Il 2 dicembre 2019 è morto Johann Baptist Metz. Riproponiamo per i lettori di SettimanaNews un contributo pubblicato in occasione dei suoi novant’anni.
Johann Baptist Metz appartiene a coloro che, nei decenni scorsi, hanno introdotto la teologia nel discorso intellettuale del presente. Il 5 agosto ha festeggiato il suo novantesimo compleanno.
La sua vita è indissolubilmente legata a un tragico avvenimento: all’età di 16 anni, al termine della guerra, torna nella sua terra. E trova «soltanto morti», tutti morti», colpiti da un attacco di cacciabombardieri e da un assalto di carri armati. «Di tutti coloro con cui avevo condiviso, giorni prima, le ansie dei bambini e l’allegria dei giovani, non potei vedere che i loro volti spenti nella morte. Non ricordo nulla se non un grido silenzioso».
È un’esperienza decisiva che induce Metz a porsi delle domande su Dio e sulla giustizia nei confronti di vittime innocenti. Come è possibile – si chiede Metz – dopo la catastrofe umana di Auschwitz, un discorso, una teologia su Dio?
Descrive la sua esperienza di Dio come «un’esperienza di dolore di Dio», come è sintetizzata nel grido di Gesù sulla croce – «il grido di quella persona abbandonata da Dio che, da parte sua, non aveva mai abbandonato il suo Dio».
Non volendo e non potendo dimenticare le vittime della storia, degli indifesi, Metz sviluppa la sua Nuova teologia politica. Nuova perché Carl Schmitt (1888-1985) nella Repubblica di Weimar credeva di poter giustificare teologicamente la pretesa del totalitarismo e del pensiero del capo. Cosa da cui Metz vuole e deve prendere le distanze.
Ha cercato il dibattito intellettuale
Come pochi altri teologi, Metz cerca il dibattito intellettuale. Fa parte di ciò il dialogo con il marxismo e i rappresentanti della scuola di Francoforte sui filosofi Theodor W. Adorno, Max Horkheimer e Jürgen Habermas dei quali è amico. Senza Metz nel 2004, a Monaco, non si sarebbe giunti alla discussione tra Habermas e l’allora capo della Congregazione per la dottrina della fede, il card. Joseph Ratzinger.
Metz, originario dell’Alto Palatinato, dall’«arcicattolica piccola città» di Auerbach, dal 1963 al 1993 insegna teologia fondamentale a Münster e trascorre qui la sera della sua vita, si impegna in una spiritualità sensibile alla sofferenza: «compassione» è il concetto chiave che assieme a Mitgefühl (empatia) e Empfindsamkeit (sensibilità d’animo, tenerezza) è tradotto in maniera inesatta. A partire da qui, Metz vuole introdurre delle correzioni.
La Chiesa – sostiene – si è concentrata in maniera unilaterale sul peccato e la redenzione del colpevole, ma lo sguardo primo di Gesù non era rivolto al peccato dell’altro, ma alla sua sofferenza». La ricerca teologica delle verità fuori del tempo non ha mai interessato Metz: «Se una teologia è in grado di rispondere in maniera perfetta a tutti gli interrogativi, è già sbagliata». Egli vuole soprattutto tener desto il problema di Dio in quanto «memoria sovversiva».
Una mistica dagli «occhi dolorosamente aperti non deve solo tener presente il prossimo vicino, ma anche gli estranei». Metz ricorda i sofferenti del terzo mondo che, in Europa, sono «spinti in una distanza senza volto». O i musulmani che, dopo l’11 settembre 2001, devono essere incontrati in un atteggiamento di dialogo e non con «la preoccupazione di catalogarli».
Le piaghe della Chiesa
Il consigliere del sinodo delle diocesi di Würzbug (1971-75) mette il dito sulle piaghe della Chiesa. Per quanto riguarda la libertà di religione, Metz chiede che la verità storica non sia ignorata: la libertà di fede e di coscienza, che oggi la Chiesa reclama per sé e per gli altri, è stata conquistata, contro di essa, dalla Riforma e dall’illuminismo politico.
Nonostante tutta la sua riflessione speculativa, Metz è un prete e un pastore d’anime. Per lui la «cultura della sensibilità d’animo» non è un atteggiamento scientifico ma una realtà della sua vita. Egli critica «le parrocchie territorialmente mostruose» e propone «comunità che raccontano, aperte a imparare» – e soprattutto «al di là di una religione borghese», come dice bene il suo libro più importante.
Metz giudica sostanzialmente in maniera positiva lo stile di guida e le preoccupazioni principali del papa argentino. Ma egli non sarebbe Metz se si lasciasse andare a un’adulazione di Francesco. Piuttosto dice: «Il discorso sui poveri da solo non basta», ma può valere universalmente e applicarsi anche ai non-credenti se viene «allargato ai sofferenti».
www.katholisch.de, 5 agosto 2018. Nostra traduzione dal tedesco.