John Henry Newman, dopo il riconoscimento del secondo miracolo, potrebbe essere canonizzato già il prossimo anno, dopo la Pasqua. Lo ha dichiarato il vescovo di Portsmouth, Philip Egan, in una newsletter ripresa dal settimanale di Londra, Catholic Herald, del 28 novembre scorso.
Il postulatore della causa, p. Ignatius Harrison, ha affermato che ora mancano ancora due passaggi: l’approvazione della commissione episcopale dei vescovi e una dichiarazione di papa Francesco.
Un’altra fonte ha affermato che l’arcidiocesi di Chicago e la Congregazione per le cause dei santi hanno giudicato miracolosa la guarigione ottenuta per intercessione di Newman di una donna che soffriva di una «gravidanza pericolosa per la sua vita». I medici curanti hanno confermato che non c’era alcuna spiegazione per la sua improvvisa guarigione.
Henry Newman fu uno dei più importanti convertiti al cattolicesimo dall’anglicanesimo del secolo XIX. Era già un teologo molto stimato quando fondò, prima di convertirsi alla fede cattolica, il Movimento di Oxford, per riportare la Chiesa di Inghilterra alle sue radici cattoliche.
Era rinomato come brillante pensatore. Fu creato cardinale da Leone XIII nel 1879. Morì nel 1890, all’età di 89 anni, dopo aver fondato l’Oratorio di Birmingham. I suoi scritti prolifici e originali indussero molti a chiedere che fosse proclamato dottore della Chiesa.
Fu beatificato da Benedetto XVI, a Birmingham, nel 2010, dopo che era stato approvato il primo miracolo del diacono Jack Sullivan, un americano guarito per sua intercessione, da un’atrofia muscolare spinale.
Affascinato dall’eucaristia
La storia della conversione al cattolicesimo di Newman non è esattamente la stessa di quella successiva alla sua scoperta del cattolicesimo, scriveva l’esperto mondiale di Newman, p. Ian Ker (Catholic Herald, 31 agosto 2018). A quel tempo c’erano pochissimi luoghi di culto cattolici. Comunque, egli, per non essere accusato che il Movimento di Oxford o Trattariano fosse, in realtà, solo una preparazione alla conversione alla Chiesa di Roma, evitava con cura i cattolici e non partecipava ai loro atti di culto, anche quando compì un viaggio nell’area mediterranea nel 1832-83.
L’aspetto che maggiormente lo colpì nella sua vita spirituale di cattolico, e che fu per lui una grande sorpresa, fu la custodia del Santissimo Sacramento nelle chiese cattoliche.
In una lettera scritta ad un suo intimo amico, prossimo a diventare cattolico pochi mesi dopo, diceva: «Non ho mai permesso al mio spirito di indugiare su ciò che avrei potuto ottenere di beatitudine – ma certamente se avessi riflettuto molto su questo, non avrei potuto immaginare il conforto estremo e ineffabile di essere nella stessa casa con Lui che guarì i malati e istruì i suoi discepoli… Quando sono stato nelle chiese all’estero, mi sono religiosamente astenuto dal partecipare ad atti culto, benché fosse un grande e consolante conforto entrare in esse – non sapevo cosa succedeva e nemmeno capivo o cercavo di capire la celebrazione della messa – e non sapevo o non facevo attenzione alla lampada del tabernacolo –, ma adesso, dopo aver gustato l’immensa gioia di adorare Dio nel suo tempio, quanto mi sembra indicibilmente fredda l’idea di una chiesa priva della Presenza Divina! Si è tentati di dire: qual è il significato? a che cosa serve?».
È straordinario – sottolinea – Ian Ker, come sia stata la custodia del santissimo Sacramento nelle chiese cattoliche a impressionarlo maggiormente e ad emozionarlo, più che la stessa santa messa. Questo fatto ci dice qualcosa di molto importante non solo su Newman, ma anche sull’aspetto centrale dell’impatto del cattolicesimo sull’immaginazione del convertito protestante inglese del XIX secolo.
