Il 16 agosto 2005, durante la preghiera serale, frère Roger Schutz, fondatore della comunità ecumenica di Taizé, veniva ucciso da una squilibrata. Le sue parole ai giovani: fate una vita semplice e costruite comunione.
«Canterò in eterno la misericordia del Signore». Dodicimila cuori nella chiesa della Riconciliazione di Taizé, e milioni, uniti spiritualmente a loro, pregavano così, 13 anni fa, con i canoni brevi e ripetuti, come frère Roger Schutz, fondatore della comunità ecumenica, aveva insegnato loro. Accompagnavano il piccolo e fragile maestro di unità e riconciliazione tra i cristiani, ucciso da una squilibrata il 16 agosto 2005, durante la preghiera della sera, novantenne dagli occhi di bambino, in mezzo ai suoi giovani. Solo canti di lode e gioia, commozione e perdono, che risuonano dal 1940, in quella grande scuola di preghiera che è diventato questo villaggio della Borgogna francese.
«Dio è unito ad ogni essere umano, senza eccezione»
Commosso, frère Alois Löser, successore indicato da frère Roger già nel 1998 alla guida dei cento monaci della comunità, ricordava la prima convinzione che guidava il cammino di frère Roger: «Dio è unito ad ogni essere umano, senza eccezione». Così ne parlava, due anni prima della morte, nel marzo 2003, in una intervista concessa a Octava dies, il magazine del Centro Televisivo Vaticano: «Non abbiate paura della vostra morte, il Cristo è lì, invisibile ma unito spiritualmente a tutti, senza eccezione. In queste parole, non solo alcuni, ma tutta la Chiesa e la famiglia umana trovano un aiuto, un soccorso e anche una gioia. E la gioia è così necessaria».
Dagli anni settanta i pellegrinaggi sulla collina
Ogni anno centinaia di giovani raggiungono la collina al centro della Francia, per vivere una settimana speciale: incontro, canto, preghiera, silenzio sono le caratteristiche del clima e dell’esperienza di Taizè, che portano quasi spontaneamente a riscoprire il senso della vita. Alla fine della preghiera, nella chiesa della Riconciliazione, o agli incontri europei, frère Roger incontrava spesso i giovani.
«A Taizè noi ascoltiamo – spiegava in un’altra intervista al Centro Televisivo Vaticano, del gennaio 1998 –. Io e i miei fratelli non siamo dei padri spirituali, ma siamo degli uomini che ascoltano, qualche volta possiamo dire qualche parola, diciamo a giovani di interrogarsi su se stessi, e cercare dentro di sé. Cercare e ascoltare è già l’inizio di una guarigione. Dopo i giovani ripartono, vanno in ambienti e luoghi talmente diversi. Alcuni tornano in famiglia dove si prega e si cerca la fede, altri dove non c’è niente, dove non si può parlare né essere ascoltati».
La risposta è la semplicità di vita
Molti confidano ai frères di vivere «la grande inquietudine dell’avvenire. Che futuro avrò, che lavoro, come trovarlo e guadagnare la nostra vita. È una grande inquietudine dell’Europa. A loro direi di cercare di adattarsi e di trovare una libertà interiore, assolutamente necessaria. La semplicità della vita è la nostra risposta. Una vita fatta di poco, quasi niente, e poi camminare, costruire una famiglia, costruire una comunione».
Affidiamo a Dio le prove che ci soffocano.
«Si passa a Taizè come si passa accanto ad una fonte. Il viaggiatore si ferma, si disseta e continua il cammino», parole del pellegrino Giovanni Paolo II , arrivato sulla collina della Borgogna francese il 5 ottobre del 1986. Le migliori per descrivere la vocazione della comunità ecumenica fondata nel 1940 dall’allora 25enne Roger Schutz, di famiglia protestante, che dagli anni settanta accoglie migliaia di giovani cristiani di tutto il mondo, attirati dalla preghiera, fatta di canti melodici, di poche parole e di lunghi silenzi, e dalla vita comunitaria dei frères. Nelle capitali d’Europa, ogni fine d’anno, decine di migliaia di giovani partecipano ai «pellegrinaggi di fiducia», nella preghiera e nell’ospitalità semplice in famiglia. «È vero per i giovani, è vero per tutte le età – diceva nell’intervista del 2003 – quando la fiducia in Dio e la fiducia negli altri è una realtà vissuta, si può andare avanti, ci si può rallegrare, non avanziamo verso la pena o la prova, ma verso una soluzione di pace, anche di bontà del cuore».
Non lasciarsi schiacciare dalla sofferenza
Sono ancora molti i giovani che soffrono per rotture familiari e affettive, ricordano i fréres che parlano con loro a Taizé e negli incontri europei. «In questo periodo della storia ci sono molte rotture degli affetti. Lo dicono le statistiche. Che fare? Che dire? Direi, attraversate le prove, seguite il cammino al centro delle prove. Accettate queste afflizioni, e acconsentite a queste situazioni. Quando ci sono grandi prove, è vero, e queste ci soffocano, ci fanno ripiegare su noi stessi. Soffriamo per gli altri, per quelli che amiamo, per veder morire chi ci è vicino. La morte dei fratelli, la morte nella famiglia, la morte degli amici, la malattia, sono grandi prove… E noi le affidiamo a Dio, che ci dice di non lasciarci schiacciare dalla sofferenza degli altri o dalla nostra, ma di proseguire il cammino».
Vatican News, 15 agosto 2018.