Con il Vaticano II la teologia delle religioni era entrata a pieno titolo nella ricerca teologica. La relazione fra il cristianesimo e le altre tradizioni religiose suscitava domande radicali dove si confrontavano risposte contrarie, talvolta anche contraddittorie. Mentre la questione andava evolvendosi, si può pensare che non sia più il caso di interrogarsi se la salvezza di Gesù Cristo sia raggiungibile anche da parte dei “non cristiani” e neppure se le altre religioni possano contenere o meno autentici valori umani e cristiani, quando piuttosto sia importante il chiedersi esplicitamente quale significato positivo possa essere attribuito dalla teologia cristiana alle altre religioni nell’ambito del piano divino di salvezza dell’umanità.
Sono questi i temi sui quali aveva riflettuto a lungo il teologo, belga e gesuita, Jacques Dupuis (1923-2004), in particolare nel suo testo Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso (Queriniana 1997): per le idee lì esposte, ma soprattutto per le sue lezioni alla Gregoriana, nel 2000 Dupuis venne messo sotto accusa dalla Congregazione per la dottrina della fede (Cdf) allora guidata dal prefetto Ratzinger, e poi anche esautorato dall’insegnamento.
Gerard O’Connell, giornalista americano, collaboratore della rivista dei gesuiti USA America e di alcuni portali italiani, tra cui Vatican Insider-La Stampa, aveva intervistato Dupuis all’indomani della sua triste vicenda, peraltro comune ad altri suoi colleghi, ma l’interessato non intendeva diffondere ulteriormente le decisioni della Cdf, già facile bersaglio di critiche e di risentimenti, così, solo dopo la morte la lunga conversazione vede ora la luce in un corposo testo dell’Editrice Missionaria con un titolo più che significativo Il mio caso non è chiuso e la promozione all’insegna de «Il testamento inedito del teologo “eretico”».
Una teologia frutto dell’esperienza missionaria
«Ho sentito un impulso quasi fisico a scrivere questo libro – rispondeva Dupuis –. Avevo già scritto in francese nel 1989, su richiesta di mons. Joseph Doré, direttore della Collana “Jésus et Jésus-Christ”, un primo libro sulla teologia delle religioni intitolato Jésus-Christ à la rencontre des religions. Lo dico per mostrare che mi occupo da molto tempo di teologia delle religioni e, in particolare, dell’aspetto teologico del problema».
I motivi (e le conclusioni) li spiega con dovizia di particolari tutti legati alla sua esperienza missionaria in India: «Sono vissuto 36 anni in India, di cui 25 passati a insegnare cristologia e a combattere con le domande sempre più critiche che gli studenti mi ponevano riguardo al significato delle tradizioni religiose dei loro antenati nel piano provvidenziale di Dio. Durante tutti quegli anni sono stato esposto alla realtà religiosa dell’India che costituisce per noi una sfida profonda. Quando sono partito per l’India, nel 1948, portavo con me, insieme alle mie convinzioni di fede, anche i pregiudizi della nostra civiltà e cultura occidentale, e la persuasione che, in quanto cristiani, possediamo il monopolio della verità. Pensavo di dover dare tutto e di non avere niente da ricevere.
Il mio primo incarico a Calcutta è stato al liceo del Saint Xavier’s College, dove sono entrato in contatto con oltre 1.000 studenti, la stragrande maggioranza dei quali era, come si diceva in quei giorni, “non cristiana”. Sono rimasto colpito sia dalla loro capacità intellettuale, sia dalla loro moralità elevata ed eccellenza spirituale. Inevitabilmente mi sono chiesto: da dove prendono queste ricche doti spirituali? E la risposta è venuta da sé: le tradizioni religiose a cui questi studenti e le loro famiglie appartenevano, e che essi praticavano con serietà, dovevano pure avere un ruolo. Si tratta di domande che sorgono dai molti contatti umani di cui è fatta la vita quotidiana. Di conseguenza, in termini molto semplici, si pone la questione del significato delle tradizioni religiose nell’ambito del valore umano della salvezza.
Gli studi di teologia che ho fatto in seguito e, ancora di più, gli anni in cui ho insegnato cristologia a stretto contatto con studenti che si preparavano al ministero sacerdotale – e riflettevano intensamente su problemi simili – hanno reso questa interrogazione più acuta.