Newman non sottolinea solo un fatto devozionale e spirituale quando scrive a un amico anglicano: «Scrivo da una stanza vicino alla cappella. È una benedizione talmente incomprensibile avere Cristo in presenza corporale nella propria casa, dentro le proprie mura, cosa che supera tutti gli altri privilegi… Sapere che Egli è vicino, e poter sempre durante il giorno andare da Lui…».
Newman sottolinea qualcosa di molto significativo circa l’obiettività e la realtà. Fu questa presenza reale di Gesù in un tabernacolo materiale a produrre soprattutto una «profonda impressione della religione come fatto oggettivo» che lo impressionò nel cattolicesimo. Egli vedeva «dovunque i segni di un sistema reale e avvolto di mistero».
Quando, un anno dopo, Newman giunse in Italia per prepararsi al sacerdozio, prese subito coscienza di una realtà che si ripercuoteva profondamente nella sua immaginazione, ma di cui non si era accorto nel suo precedente viaggio. Giungendo a Milano, avvertì subito di avere ora una ragione in più per preferire l’architettura classica a quella gotica, perché indicava che l’altare maggiore occupava un posto centrale della chiesa, con il risultato che la custodia del Sacramento aveva un particolare risalto – «e nulla è più emozionante di una lontana fiammella palpitante che lascia presagire la Presenza, nascosta ma sempre operante, della nostra vita che non muore».
La sua preoccupazione quasi ossessiva per la “presenza reale” era qualcosa di più di semplice fatto devozionale. «È davvero quanto mai meraviglioso vedere questa Divina Presenza che guarda quasi sulle strade aperte davanti alle varie chiese… Io non ho mai saputo che genere di culto fosse, in quanto fatto oggettivo, finché non sono entrato nella Chiesa cattolica».
Ciò che Newman aveva scoperto era che l’oggettività del culto, che tanto lo impressionava, non rifletteva altro che l’oggettività del cattolicesimo in cui era giunto a credere come ad una religione del tutto diversa dall’anglicanesimo e dal protestantesimo. Ora era felice di trovare – come pensava – «una vera religione, non una semplice opinione di cui ti fidi solo perché l’ha anche il tuo vicino di casa, bensì un credo e un culto esterno oggettivo e sostanziale».
Ian Ker nel suo libro Newman on Vatican II (2014), ristampato nel 2016, scrive che il fascino di Newman per la custodia del Sacramento riflette la sua celebre distinzione filosofica tra il nozionale e il reale, nel senso che le nozioni sono astrazioni intellettuali e il reale ciò che noi personalmente e concretamente esperimentiamo. I cattolici – sottolineava – adorano non delle definizioni dogmatiche ma «Cristo stesso», e credono nella Presenza (reale) nel santo tabernacolo non come «formula di parole» o «come una nozione, bensì come un oggetto molto reale, come lo siamo noi».
Cosa ha realmente rappresentato Newman?
Ian Ker, nel libro citato, si domanda che cosa ha realmente rappresentato Newman. «Ho scritto il libro Newman on Vatican II – sottolinea – per due ragioni. Anzitutto, sperando di risolvere una volta per tutte l’interrogativo che sempre pende su Newman: era un teologo conservatore o liberale? Siccome, una volta canonizzato, certamente sarà dichiarato dottore della Chiesa, la domanda diventa ora più pressante».
La ragione per cui questo interrogativo regolarmente si pone deriva dal fatto che è molto facile citare Newman in maniera selettiva e fuori dal contesto. Anche perché è uno che si esprime in maniera decisa e tagliente.
Per esempio, si può citare la sua diretta affermazione dell’Apologia in cui dice che il dogma costituiva il «fondamento principale» della sua religione – «Non conosco altra religione»; oppure citare ciò che egli sostenne nel discorso tenuto in occasione della sua nomina cardinalizia: «Per 30,40,50 anni ho resistito con il meglio delle mie forze allo spirito liberale nella religione» – e concludere, da queste due irriducibili affermazioni, che Newman era estremamente conservatore e tradizionalista.
