Un altro grande arcivescovo e cardinale se ne è andato: l’inglese Cormac Murphy O’Connor.
Si è spento il pomeriggio del 1° settembre. Era malato di cancro. Nato a Reading, diocesi di Portsmouth, il 24 agosto 1932, fu ordinato il 28 ottobre 1956, eletto vescovo ad Arundel and Brighton il 17 novembre 1977, ricevette la consacrazione il 21 dicembre dello stesso anno; fu chiamato a succedere al mitico card. Basil Hume a Westminster il 15 febbraio 2000; fu creato cardinale da Giovanni Poalo II nel Concistoro del febbraio 2001; lasciò Westminster il 3 aprile 2009. Mi concesse molte interviste e colloqui, da cui stralcio alcuni punti. Gli sono stato vicino fino alla fine.
Le priorità pastorali
«Tra le priorità pastorali, la più importante è, e deve essere sempre, la cura del popolo di Dio, dei sacerdoti e di tutte le persone della Chiesa locale: conoscere e ascoltare i sacerdoti, i fedeli e tutto il popolo di Dio. In secondo luogo: accertarmi dell’esistenza o della messa a punto in breve termine di qualche piano pastorale per il rinnovamento spirituale della diocesi. Devo fare mia un’espressione ormai ben nota: “Duc in altum”. n questo nostro tempo la Chiesa ha un nuovo compito da svolgere perché esiste una situazione nuova. Se vogliamo affrontare questa situazione nella nostra cultura occorre che il popolo di Dio, sacerdoti e fedeli, si rinnovi nella fede».
La Chiesa inglese
La Chiesa inglese, al cuore non ai margini dell’Inghilterra. «Quand’ero giovane studente, in questo Paese la Chiesa cattolica era alla periferia della società. Non eravamo perseguitati, ma eravamo un po’ estranei, stranieri. Allora l’obiettivo della comunità cattolica era quello di tenere il passo in una società che l’accettava, ma di cui non faceva pienamente parte. Negli ultimi quaranta/cinquant’anni, la situazione è completamente cambiata. Per due motivi: primo, perché ora questo Paese è diventato un paese non cristiano, un paese secolarizzato. Secondo, perché la comunità cattolica è diventata centrale, insieme agli altri cristiani, nella società inglese. Ora la comunità cattolica sente e comprende di avere una missione. L’Inghilterra ascolta i cristiani, ascolta l’insegnamento di Cristo, vuole sentire una voce chiara da parte della Chiesa cattolica. Penso che ora la differenza sia proprio questa: non solo la possibilità di parlare, ma l’esigenza sentita dalle persone di udire di nuovo una parola forte».
La strategia pastorale
«Anzitutto, dobbiamo collaborare il più possibile con gli altri cristiani, soprattutto con gli anglicani, con la Chiesa d’Inghilterra, la Chiesa più forte, anche se ora siamo in un certo senso alla pari con lei. Vogliamo collaborare con loro soprattutto in campo sociale, ma anche in campo teologico. L’impegno ecumenico non cessa mai. In secondo luogo, dobbiamo dire chiaramente e fermamente ciò in cui crediamo. Oggi in Inghilterra la gente guarda alla Chiesa cattolica soprattutto in materia di morale personale e sociale. Vuole sentire una voce sicura, perché è convinta che noi diciamo e insegniamo chiaramente e fermamente ciò che crediamo essere vero, a livello dogmatico, ma non solo».
La successione al trono
Act of Settlement (Atto di successione) del 1701, è la disposizione con la quale il Parlamento inglese stabilì i criteri della successione al trono dopo Guglielmo III, prescrivendo che tutti i re inglesi dovessero essere di confessione protestante, vietando così ad un cattolico di sedere sul trono d’Inghilterra.
«La legge non è mai stata abrogata. Ciò significa anche che nessun membro della famiglia reale può sposare un cattolico. Partiamo da questo. Non vediamo perché un membro della famiglia reale possa sposare un buddhista o un seguace di qualsiasi altra religione, ma non un cattolico. Attualmente alcuni membri della famiglia reale hanno sposato dei cattolici, ma con il permesso della regina, e si tratta comunque di membri che non sono vicini alla successione. Penso che questo divieto debba cadere e sono certo che cadrà quando il tempo sarà maturo. Penso che la famiglia reale, il governo e la Chiesa d’Inghilterra si rendano conto che i tempi stanno cambiando. Il problema è come cambiare».
