La morte di mons. Enzo Lodi, nella giornata di ieri, a 96 anni, era stata preceduta da un lungo periodo di silenzio e di ritiro.
Era nato nel 1926, divenuto prete nel 1948 e aveva insegnato Liturgia a Bologna, nel Seminario, dal 1965 al 2001. Lo avevo conosciuto a Padova, a fine anni 80, in un corso su “Sociologia e liturgia” e poi tante volte nei convegni di Torreglia, nelle Settimane dell’APL e in altre numerose occasioni. Era uno studioso fine, amante del dettaglio, e filologicamente dottissimo.
L’approccio suo era però enciclopedico: passava con grandissima facilità dal dettaglio alla sintesi, per tornare poi subito alla minuzia. Ma di tutto si interessava con vera passione, che manifestava nella parola, nel tono, nei gesti, nella postura e in una mimica formidabile. Con il suo accento bolognese portava facilmente al sorriso anche nei passaggi più impegnativi della argomentazione o della confutazione. Perché era uomo di grandi confutazioni, appassionate, ma senza severità. Il suo “Enchiridion” delle fonti liturgiche (CLV 1979) resta un’opera di singolarissima sintesi, allo stesso tempo uno strumento e un progetto di rilettura della tradizione liturgica.
Ma non si possono dimenticare, di lui, le singolarissime presenze ai Convegni o nelle Commissioni. Dove facilmente entrava in contrasto con altri, ma sempre con uno stile inimitabile.
Non l’ho mai visto a Saint-Serge, a Parigi, di cui era frequentatore stabile, e dove discuteva con ardore sul celibato con ortodossi e protestanti. E le battute, che lui stesso raccontava, sui confratelli sposati delle Chiese orientali o occidentali erano sempre uno spasso di leggiadria sagace! D’altra parte, era uomo molto sensibile, quasi senza difese.
Raccontano che il giorno in cui Aldo Moro fu rapito dalle Brigate Rosse, stava facendo lezione a Padova, nell’Istituto di Liturgia. Quando ricevette la notizia, scoppiò a piangere e tornò rapidamente a casa, sconvolto e preoccupato. Un’altra volta, invece, durante un convegno intrecciò con Luigi Sartori, con il quale erano stati compagni di studi alla Gregoriana negli anni 50, una discussione secondaria, ma piacevolissima, sul “giusto accento” della parola “epiclesi”, che ora Lodi “convertito” pronunciava “epiclèsi” e nella obiezione Sartori gli contestava che avrebbe dovuto dire, allora, “régime” e non “regìme”.
Oppure nella Commissione CEI per la revisione del rito del Matrimonio, alla fine degli anni 90, sollevò mille obiezioni allo spostamento della benedizione dal suo “luogo antico” (dopo il Padre Nostro) dicendo: “I nostri fratelli di oriente ci criticheranno ferocemente, perché perderemmo il rapporto tra matrimonio e preghiera eucaristica… ma va bé è vero che però loro il matrimonio non lo celebrano mai nella messa, va bè”. I suoi “va bé” erano memorabili esempi di “sed contra” in salsa bolognese! E rendevano il dibattito tanto autentico quanto umano, penultimo, non ultimativo.
Nei casi in cui Enzo “si animava” spesso era Silvano (Maggiani) a trovare subito il registro migliore per farlo calmare. Il toscano e l’emiliano, separati soltanto dall’appennino, si intendevano subito, accentuando l’accento dialettale e così superando le resistenze. E ora potranno ridersela di gusto, guardano le cose dall’alto.
In ogni modo Enzo, con la sua presenza, non era mai uomo dei risentimenti o delle offese, anche se sembrava subito risentirsi e offendersi. Ma era un gioco, un gioco serissimo, ma solo un gioco. Immediatamente cambiava tono, entrava in sintonia, con qualche “va bè, va bè” sorrideva, ironizzava un poco, alzava le mani, si voltava per uno sguardo e si placava.
Anche la collaborazione con la Fondazione per le Scienze religiose di Bologna fu per lui un onore e un piacere. La biblioteca del Centro era la sua casa, il suo immaginario, la sua fonte, la sua ispirazione. E ne parlava come di una cara amica, con la quale quotidianamente intrecciava rapporti decisivi.
Con Enzo scompare un altro tassello importante della generazione che ha fatto la riforma liturgica, che ha partecipato al sorgere dei testi e dei gesti con cui oggi noi celebriamo.
Enzo era un uomo allo stesso tempo concentratissimo e distratto come pochi. Famoso fu l’episodio di quella volta in cui andò in auto ad una conferenza, poi tornò in treno a casa, dove, la mattina dopo, pensò che gli avessero rubato l’automobile. Ma questa distrazione era la misura bella di una concentrazione sulla “res” che lo padroneggiava totalmente. E che non gli lasciava scampo per le piccole cose di tutti i giorni, nelle quali poteva perdersi.
Noi però non perdiamo Enzo, che ha intessuto il dibattito liturgico di 40 anni, con serietà e competenza, partecipando alla scrittura di una parte dei nuovi testi postconciliari. Era forse il più amichevole dei liturgisti italiani, e ha segnato di amicizia le discussioni liturgiche più accese, come quando oscillava nella lettura tra Mazza e Giraudo, sulla origine dell’eucaristia, e apprezzava uno senza screditare l’altro e faceva sintesi personali, dicendo le benemerenze di ognuno, con le differenze, le peculiarità, i distinguo e aggiungendovi anche in mezzo molti “va bè, va bè”.
Va bene, Enzo, va bene così. Ti abbiamo conosciuto e ti abbiamo apprezzato con una gioia speciale. Lasci molto sapere e un sapore indimenticabile di ciò che può essere “onorare il proprio mestiere” senza lasciarsi sopraffare. Un esempio di sintesi tra attenzione e disattenzione, tra attrazione e distrazione, in una forma inimitabile.
Questo ricordo di don Enzo Lodi mi ha fatto felice. L’ho conosciuto molti anni fa quando celebrava messa la domenica in S.Petronio e riusciva a rendere quella celebrazione viva , familiare , partecipata, dove ci si sentiva perfettamente accolti: non perché facesse variazioni di sorta, ma perché c’era una sapienza liturgica assorbita fino al midollo… L’ho poi incontrato in contesti diversi, al Centro Universitario di S.Sigismondo ( anni 70) e all’Istituto per le Scienze religiose. Ricordo bene il suo intercalare, la mimica, le distrazioni, le battute imprevedibili…Ci ha lasciato un ricordo prezioso di fede, di sapienza, di umanità
Don Enzo , la vuole ringraziare un suo allievo che per tre anni ha seguito i tuoi corsi presso l’ISSR di Bologna. Per ricollegarmi alle osservazioni del prof. Andrea Grillo, non posso non ricordare in quante lezioni lei si perdeva simpaticamente a dialogare con un interlocutore immaginario, di cui proponeva l’obiezione e dava la risposta, fino ad esaurimento dell’orario; comunque i contenuti liturgici e teologici, che esponeva nelle lezioni e nei testi, molte volte mi hanno sorpreso per la profondità con cui mi sentivo interpretato, pur essendo di una generazione ulteriore. Ora l’accoglie il Mistero che tutti ci attende. Grazie don Enzo.
Caro Franco, hai proprio ragione. Sì, faceva così: costruiva nel suo discorso anche la obiezione, a cui dava spazio, per poi replicare, in una concatenazione forte, appassionata, quasi litigando con se stesso o con l’altro da sé, al quale sentiva il dovere di dare la parola. Uno spettacolo a lezione, nelle relazioni, negli interventi al microfono o nei commenti successivi.