesimo. Preti e capi delle Chiese devono diventare santi vivendo per gli altri. Nella misura in cui si vive per l’altro, si diventa più ricchi. Ci si arricchisce reciprocamente. Questi devono dire i preti e i vescovi. Credo che l’ortodossia abbia questa possibilità, perché si fonda sul vangelo e sui santi padri. Le filosofie sono fredde. Persino la scolastica è fredda, troppo razionale, separa Dio e il mondo. L’ortodossia ha il senso del mistero e il mistero è Dio e Dio è in noi».
Staniloae mi diede la definizione di sé che sentiva più appropriata: «Sono un contadino-teologo. I miei genitori mi hanno dato la fede. Gli intellettuali hanno fatto tutto il possibile per rovinarmela. Il popolo ha conservato la spiritualità, l’unità, la fede, la delicatezza. L’intellettualismo non ha questo. Volendo capire tutto, finisce con il capire niente. Si vuole distruggere la vita del villaggio e delle contrade di campagna. Invece si deve ritornare al villaggio, là dove il popolo vive la natura, si sente in comunione con il creato e il Creatore. Nel villaggio ognuno va in chiesa, tutti s’incontrano nella chiesa, pregano insieme e, quando escono, c’è fraternità».
Qualche giorno dopo la caduta di Ceaucescu mi disse: «Con grande gioia ringrazio il Signore che mi ha concesso di vedere dove è arrivato il mio popolo: la libertà. Desideravo di non morire senza vedere il mio popolo libero».
Grazie a Francesco Strazzari per questa memoria di p. Dumitru (non Dumitri) Staniloae.
La grandezza di questo teologo romeno non avrebbe a risentirne qualora si sottolineasse la sua non difendibile reticenza nel giustificare l’atteggiamento collaborazionista con il regime comunista di certa gerarchia ortodossa romena che ancora oggi non ha riconosciuto come dovrebbe i propri errori: solo il povero Metropolita del Banato Nicolae Balan lo ha fatto! Verissimo che tanti preti ortodossi hanno pagato carissima la loro fedeltà cristiana, ma non si mescolino i piani.
Non soffrirebbe la grandezza di Staniloae anche se si menzionassero i toni a dir poco infelici della sua polemica con Lucian Blaga, poeta e filosofo romeno di alto profilo intellettuale, a lui contemporaneo.
Ciò detto, la Romania di cui parla Staniloae non esiste più e non avrebbe mai più potuto esistere: il villaggio di cui la chiesa sarebbe centro è finito per sempre. Con tutte le sue ambivalenze.