Violenze sui minori
«È un problema estremamente grave. È un fatto che in passato molti vescovi, me compreso, per sottovalutazione o ignoranza della gravità del fenomeno, non abbiamo trattato queste situazioni con sufficiente attenzione, dandovi priorità pastorale. Non intendo scusare i vescovi. Penso che non si sia trattato di cattiva volontà da parte loro, ma di mancata percezione della vera natura del fenomeno, sottovalutando così anche l’analisi delle sue terribili conseguenze. Se la Chiesa cattolica vuole veramente affrontare la vergogna della pedofilia, che riguarda una ristretta minoranza di preti, deve agire con trasparenza e determinazione».
I sogni e la strategia
I sogni del card. Hume e la strategia di Murphy O’Connor
«Li conosco bene i sogni di Hume, ma io non ho la sua fantasia. Non ho un sogno particolare: preferisco dire che ho una strategia. La Chiesa deve rinnovarsi continuamente. La nostra strategia deve mirare anzitutto a un rinnovamento della fede. È illusorio pensare che, facendo questo o quello, si risolvano i problemi. I problemi si risolvono con la grazia dello Spirito Santo nel cuore dei fedeli. Si tratta di accendere la candela della fede e vigilare che essa rimanga accesa e attiva. In secondo luogo, soprattutto in questo Paese, la nostra strategia deve mirare ad esprimere chiaramente la verità della fede. Quando parlo di ciò che è vero riguardo alla famiglia, alla sessualità, al bene comune secondo la tradizione e l’insegnamento della Chiesa, le persone ascoltano, si rinnovano. Bisogna associare strettamente la verità con la compassione pastorale. Mi sembra che questo binomio sia molto importante. Raggiungere, toccare le persone là dove sono, là dove vivono e hanno bisogno di ascoltare la parola di Cristo».
La Chiesa
«Penso soprattutto alla Chiesa che cammina attraverso la storia. Affrontando le varie crisi, la Chiesa è sempre diversa e sempre la stessa. La cosa meravigliosa della Chiesa cattolica è questo continuo salire e scendere, crescere in certi paesi e diminuire in altri, senza mai venir meno. Il popolo di Dio è sempre lì, sempre presente per testimoniare la verità, la speranza. Per me la Chiesa cattolica, la Chiesa di Cristo oggi, è l’unica realtà fondamentale portatrice di senso e di verità. E la nostra società ha bisogno soprattutto di due cose: senso della vita e speranza».
Il canto nuovo
«Il canto del Vangelo, della sua freschezza, della sua novità. È il canto del senso e della speranza che la nostra società ha bisogno di ascoltare. E stranamente, perché il terreno è così arido, in molti casi così ostile alla religione, in una società così sfrenatamente consumistica, la voce del Vangelo ha una nuova risonanza. Non ignoro le ombre, le sfide, i problemi. So che la Chiesa ha attraversato momenti di crisi nel corso della sua storia, ma è sempre risorta grazie alla santità, alla sua novità, alla freschezza delle persone, dei movimenti di rinnovamento. La freschezza della Chiesa è sempre esistita e ricomparirà anche nel nostro tempo, anzi sta già comparendo. È il Signore».
Il coraggio
Santa Caterina diceva ai cardinali del suo tempo: «Non tacete più. Gridate con centinaia di migliaia di voci. Vedo che il mondo si distrugge con il silenzio. La sposa di Cristo è pallida, è sbiancata in volto».
«Spero di avere la grazia di parlare onestamente e chiaramente e di dire sempre ciò in cui credo con franchezza. La Chiesa continua sempre ad apprendere, a discernere. Anch’io devo imparare a discernere continuamente i segni dei tempi. Cercherò di parlare sempre apertamente come vescovo. Lo considero un privilegio legato alla mia ordinazione sacerdotale, poi alla mia consacrazione episcopale e ora, in modo speciale, alla mia posizione di arcivescovo di Westminster».
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