Josef Mayr-Nusser, cristiano testimone di pace

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Josef Mayr-Nusser

Josef Mayr-Nusser

Può l’amore coniugale oltrepassare il confine irreversibile della morte? Sì, nella fiducia di entrambi i coniugi nell’infinito amore del Padre che sostiene nella prova più difficile. «Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l’amore […] Le grandi acque non possono spegnere l’amore, né i fiumi travolgerlo» recita il Cantico (2,16) e per Josef Mayr-Nusser e Hildegard Straub si è trattato della follia nazi-fascista che aveva trascinato l’Europa in una guerra senza scampo.

Come già accaduto a un’altra coppia, Franz e Franziska Jägerstätter, la riflessione, nella preghiera, e l’ascolto della voce della coscienza avevano fornito un’unica risposta, che troppi avevano messo a tacere, e non solo laici, sia in Germania sia in Italia: un cristiano non poteva diventar collaboratore del Führer imbracciando le armi per la sua causa, e i suoi crimini.

«Nemmeno un momento ho dubitato di come debba comportarmi in tale situazione e tu non saresti mia moglie se ti aspettassi qualcosa di diverso da me. Mia diletta, questa consapevolezza, questo accordo tra noi in ciò che abbiamo di più sacro, è per me un indicibile conforto» scriveva Josef alla moglie dalla caserma di Konitz nella Prussia orientale il 27 settembre 1944. Una settimana dopo, la mattina del 4 ottobre, quando il maresciallo aveva finito di spiegare ogni particolare del giuramento delle reclute («Giuro a te, Adolf Hitler, Führer e cancelliere del Reich, fedeltà e coraggio. Prometto solennemente a te e ai superiori designati da te obbedienza sino alla morte. Che Dio mi assista») previsto per il giorno successivo, Josef, per tutti Pepi, 34 anni, proveniente dal maso Nusser nei pressi di Bolzano, aveva alzato la mano e scandito con voce ferma: «Signor maresciallo, non posso giurare a questo Führer».

«Se nessuno ha il coraggio di dire loro che è contrario alle idee nazionalsocialiste», commentò più tardi ai suoi commilitoni, «non cambierà mai nulla»: il tempo di sottoscrivere la dichiarazione e venne incarcerato, prima a Konitz, poi a Danzica. Morirà di broncopolmonite il 24 febbraio 1945 nei pressi di Erlagen sul treno che l’avrebbe portato nel campo di concentramento di Dachau dov’era prevista la sua fucilazione per alto tradimento.

Il prossimo 18 marzo, vigilia della festa di san Giuseppe, il servo di Dio Josef Mayr-Nusser verrà beatificato nel duomo di Bolzano dall’arcivescovo Ivo Muser per volontà di papa Francesco resa nota dalla Congregazione per le cause dei santi la settimana scorsa.

Una vita di servizio

«Nella lettera del 27 settembre 1944 alla moglie Hildegard appare un cristiano che lotta per la sua decisione sostenuta dalla fede e che diventa una professione di fede personale nei confronti di un sistema anticristiano e misantropo», scrive il vescovo Muser nell’annuncio alla diocesi di Bolzano-Bressanone in pieno cammino post-sinodale del quale questa beatificazione appare come un dono del cielo. «Il doverti gettare nel dolore terreno con la mia professione di fede nel momento decisivo, mi tormenta il cuore, o fedele compagna. Questo dovere di testimoniare ha certamente un valore, è una cosa inevitabile; sono due mondi che si scontrano l’un contro l’altro. In modo troppo chiaro i superiori si sono dimostrati negatori e odiatori di ciò che per noi cattolici è santo e intoccabile. Prega per me, Hildegard, perché nell’ora della prova possa agire senza paura e senza esitazione, così come è mio dovere davanti a Dio e alla mia coscienza».

