La mitica e storica figura di vescovo nella Spagna degli anni ’80, mons. Alberto Iniesta, è morto domenica 3 gennaio nella sua Albacete all’età di 92 anni. Lo incontrai la prima volta quando al soglio pontificio era da poco salito il giovane Giovani Paolo II. Iniesta era ausiliare del cardinale Tarancon per la zona «rossa» di Vallecas ( Madrid). Viveva poveramente ed era impegnato politicamente. Aveva il volto di una dolcezza indescrivibile. Lo chiamavano il «vescovo rosso». Alla fine del ’79, il cardinale Baggio, prefetto della Congregazione per i vescovi, lo chiamò a Roma. Molti preti si riunirono a Madrid per manifestargli la loro solidarietà. Scrissero al nunzio Dadaglio, al quale in Vaticano non dava ascolto. Le comunità popolari erano in fermento. Chiesi a mons. Iniesta il perché di tanto clamore. La risposta: «Sono stato interpellato dal cardinale Baggio, non solo ascoltato. Ripeto, interpellato. Ho dovuto rispondere a una serie di domande, un colloquio-dibattito di cinquantacinque minuti su un po’ di tutto. Già dai tempi di Paolo VI pendevano sul mio conto molte denunce, più fitte negli ultimi tempi. Al cardinale Baggio ho detto che non potevo cambiare la mia posizione, perché mi sentivo profondamente in sintonia con il Vaticano II».
A Iniesta l’ala conservatrice della Chiesa spagnola rimproverava la spregiudicatezza teologica (aveva studiato nell’università pontificia di Salamanca), la creatività liturgica ( era un poeta mistico), l’impegno sociale e politico ( comunità di base popolari), il profetismo ad oltranza, la disobbedienza agli insegnamenti e alle direttive del papa. Dava invece l’impressione di un uomo di una pietà profonda, di una cultura sorprendente, di una rara capacità di ascolto. Il cardinale Tarancon era duramente attaccato; alcuni teologi erano sotto investigazione da parte della Congregazione per la dottrina della Fede; l’Opus Dei, che godeva la simpatia di Giovanni Paolo II, era scatenata, alla ricerca della «prelatura personale» e accusava di marxismo i più noti teologi del tempo. Si parlava sempre più frequentemente di un trasferimento di mons. Iniesta. Vi si opponevano Tarancon e Dadaglio. Chiesi al «vescovo rosso» se la voce avesse un fondamento. «Se dicono che qui rovino la gente – mi rispose – vuole che rovini un’altra diocesi?». E mi accompagnò alla porta della sua modestissima dimora sorridendo francescanamente.