Posso dire che, per tutta la mia carriera di docente, mi sono occupato di teologia delle religioni, che poi è diventata un tema di ricerca teologica a sé stante. Gradualmente sono giunto a comprendere che, mentre come cristiani abbiamo qualcosa di infinitamente prezioso da condividere con gli “altri”, dobbiamo anche ricevere da loro, anzi, prima di parlare dobbiamo ascoltare; è più prezioso e importante ricevere che dare, anche se più difficile!».
Così il testo di 30 anni fa (1989) aveva rappresentato un primo tentativo di riflessione, nonostante il suo ambito fosse ancora limitato – la proposta di una “cristologia teocentrica” come modello adattato – ma forse il tutto avrebbe avuto la necessità di una trattazione più approfondita e sistematica. Era stata questa la richiesta, ben motivata, di padre Rosino Gibellini, allora direttore editoriale di Queriniana: un progetto che Dupuis aveva ritenuto “meritevole” e degno di essere preso in considerazione: da lì l’uscita nel 1997, quasi in contemporanea in italiano, inglese e francese, di Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso.
La “battaglia” delle recensioni
Una prima recensione era apparsa su Avvenire il 22 novembre con il titolo “Il Cristo cosmico” e la firma di Enzo Bianchi. L’allora priore di Bose scriveva che gli aspetti teologici del problema erano «trattati dall’autore non solo con competenza, ma anche con estrema lucidità e con raro equilibrio». Per concludere: «La densa opera di Dupuis si offre come preziosissimo contributo, quasi una guida, una bussola, che può orientare il cammino della teologia cristiana di fronte al Terzo Millennio entrante. E se è vero che quest’opera “solleverà probabilmente un numero di interrogativi pari a quelli di cui proporrà delle soluzioni” (cf pag. 20), è altrettanto vero che porre le giuste domande è già essenziale per la corretta impostazione del problema».
Non fu un caso che lo stesso quotidiano pubblicasse, a distanza di ben 5 mesi, il 14 aprile 1998, una successiva recensione a firma di Inos Biffi della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, con il titolo emblematico di “Il monopolio della Grazia”. Una recensione che – come si saprà poi – era stata commissionata dall’alto e richiesta direttamente a mons. Giuseppe Colombo, già preside della Facoltà, che però si era rifiutato di scriverla a quelle condizioni, girandola quindi a Biffi, specialista di sant’Anselmo e responsabile liturgico della diocesi ambrosiana. Quasi superfluo citare il tono della stessa: le affermazioni del testo «ci sembrano inaccettabili non solo dal punto di vista teologico, ma anche del profilo della fede cristiana».
Parole che avevano subito messo in allarme padre Giuseppe Pittau, rettore della Gregoriana, il quale aveva chiesto a Dupuis di stilare un commento alla recensione: dal suo scritto di ben 10 pagine, il rettore ne aveva tratto una breve nota in cui protestava per il tono e il contenuto della recensione di Biffi, ma quella nota non venne mai pubblicata sul giornale per decisione unica del direttore che era giunto persino a dichiarare di non averla mai ricevuta.
Nel frattempo, il rettore Pittau veniva incolpato dal Vaticano di avere organizzato la presentazione del libro in Facoltà e a nulla erano valse le parole della lunga nota di Dupuis. E su Civiltà Cattolica (1998, n. 3 pp. 129-143) usciva un pezzo firmato da Giuseppe De Rosa dal titolo “Una teologia problematica del pluralismo religioso”, il cui testo era rimasto nelle stanze della Cdf per più di un mese, uscendone profondamente modificato e con l’aggiunta di quell’aggettivo “problematica” assente nella stesura originale, come aveva ammesso padre Gianpaolo Salvini, allora direttore, ma solo di fronte all’autore. Quando infatti l’agenzia di stampa Adista aveva sollevato dubbi e ipotizzato ingerenze evidenti della Cdf, il rettore aveva negato con forza a più riprese.
Intanto, il 24 gennaio 1998 sulla rivista inglese The Tablet usciva una recensione di padre Gerald O’Collins – consigliere teologico di Dupuis lungo tutta la stesura del testo – dove si leggeva: «Opera veramente magistrale, compendia una vita di studi ed esperienza per delineare un profondo cammino teologico nella comprensione cristiana delle altre religioni. Invece di chiedersi semplicemente “se” può esserci salvezza per i membri di queste tradizioni, Dupuis affronta la questione di “come”, secondo la provvidenza di Dio, queste tradizioni mediano la salvezza dei loro membri».