D’altra parte, si potrebbero citare anche le sue celebri parole: «Senza dubbio, se fossi obbligato a introdurre la religione nei brindisi dopo un pranzo (il che in verità non mi sembra proprio la cosa migliore), brinderò, se volete, al papa; tuttavia prima alla coscienza, poi al papa»; oppure la sua schietta affermazione: «La teologia è il principio fondamentale e regolatore di tutto il sistema della Chiesa» – e concludere che Newman fu un teologo precursore dello spirito liberale del Vaticano II, cioè uno che giustifica il dissenso nei confronti dell’insegnamento della Chiesa e difende un magistero parallelo dei teologi.
Né conservatore né liberale
La verità è che Newman non fu né semplicemente conservatore né liberale. Egli è meglio descritto come un conservatore radicale o riformatore. Ciò è vero sia per il suo periodo anglicano e sia per quello cattolico. Per esempio, il suo primo libro The Arians of the Fourth Century (Gli ariani del quarto secolo) era chiaramente rivolto ai suoi contemporanei anglicani e protestanti, i quali erano in combutta con il governo Whig (liberale), che minacciava di imporre alcune riforme nella Chiesa d’Inghilterra. Anche gli editori conservatori della biblioteca teologica a cui il libro era destinato, furono allarmati dal radicalismo di molte sue idee. Così pure, l’ultimo capitolo dell’Apologia «mentre, da un lato, sostiene l’autorità del magistero, dall’altro, difende in maniera inequivocabile la legittima libertà dei teologi».
Un dottore della chiesa post-conciliare?
La seconda ragione per cui ho pubblicato il libro è il fatto che, mentre molto è stato scritto su come Newman ha anticipato il Vaticano II, io volevo piuttosto chiedermi come egli avrebbe risposto ai documenti del Concilio e quale sarebbe stato il suo giudizio sulla loro interpretazione e attuazione.
La sua posizione teologica conservatrice, e anche radicale e riformatrice, era coerente con la sua idea che la Chiesa «cambia… per rimanere la stessa». In altre parole, egli avrebbe detto che la Chiesa, con il Vaticano II, ha cambiato per rimanere la stessa, non per essere diversa.
Per verificare se un cambiamento era uno sviluppo o una corruzione, egli proponeva sette punti, che sono stati regolarmente ignorati dai suoi commentatori, ma a cui egli teneva molto. Essi illuminano splendidamente come il più controverso documento del concilio – Dignitatis humanae, la Dichiarazione sulla libertà religiosa – abbia costituito certamente un grande cambiamento, ma un cambiamento nella continuità.
Nelle sue lettere private prima, durante e dopo il Vaticano I, egli prefigurò una mini-teologia dei concili, sottolineando come entrambi modificano e completano quelli precedenti, provocando notevole confusione e conflitto, e richiedono un’interpretazione da parte di tutta la Chiesa. Riteneva che gli insegnamenti come quelli dei Concili Vaticani sarebbero diventati più chiari con il tempo, e che avrebbero portato a nuovi sviluppi per quello che, in maniera paradossale, non avevano detto.
Infine, sostiene Ian Ker, Newman ha anticipato – fornendo, nello stesso tempo, una correzione alle distorsioni postconciliari –, il documento sulla Rivelazione (Dei Verbum), che è essenzialmente personalistico, ma anche propositivo; la Chiesa e il mondo moderno (Gaudium et spes), la cui enfasi sulla giustizia e la pace poteva – e di fatti ha portato – a grosse esagerazioni; e il rapporto della Chiesa con le religioni non cristiane (Nostra aetate) su cui Newman era stato più radicale, rifiutando, allo stesso tempo, qualsiasi genere di pluralismo religioso.
Se Newman – conclude Ian Ker – sarà dichiarato dottore della Chiesa, sarà considerato sicuramente un dottore per eccellenza della Chiesa post-conciliare.