Ernesto Cardenal è morto il 1° marzo scorso, un mese dopo aver compiuto 95 anni, in un ospedale di Managua. Personalità complessa: poeta, sacerdote e teologo della teologia della liberazione, politico, mistico e musicista, era nato il 20 gennaio 1926 in una famiglia benestante di Granada, in Nicaragua.
Cenni di vita
Dopo aver compiuto gli studi di letteratura all’università di Managua, si trasferì in Messico e quindi a New York. Compì numerosi viaggi all’estero, tra cui anche in Italia, Spagna e Svizzera.
Una volta tornato in patria militò nelle file della resistenza contro il regime, sostenuto dagli Stati Uniti, di Anastasio Somoza Garcia. Convertitosi al cattolicesimo nel 1956, decise di entrare come novizio nel monastero trappista di Nostra Signora a Getsemani (in Kentucky), dove fu discepolo di Thomas Merton. Lasciò il monastero nel 1959 per completare gli studi teologici a Cuernavaca, in Messico, dove venne ordinato sacerdote nel 1965.
Fu cofondatore della comunità religiosa, quasi monastica, prevalentemente contadina, di Solentiname, su un’isola nel Lago Nicaragua, dove fondò anche una colonia, chiamata degli artisti, dedicata alla pittura e alla scultura. Qui scrisse il libro El Evangelio en Solentiname (Il Vangelo a Solentiname).
Cardenal collaborò strettamente con il Frente Sandinista de Liberación Nacional (FSLN) per rovesciare il regime di Anastasio Somoza Debayle. Scoperta la sua appartenenza al FSLN, fu costretto a rifugiarsi all’estero diventando ambasciatore dell’opposizione sandinista all’Avana (Cuba).
Favorevole ad una “rivoluzione pacifica”, il 19 luglio 1979 entrò in Managua con le truppe rivoluzionarie abbattendo il regime di Anastasio Somoza Debayle (figlio del precedente presidente). Fu nominato ministro della Cultura dal nuovo governo guidato da Daniel Ortega, mentre suo fratello, Fernando, anche lui sacerdote cattolico nella Compagnia di Gesù, diventò ministro dell’Educazione.
Nel 1983, durante la sua visita in Nicaragua, papa Giovanni Paolo II lo invitò pubblicamente a dimettersi: essendosi rifiutato, fu sospeso a divinis. Continuò a rivestire la carica di ministro fino al 1987, quando il suo ministero venne soppresso per ragioni finanziarie.
Durante il governo sandinista, prima di essere ministro dell’Istruzione tra il 1984 e il 1990, Cardenal promosse e coordinò una grande campagna di alfabetizzazione, che gli valse un riconoscimento mondiale da parte dell’UNESCO. Grazie a quella campagna, almeno 500.000 nicaraguensi impararono a leggere e a scrivere.
Cardenal abbandonò il FSLN nel 1994, in polemica con quella che lui interpretò una deriva autoritaria nella gestione del partito da parte di Daniel Ortega.
Nel febbraio 2019, giunto ormai al termine della sua lunga vita, dopo oltre 30 anni di sospensione a divinis, papa Francesco lo ha riabilitato togliendogli tutte le sanzioni canoniche che gli erano state inflitte. E in ospedale, dove era ricoverato, aveva ricevuto la benedizione di Francesco attraverso il nunzio Waldemar St. Sommertag.
La Conferenza episcopale del Nicaragua, saputo della sua morte, ha inviato un messaggio di cordoglio alla famiglia, in cui afferma che la Chiesa locale eleva preghiere a Dio per il suo eterno riposo.
L’Opera cattolica di aiuto latinoamericana lo ha definito «la voce più influente a favore della pace e della giustizia in America Latina». L’incaricato dell’opera tedesca Adveniat, Michael Heinz, ha scritto di lui: «Ernesto Cardenal aveva il dono di esaltare in maniera nuova la creazione descritta nelle antiche parole della Bibbia e nei Salmi. Era un mistico del nostro tempo» (Antonio Dall’Osto).
La persona e le opere
Ernesto Cardenal fu poeta allo stesso tempo irregolare e grandissimo (il suo Cántico cósmico contiene pagine magnifiche). “Loquito” (pazzerello) lo chiamò sua madre, donna Esmeralda: una notte, in piena campagna di alfabetizzazione, quando gli ex somozisti, finanziati dagli Stati Uniti assassinavano i sandinisti e il fratello di Ernesto (Fernando Cardenal) direttore della campagna, stava attraversando alcuni giorni di angoscia e di preoccupazione, sua madre parlò per telefono con un gesuita di Managua e, dopo avergli detto una dozzina di volte: preghi per mio figlio Fernando che sta passando un brutto momento…, concluse: «Sto per diventare pazza come Ernesto».
Loquito, detto con l’affetto e la lucidità di una madre: Fernando era l’organizzazione e l’ordine, Ernesto la poesia e il disordine. Ambedue ugualmente cordiali. Ministro della Cultura dopo la caduta del dittatore Somoza, i sandinisti dicevano che il ministero lo gestiva una donna e che il ruolo di Ernesto come ministro e poeta consisteva semplicemente nel raccogliere denaro in Europa.
Il fatto di essere famoso per tutta la sua storia e la sua opera successiva, non dovrebbe farci dimenticare che la parte più preziosa della vita di Ernesto furono gli anni della comunità di Solentiname, una specie di “trappa laica” in cui, oltre ad una spiritualità liberatrice, nacquero quelle parafrasi dei salmi biblici di cui cito un frammento del salmo 15 (16):
«Non esiste felicità per me al di fuori di Te.
