Incontrato nella storica libreria Corsia dei Servi al tempo di Milano, Alberto Gallas è conosciuto dai più soprattutto per la curatela delle edizioni italiane di Dietrich Bonhoeffer, il pastore protestante fatto impiccare da Hitler nel 1945 per aver partecipato alla fallita congiura per destituire il dittatore organizzata dall’ammiraglio tedesco Wilhelm Canaris.
Nel 2003 morì a Milano un caro amico, Alberto Gallas. Aveva da poco fatto i 50 anni e insegnava storia delle religioni all’Università Cattolica. L’avevo conosciuto alla Corsia dei Servi, la libreria che, dapprima sul Corso, a due passi dal Duomo e da San Babila e proprio nella piazzetta intitolata alla Corsia, era stata diretta da un altro caro amico, Peppino Ricca, che avevo conosciuto perché aveva lavorato con Danilo Dolci a Nomadelfia, da don Zeno.
La libreria era stata “sfrattata” dalle autorità ecclesiastiche per essere accolta a via Tadino in una piccola sede offerta dalla Cisl, proprio davanti alla sua centrale milanese. Era la mia libreria, anche perché quattro volte al giorno percorrevo quella via per raggiungere da casa la redazione di Linea d’ombra.
Due librai d’eccezione la mandavano avanti dopo la chiusura della storica sede, Lucia Pigni e Mario Cuminetti, scomparsi anche loro come i due serviti Camillo De Piaz e David Maria Turoldo che ne erano i visitatori e collaboratori più assidui – anche se De Piaz aveva avuto dal vescovo l’obbligo di non muoversi da Tirano, nella sua Valtellina. Come Peppino, anche Alberto aveva sposato una cattolica giapponese…
Ai funerali di Alberto vennero con me, se ben ricordo, Paolo Mereghetti (che era stato commesso della Corsia al tempo di Peppino) e Giacomo Borella…
Alberto è ricordato soprattutto per essere stato il traduttore e curatore delle principali opere di Dietrich Bonhoeffer, il pastore protestante fatto impiccare da Hitler nel 1945, quarantenne, per aver partecipato alla fallita congiura per destituire il dittatore organizzata dall’ammiraglio tedesco Wilhelm Canaris.
Dobbiamo a Gallas la cura e la traduzione di Resistenza e resa e di molti altri saggi di Bonhoeffer, letti con vera passione, in quegli anni, sia da protestanti sia da cattolici.
Un curioso ricordo mi torna, di un convegnino organizzato dalla Corsia, da Linea d’ombra (la mia rivista) e dal Goethe Institut, su mia spinta, ospitato dalla Cisl.
Ero al tavolo della presidenza con il biografo maggiore di Bonhoeffer, di cui non riesco a ritrovare il nome, quando in platea un distinto signore con l’accento napoletano si alzò in piedi e disse di aver letto sul Corriere della sera del convegno e di essere venuto perché aveva condiviso con Bonhoeffer la prigione a Flossenburg, nella stessa cella, e l’aveva visto portar via la mattina dell’impiccagione…
Sospettai fosse un mitomane, ma il professore tedesco al mio fianco si alzò in piedi eccitatissimo: «Ma lei è…?» e fece un nome che non riesco a ricordare. Alla risposta affermativa, si precipitò in platea e portò quel signore sul palco… Ricordo la nostra emozione, al suo racconto, soprattutto quella di Alberto…
Per Claudiana e Queriniana sono usciti gli studi di Alberto su Bonhoeffer, e devo ad Alberto – da cattolico esperto anche di Barth –, una bellissima lezione su religione e socialismo fatta da Barth in un circolo operaio svizzero, che tradusse per Linea d’ombra…
A questo ammirevole amico, poco curante come Bonhoeffer della divisione tra cattolici e protestanti e serio studioso anche di Søren Kierkegaard, devo la conoscenza dell’ultima lettera scritta dal carcere da Bonhoeffer alla sua fidanzata, in cui Dieci anni dopo [così si intitola un capitolo di Resistenza e resa] l’avvento del nazismo egli diceva che il problema principale da affrontare nel “dopo” sarebbe stato quello… degli stupidi.
Di coloro che credono di ragionare con la propria testa mentre ripetono le idee che altri – i potenti e i loro servitori – vogliono che essi pensino e credano di pensare. In modi simili, in Italia il laico Vitaliano Brancati scrisse a guerra finita che il compito dei politici sarebbe stato ora di occuparsi “dei derelitti” e quello degli intellettuali di occuparsi “degli stupidi”.
Per un po’ qualcuno ci ha provato, ma hanno poi capito che era molto più comodo diventare stupidi anche loro… Con alcune auree eccezioni, che vanno da don Milani a Pier Paolo Pasolini, da Aldo Capitini a Leonardo Sciascia…
- Ripreso dalla rivista Confronti.