Una firma apposta solo per “obbedienza”
Le accuse però non si fermano e la situazione precipita, come molti ricorderanno, nell’autunno del 2000, dopo oltre due anni di indagini. A inizio dicembre viene trasmessa a Dupuis, da parte del generale Kolvenbach, la Notazione della Congregazione con l’invito a firmarla senza ulteriore discussione (a settembre era avvenuto un primo incontro con il prefetto Ratzinger, dove Dupuis aveva contestato le affermazioni di una Notazione in prima stesura).
In realtà il testo, come aveva osservato il gesuita belga, presentava una struttura abbastanza simile, ma differente nei contenuti in quanto «non parlava più di gravi errori contro la fede contenuti nel libro, ma solo di “notevoli ambiguità e difficoltà”… Il testo tuttavia proseguiva spiegando che l’intento della Notificazione consisteva nell’“enunciare la dottrina della Chiesa al riguardo di alcuni aspetti delle suddette verità dottrinali e, nello stesso tempo, nel confutare opinioni erronee o pericolose, a cui, indipendentemente dalle intenzioni dell’Autore, il lettore può pervenire a motivo di formulazioni ambigue o spiegazioni insufficienti contenute in diversi passi del libro».
Il 6 dicembre la Notazione viene pubblicata sull’Osservatore Romano in versione integrale con la dichiarazione che, «con la firma del testo, l’autore si è impegnato per il futuro ad attenersi ai chiarimenti in essa contenuti. Essi saranno criterio vincolante per la sua attività teologica e per le sue future pubblicazioni teologiche».
Nessuno ha saputo spiegare una successiva pubblicazione della stessa il 21 febbraio 2001 corredata da un commento dello stesso Ratzinger – almeno questo è ciò che farebbero presumere i tre asterischi finali (***) –, con l’aggiunta, a totale insaputa di Dupuis (che aveva conservato una fotocopia della nota originale), che il testo della Notificazione «dovrà comparire anche nelle eventuali ristampe o riedizioni del libro in questione, e nelle relative traduzioni».
L’amarezza di un anziano religioso privo di speranza
Il caso sembrava risolto e Dupuis, anche se con grande amarezza, aveva potuto rispettare il suo fitto programma di conferenze in Italia e all’estero, pur sapendo che «bisognava usare prudenza e circospezione nelle comunicazioni pubbliche orali e scritte».
Ma la pubblicazione del testo di un suo intervento a Brussels, soprattutto di quello al Congresso internazionale di Teologia fondamentale presso l’università cattolica di Lublino in Polonia, avevano sollevato nuove accuse da parte della Cdf, accuse poi formulate in una lettera del card. Ratzinger a padre Kolvenbach in data 8 gennaio 2002 in cui si affermava che la Congregazione si trovava obbligata a «chiedere a Sua Paternità che, con l’autorità che gli appartiene, almeno chieda a padre Dupuis di astenersi in futuro dall’intervenire con scritti e discorsi sull’argomento». E di lì si spianava la strada alla sua futura sospensione anche dall’insegnamento.
Una Lettera dal contenuto teologico che Dupuis definiva di “scarsa qualità” dove si argomentava intorno al significato di “Verbo incarnato” e non si faceva più menzione di errori “contro la fede”, ma solo di affermazioni “contro la dottrina cattolica o della Chiesa”.
Per tutta risposta veniva cancellata dall’alto la sua partecipazione ad un incontro sulle relazioni musulmano-cristiane organizzato dall’arcivescovo di Canterbury per il 17-18 gennaio 2002 a Lambeth Palace e a Dupuis era imposto di annullare personalmente una conferenza a Lisbona (anche se il testo, inviato con largo anticipo già in lingua portoghese, era stato poi letto in sua assenza e pubblicato sulla rivista Didaskalia).
Intanto, nel mese di settembre, era uscito in Italia il suo nuovo libro Il cristianesimo e le religioni. Dallo scontro all’incontro (Queriniana 2001) con lo scopo dichiarato di «dissipare alcune ambiguità che potevano essere presenti nel mio libro precedente».
Ma fu tutto inutile e in quello stesso anno il cardinale Ratzinger otteneva anche la sua rimozione dall’incarico di direttore della rivista Gregorianum comunicata a Dupuis da padre Franco Monda in data 1° ottobre, mentre Dupuis si rifiutava categoricamente di far uscire l’intervista nel frattempo concessa a O’Connell dove oggi leggiamo: «per quanto tempo si è vincolati alla segretezza imposta dall’autorità dottrinale della Chiesa? Può la verità rimanere nascosta per sempre? Si può essere costretti a tacere per sempre senza possibilità di autodifesa, mentre le accuse continuano a ledere la reputazione del teologo e a farne soffrire la persona?».