Non rendo culto alle star del cinema
né ai leader portici né adoro dittatori.
Non siamo abbonati ai loro giornali né iscritti nei loro partiti
né parliamo con slogan né seguiamo le loro consegne.
Non ascoltiamo i loro programmi né crediamo ai loro annunci.
Non ci vestiamo secondo le loro mode né compriamo i loro prodotti…
Io non invidio il menù dei loro banchetti…
Il Signore è mia parte nella Terra Promessa».
Se ben ricordo, l’ho sentito raccontare che, quando entrò come trappista nel monastero del Getsemani nel Kentucky, il suo maestro dei novizi (che non era nientemeno che Thomas Merton) gli disse nel riceverlo: «La vita contemplativa è una semiestasi e vent’anni di deserto»… Ernesto gestì molto bene questa semiestasi nei suoi successivi deserti, come esprime il titolo dell’altro suo libro che non parla solo di notte oscura ma di «Telescopio nella notte oscura». Da lì torno a citare:
«Il mare, la rosa, la donna,
tutto ci parla di Dio.
Ma la donna in bikini nel mare
ci dice anche che non è Dio.
Ogni essere è trasparente, ma
la trasparenza non è altra cosa
che essere affinché passi la luce».
E siccome viviamo nel mondo in cui siamo, è impossibile fare questa evocazione senza alcun riferimento a quella famosa foto con Giovanni Paolo II: Ernesto inginocchiato e sorridente, e il papa che lo minaccia puntandogli il dito. Ciò che sto per dire me lo spiegò personalmente suo fratello Fernando, dopo diversi anni, con la richiesta di mantenere il segreto. Trascorsi tanti anni e una volta morti i tre nomi che ho appena citato, credo che quella richiesta non sia più valida.
Cosa è successo in quella scena che fece il giro del mondo? È risaputo che Wojtyla non voleva in alcun modo (e a ragione) dei preti in posti di governo politico. I fratelli Cardenal, accettando questo principio, ritenevano che fosse possibile un’eccezione temporanea, in quello che pretendeva essere un governo per i poveri.
A causa di questo conflitto, il papa non voleva recarsi in Nicaragua, fin tanto che Casaroli raggiunse un compromesso in questi termini: il papa sarebbe andato in Nicaragua ma solo per salutare la conferenza episcopale. I membri del governo sarebbero stati solamente spettatori in seconda fila.
In ginocchio
In qualsiasi altro paese ciò sarebbe stato facile. Ma l’aeroporto di Managua è più piccolo di una campo da tennis. Così che, quando il papa atterrò, all’incaricato del protocollo (supercattolico e supersandinista), o per sbaglio o per una deliberatamente, fu facile prendere il papa per un braccio e, in pochi passi, condurlo davanti alla fila dove stava il governo nicaraguense.
Secondo quanto mi spiegò Fernando, il buon Ernesto, quando vide venire il papa si domandò: e adesso cosa faccio?, e si disse: «Quand’ero bambino, mi hanno insegnato che bisogna inginocchiarsi davanti al papa. Allora mi inginocchierò»… Non sapremo mai se forse anche Wojtila avrà pensato: Bene, adesso devo sgridarlo perché, in caso contrario, contraddico tutto il mio insegnamento sui preti presenti nei governi.
Forse quell’increscioso aneddoto andò così: per l’imprudenza di un signore tanto fervoroso cattolico quanto fervente sandinista. Ci sono cose che solo Dio sa. Ma Dio tace mentre parliamo noi che siamo quelli che non sanno.
Termino sottolineando che Ernesto mai si sarebbe comportato come quel buon signore tanto fanatico. Una delle cose che mi sembrano più ammirevoli del poeta Cardenal è che, dopo essersi giocate tante cose (come suo fratello Fernando), perché credevano di fare in quel primo governo sandinista un servizio ai poveri, fu tra i primi a prendere le distanze quando il sandinismo cominciò a corrompersi con il governo di Ortega, il quale cercò di bloccargli persino tutti i conti correnti e altro.
Amare la Chiesa
Se qualcosa manca nel mondo d’oggi è questa capacità di autocritica che ha trasformato in fondamentaliste tutte le militanze: «È cosa nostra e bisogna difenderla, perché è cosa buona. E quelli che la criticano non possono che essere cattivi».
Il principio così importante («pensare globalmente e agire localmente») si è trasformato in un pensare individualmente (o in gruppo) e agire individualmente. Del resto, guardate a ciò che sta avvenendo con la Brexit, con gli indipendentisti catalani, con le destre spagnole, con l’immaturo Maduro che ha fatto evaporare l’innegabile rivoluzione di Hugo Chávez, con la guerra in Siria, con il razzista Netanyahu e il sig, Modi in India, o con questa Europa sempre meno democratica…: «La ragazza in bikini sulla spiaggia non è Dio»; e nemmeno il mio partito è Dio! Quanta ragione aveva Ernesto!
E quanto opportuno sarà ricordare oggi alcune vecchie parole del teologo Ratzinger (nel capitolo del Nuovo popolo di Dio, intitolato «Libertà di spirito e obbedienza»): Se oggi non si sentono critiche alla Chiesa dal suo interno, come quelle dei tempi passati, è perché amiamo di più la Chiesa o perché nessuno l’ama tanto fino a giocarsi la propria carriera per migliorarla?
In questo senso, possiamo concludere affermando che, oltre ad essere un grande poeta, Ernesto è stato un buon profeta. “Loquito” e tutto, come diceva donna Esmeralda (José Ignacio González Faus).