Il 26 febbraio scorso è morto a Bologna don Giovanni Nicolini, nato a Mantova il 20 marzo 1940. Andrea, amico della famiglia, ne ha chiesto un ricordo alla sorella Gisella.
- Gisella, da quale famiglia veniva don Nicolini? Ossia, la tua famiglia…
Eravamo una famiglia numerosa e unita. Mio padre era notaio, un uomo dalla fede profonda, nonostante fosse un anticlericale convinto. Ricordo che, tutte le mattine, nell’accompagnarmi a scuola, faceva una visita in chiesa per una preghiera insieme.
Mio fratello Giovanni – detto ‘Nino’ – aveva sette anni più di me. Era legatissimo a nostro padre e lo stimava in sommo grado. Era anche il prediletto di mia madre quale maschio primogenito.
In ordine di età, dopo Giovanni c’erano Mario – poi successore di mio padre nello studio notarile -, io (Gisella) e infine, Luca, scomparso pochi anni fa, lasciandoci un grande dolore.
In famiglia eravamo sempre pronti a dialogare. Ricordo che il pranzo e la cena erano momenti di scambio dove ognuno poteva dire la sua con grande libertà. Erano gli stessi momenti in cui veniva fuori, spiccata, già da allora, l’autorevolezza di Giovanni, che per tutti noi sarebbe rimasto, nel tempo, un punto di riferimento fondamentale.
- Qual è stata la sua formazione?
Giovanni ha frequentato il Liceo Classico “Virgilio”. Aveva molti amici: un tratto distintivo dell’intera sua vita, alla continua ricerca di relazioni significative. Gli piaceva stare con la gente, parlare, ascoltare gli altri, condividere i pensieri.
Fin da bambino, era entrato nel gruppo Scout guidato da don Gianbattista Tenca, a cui rimase molto legato, fino alla sua scomparsa avvenuta nel 1977.
Da lupetto fino a capo reparto, la sua vita si è divisa tra lo studio e l’impegno scoutistico. Così si è manifestata in lui la vocazione al servizio. Dopo la maturità liceale si era iscritto alla facoltà di Medicina, ma, dopo un solo anno, è maturata in lui una vocazione sacerdotale.
Mio padre chiese che prima di tutto, comunque, si laureasse. Nino scelse, allora, la facoltà di Filosofia e conseguì la laurea alla Cattolica di Milano dove ha conosciuto Romano Prodi col quale ha stretto una amicizia che è durata tutta la vita. Quindi entrò in Seminario andando a Roma. Era un piccolo seminario di una borgata romana gestito da un vescovo francese. Là iniziò il suo servizio presso i più poveri del quartiere, mettendo in atto quello spirito di accoglienza e di accudimento dei più fragili, che rimarrà il segno distintivo di tutta la sua esistenza.
- Come ha coinvolto la famiglia nelle sue scelte?
A Roma ‘Nino’ conobbe una famiglia molto povera con cinque figli. Una loro bambina venne a passare l’estate da noi, a Mantova e, una volta venuta a mancare la sua mamma, fu mio padre a dirci, guardandoci negli occhi: «Ora questa bambina è entrata nella nostra famiglia ed è la nostra figlia più piccola».
Ci raccontava che, con i suoi compagni di seminario, dopo le lezioni, si recava presso l’Ufficio Stampa Vaticano proprio nel periodo dello svolgimento delle sessioni del Concilio vaticano II. Vi conobbe il cardinal Lercaro e soprattutto don Dossetti, con cui strinse una profonda e duratura fraternità. Dossetti determinò la sua scelta di trasferirsi nella Diocesi di Bologna, dove è stato incardinato ed è diventato prete.
- Quale peso hanno avuto così importanti relazioni nella sua vita?
Con quelle frequentazioni, Giovanni maturò la profonda convinzione che la fede non può essere l’adesione astratta ad una dottrina, ma sempre doveva passare attraverso una carità vissuta: la Parola doveva essere tradotta in opere.
Sarà, soprattutto, per la prossimità a Dossetti che Nino divenne un assiduo e scrupoloso frequentatore della Parola di Dio, foriera di scelte da sviluppare nelle forme concrete della comunione familiare, oppure della vita religiosa e monastica, secondo modalità nuove, originali, sempre caratterizzate dalla fraternità e dalla accoglienza di chiunque fosse orientato alla umanità del servizio.
- Come ricordi, oggi, tuo fratello Nino?
Il mio ricordo di ‘Nino’ è quello di una sorella più giovane, per gran parte della vita lontana fisicamente da lui, che ha fatto strade diverse, ma per la quale la relazione tra noi è sempre rimasta molto profonda.
Mio figlio Andres è entrato a far parte della Comunità fondata da Giovanni: questa scelta, per noi genitori, è stata motivo di grande gioia.
- Il tuo ultimo ricordo?
Negli ultimi anni, si lamentava del fatto di aver perso memoria e di non ricordare nomi e fatti, come avrebbe ancora voluto. Io gli rispondevo che era del tutto normale, e gli ripetevo: «Rimani come sei, perché così buono e dolce non lo sei mai stato prima!».
Il giorno successivo al suo funerale, ho assistito ad un incontro organizzato in sua memoria. Tanti suoi amici e amiche hanno portato racconti vividi e carichi di riconoscenza: un fatto grande e commovente, per me.