Appare molto dettagliata la sua analisi circa i metodi della Cdf nei confronti di teologi di un passato abbastanza recente (come Henri de Lubac, Karl Rahner, Yves Congar, Marie-Dominique Chenu, Edward Schillebeeckx, Bernhard Häring…) e di oggi (Hans Küng, Gustavo Gutiérrez, Jon Sobrino, Leonardo Boff…) e sull’eventuale “lezione” da imparare: «stupisce che, in precedenza, gli imputati fossero invitati a discutere seriamente le loro opere con le autorità della Congregazione e con persone competenti da essa delegate…, mentre oggi sono solo invitati a firmare una Notificazione contro il loro lavoro…».
Una vicenda dai connotati tristi, senza dubbio, ma che, almeno stando alle dichiarazioni di Dupuis, lascia aperta la porta della speranza. Di fronte alla domanda del giornalista se, alla fine dei tempi, Cristo dovesse chiedergli un resoconto del suo operato, il gesuita rispondeva con disarmante sincerità: «Non riesco ad immaginare di presentare al Signore, dall’altra parte di questa vita, un resoconto di quello che ho fatto. Non penso sarebbe necessario: il Signore conoscerà il mio lavoro, molto meglio di quanto non lo conosca io stesso. Posso solo sperare che la sua valutazione sarà più positiva di quella di alcuni censori e, ahimè, dell’autorità dottrinale centrale della Chiesa […]. Ho fiducia che il Signore, che legge i segreti dei cuori, saprà che la mia intenzione nello scrivere ciò che ho scritto e nel dire ciò che ho detto è stata solo quella di esprimere meglio che potevo la mia profonda fede in lui e la mia totale dedizione a lui. Quando ci incontreremo, piuttosto che prendere io la parola, spero di ascoltare dal Signore, nonostante i miei difetti e le mie mancanze, una parola di conforto e di incoraggiamento. Prego che mi inviti a entrare nella sua gloria, a cantare per sempre le sue lodi. Mi auguro che mi dica “Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone” (Mt 25,21)».
O’Connell, riportando fedelmente ogni parte dell’intervista, nel finale si permette di aggiungere quella “sensazione” che gli aveva manifestato a più riprese il religioso: quella strana sensazione «di essere sotto costante supervisione, per non dire pedinato dall’autorità e passibile di nuova denuncia»: una situazione «davvero molto difficile da sopportare».
Dal 2003 (il 5 dicembre la Gregoriana aveva celebrato il suo 80° compleanno) al novembre 2004 ammontano a 24 gli interventi, perlopiù all’estero, tenuti da padre Dupuis mentre il Regis College di Toronto in Canada gli proponeva un dottorato Honoris causa, inviso però al Vaticano.
«Ho perso la gioia di vivere il 2 ottobre 1998 e da allora non l’ho più recuperata – confessava il gesuita, aggiungendo con infinita tristezza la notizia che gli veniva negata ogni pubblicazione –. Ora sto perdendo la volontà di sopravvivere».
«Che cosa può fare ancora la Cdf contro di me che non abbia già fatto?… Le mie attività sarebbero forse dannose per la Compagnia?… E come recherei danno alla Gregoriana?».
Sono alcuni interrogativi contenuti nella lettera al Generale che si apprestava a recapitargli dopo il Natale 2004, ma il 27 dicembre alla sera, dopo essere svenuto nel refettorio della Gregoriana, era stato condotto in ospedale dove moriva il giorno successivo, 28 dicembre 2004.
Il testo riporta, per ulteriore completezza di informazioni, la presentazione dello stesso autore al libro edito da Queriniana nel 2001: «Sono passati più di 25 anni dalla pubblicazione del mio libro Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso…», dove analizza le affermazioni messe sotto accusa, in particolare le “vie di salvezza” e conclude con, riconosciuta coerenza di pensiero: «Vorrei esprimere ancora una volta la mia convinzione che un approccio più aperto e più positivo alle altre tradizioni religiose all’interno del piano di Dio per l’umanità è un bisogno urgente per la vita della Chiesa stessa».
Gerard O’Connell, “Il mio caso non è chiuso”. Conversazioni con Jacques Dupuis, EMI, Bologna 2019, pp. 248, € 30,00 (e-book € 19,99).