Ioannis Zizioulas è stato senz’altro uno dei protagonisti, nella seconda metà del ’900, di un promettente e produttivo ritorno della teologia nel cammino della Chiesa e sulla scena della cultura.
La sua testimonianza e la sua opera, ricca e multiforme e, al tempo stesso, unitaria e coerente, è legata in origine all’inedita fioritura conosciuta dalla teologia nella Chiesa ortodossa in felice connubio tra la spinta a un rinnovamento in grande stile, che veniva dal mondo slavo, e la ritrovata consapevolezza di un radicamento creativo nella tradizione dei Padri orientali, che si risvegliava nel mondo greco.
Zizioulas è restato tenacemente fedele a questa duplice e, in definitiva, convergente ispirazione, intuendovi un positivo e fecondo fattore di rinascita e di maturazione della fede. E già in ciò è possibile cogliere un messaggio per l’oggi che viviamo: quando, a livello almeno dell’ufficialità, le cose non appaiono più così scontate.
Suo indiscutibile merito è stato quello di saper attingere, con creativa fedeltà, nella tradizione viva dell’evento di Cristo custodito e trafficato dalla tradizione ecclesiale, l’orientamento decisivo per interpretare e assumere le sfide del nostro tempo: dalla tutela e promozione della dignità della persona nella sua originaria vocazione ecclesiale e sociale all’assunzione radicale della crisi ambientale.
Senza indulgere a mode arcaicizzanti, ma sapendo discernere nello sviluppo del pensiero moderno i vettori più promettenti, individuandone le potenzialità e mettendo in guardia dalle possibili derive. Contribuendo così, con l’apporto specifico di una teologia di chiara matrice ortodossa, alla grande impresa in cui si sono impegnati, col loro peculiare accento, i maggiori teologi in ambito cattolico, evangelico e anglicano del secolo scorso: in una convergenza di cui forse ancora non avvertiamo tutto il significato e la portata nell’immaginazione del futuro della Chiesa.
Anche per Zizioulas, così come oltre un secolo prima per Antonio Rosmini, dalle «viscere della rivelazione» non solo è stata partorita nel passato – in dialogo critico con la cultura e la filosofia – una visione originale del senso dell’essere dell’uomo, della storia e del cosmo, ma anche oggi è possibile, ed anzi è più che mai necessario, impegnarsi a che ciò riaccada in un dialogo condotto a tutto campo. Ne va non solo del destino della Chiesa ma di quello dell’umanità.
Di qui il rilievo che rivestono le significative tracce in ordine all’articolazione di una complessiva ontologia trinitaria dischiusa dal cuore della rivelazione offerte da Zizioulas alla luce dell’eschaton una volta per sempre accaduto in Cristo e come tale reso efficace, nello svolgersi del tempo, grazie al mistero eucaristico e all’azione trasformante dello Spirito Santo.
Ma c’è un altro aspetto, e di prima grandezza, che qualifica la performance teologica di Zizioulas e che è in sé pregna di frutti ancora in buona parte da portare a maturazione: il suo per tanti aspetti determinante, e in ogni caso appassionato e costruttivo, impegno nel cammino ecumenico verso la piena e visibile unità delle molte Chiese nell’unica Chiesa di Cristo.
L’ho apprezzato di persona, tale impegno, in questi ultimi vent’anni nella ripresa – non scontata e non facile – del dialogo teologico tra la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica nella commissione mista internazionale a ciò deputata, e di cui a lungo Zizioulas, con signorile autorevolezza, è stato co-presidente con Walter Kasper.
Basti dire che il documento di Ravenna su Comunione ecclesiale, sinodalità e autorità, siglato nel 2007 (senza però la firma del Patriarcato di Mosca), non è pensabile se non si tiene conto dell’apporto di Zizioulas.
Ora – ciò va rimarcato – questo documento non costituisce soltanto un importante punto fermo nel percorso di dialogo sin qui svolto, ma viene a giocare in prospettiva un ruolo strategico nella definizione del cammino di riconciliazione creativa tra le due Chiese sorelle dell’Oriente e dell’Occidente.
In esso, infatti, se, per un verso, vengono condensati i promettenti risultati raggiunti nei precedenti documenti, per l’altro, vengono tracciate le linee di sviluppo di un’ecclesiologia in cui possono trovare pertinente declinazione le compatibili e complementari istanze fatte valere dalla Chiesa ortodossa e dalla Chiesa cattolica.
Il principio dell’“interdipendenza” tra primato e sinodalità sui vari livelli di realizzazione della Chiesa (locale, regionale, universale), che struttura il documento e che è dovuto, in gran parte, all’intuizione teologica e alla perizia dialogica di Zizioulas, permette di leggere con pertinenza le diverse e anche contrastanti fasi di sviluppo dell’ecclesiologia in Oriente e in Occidente (come per il primo millennio ha fatto il Documento di Chieti del 2013 e come – ci auguriamo – potrà fare il previsto documento sul secondo millennio), ma anche di aprirsi a un equilibrio nuovo e più maturo da esprimere, in fedeltà alla grande tradizione e con apertura agli impulsi dello Spirito Santo, in questo nostro terzo millennio.
Non è un caso che, da parte cattolica, le cose stiano andando decisamente in questa direzione, dopo il chiaro auspicio formulato da Giovanni Paolo II nella Ut unum sint (1995).
La costituzione apostolica di papa Francesco sul Sinodo dei Vescovi Episcopalis communio (2018) e la convocazione del “processo sinodale” (2021-2024) fanno ben sperare.
Del resto, basta rileggere il documento della Commissione Teologica Internazionale su La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa (2018) per rendersi conto dei frutti dell’interscambio tra teologia ortodossa e teologia cattolica propiziato da un ministero teologico sincero, illuminato e perseverante come quello di Zizioulas. La cui eredità – ne sono certo –, col passare del tempo, prenderà tutto il rilievo che merita.