È noto che mons. Romero era, ancor prima di diventare arcivescovo di San Salvador (1977), un uomo pio, sensibile e attento ai poveri. Aveva studiato a Roma dal 1937 al 1942 e si era formato secondo gli schemi classici dei seminari del tempo: amore viscerale per il sacerdozio, obbedienza cieca alla gerarchia, zelo apostolico e missionario. Gli mancava l’accettazione della Conferenza di Medellin (1968): mettere al centro il grido degli oppressi e la speranza di liberazione da ogni tipo di schiavitù.
Come vescovo di Santiago de Maria (El Salvador), aveva però sentito con prepotenza la crudeltà dell’ingiustizia. Fu eletto arcivescovo di San Salvador con uno scopo ben preciso: mettere in ordine le parrocchie, calmare gli animi focosi di preti e religiosi, sorvegliare l’Università Cattolica accusata di marxismo.
Aveva 59 anni. L’assassinio di p. Rutilio Grande con il ragazzo Nelson e l’anziano Manuel lo cambiò dalla testa ai piedi. Quando ebbe notizia dell’efferato assassinio, chiese spiegazione al governo e promise solennemente di stare dalla parte del popolo. Dirà Ignacio Ellacuría, uno dei gesuiti assassinati nel 1989: «Ciò che prima del cambiamento era una parola opaca, amorfa, inefficace, si convertì in un torrente di vita, al quale il popolo si avvicinava per togliere la sete».
La gente lo amò immensamente. Ancora secondo Ellacuría, erano quattro le caratteristiche della Chiesa «popolo di Dio» per la quale Romero si batteva:
- l’incarnazione nella storia delle lotte del popolo per la giustizia e la liberazione,
- l’opzione preferenziale per i poveri,
- l’introduzione del lievito cristiano nelle lotte per la giustizia,
- la persecuzione a causa del regno di Dio.
Lavorava per una «Chiesa di donne», contro il potere sacrale in mano ai maschi. Era schierato per una «Chiesa della denuncia», necessaria in un paese dove ogni anno avvenivano circa 4.000 omicidi. Indicava la strada di una «Chiesa che chiede perdono con umiltà e senza arroganza».
Fu attaccato da Roma. Il card. Sebastiano Baggio, a capo della Congregazione dei vescovi, ne chiese più volte l’allontanamento. Gli stessi confratelli vescovi lo insultavano. Lo ricevette in udienza Paolo VI e ne uscì contento e rasserenato. Andò in udienza da Giovanni Paolo II e ne uscì amareggiato. Il papa polacco rimediò nel 1983, quando si inginocchiò davanti alla sua tomba e lo definì uno «zelante pastore». Note le simpatie di papa Bergoglio nei confronti di Romero, che fu dichiarato beato il 23 maggio 2015.
Mons. Romero fu il pioniere di un progetto che trovò conferma nella 5ª Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano e dei Caraibi, che si tenne nel maggio 2007 ad Aparecida in Brasile: «Un’altra Chiesa è necessaria; un’altra Chiesa è possibile». Però il sogno di Romero stenta a diventare realtà.