Una decisione che veniva da lontano quella di Josef, nato nel 1910, quarto di sei figli, orfani del padre caduto nella Grande Guerra. Le condizioni economiche della famiglia gli impediscono di inseguire il sogno di studiare scienze naturali: frequenterà la scuola commerciale trovando impiego negli uffici di due note ditte sudtirolesi, mentre il fratello maggiore Jacob entrerà nel seminario di quella che allora costituiva la parte di lingua tedesca della diocesi di Trento (da cui si separerà solo nel 1964 seguendo i confini delle due province civili secondo il dettato conciliare). Grande appassionato di lettura fin da bambino (uno dei suoi eroi era san Tommaso Moro), nel 1933 aderì al gruppo giovanile cattolico fondato da don Friedrich Pfister e contemporaneamente alla conferenza di San Vincenzo, di cui più tardi diventerà presidente.

Ma il suo impegno chiedeva anche altri sbocchi e più tardi venne eletto presidente della sezione maschile dei giovani di Azione Cattolica i cui incontri erano scanditi spesso dal pensiero di Romano Guardini. Grande fu la soddisfazione quando ottennero l’autorizzazione a proclamare le letture del giorno nel corso della celebrazione della messa nella loro lingua madre, il tedesco, nella chiesetta di San Giovanni da loro ristrutturata.

Il coraggio della testimonianza

Al servizio con la San Vincenzo Josef alternava incontri con i giovani non disdegnando di pubblicare articoli sulla stampa cattolica per sollecitare riflessioni. «Rendere testimonianza alla Luce, annunciare Cristo al mondo. Un’impresa coraggiosa… Dare testimonianza è oggi la nostra unica arma, la più potente, un’arma abbastanza strana. Non spada, non violenza, non denaro, non potere spirituale, nulla di tutto questo ci è necessario per costruire il regno di Cristo sulla terra Il Signore ha preteso da noi qualcosa di molto modesto eppure di molto importante: essere testimoni… La testimonianza senza parole, quella che il vero cristiano vive quotidianamente a casa, durante il lavoro, nei campi, nelle officine, di fronte agli uomini. Quale forza sprigiona un giovane che vive semplicemente da cristiano… Dobbiamo essere testimoni: prima di diventare annunciatori della Parola e delle opere, vogliamo anzitutto tentare di essere giovani cristiani in tutto e per tutto. Lo diventeremo accostandoci agli altari. Su di essi c’è la Parola e il corpo di Cristo. In essi riposano le ossa di quelli che furono i testimoni di Cristo fino alla morte», scriverà il 15 gennaio 1938 sulla rivista della gioventù cattolica, Jugendwacht, come ricordano Irene Argentiero (direttrice oggi del settimanale cattolico di lingua italiana Il Segno) e don Josef Innerhofer nella «Vita» pubblicata sul sito della diocesi di Bolzano-Bressanone.

«La testimonianza coraggiosa di Josef Mayr-Nusser può essere esempio anche per la generazione di oggi», affermava don Josef Innerhofer lo scorso 24 febbraio nella messa di suffragio celebrata sul Renon nell’anniversario della morte.

Quando il 26 maggio 1942, in pieno conflitto, Josef e Hildegard si univano in matrimonio nella chiesetta di San Nicolò (poi completamente distrutta dai bombardamenti alleati), celebrante il fratello don Jakob, forse non immaginavano come la furia nazista si sarebbe abbattuta anche su di loro. I tedeschi avevano necessità di arruolare uomini per sostituire i centomila morti della battaglia di Stalingrado (e circa il doppio erano i caduti sul fronte in Africa Settentrionale), mentre gli anglo-americani avanzano da ovest.
Alla capitolazione dell’Italia nel settembre 1943, Josef e Hildegard erano diventati genitori del piccolo Albert: neanche un anno dopo Josef fu costretto a salire, insieme a molti altri sudtirolesi, su un vagone su cui era scritto “Bolzano-Konitz”, ma la decisione sul da farsi era già presa.

«L’alleanza di amore e fedeltà, di cui vive la santa famiglia di Nazaret, illumina il principio che dà forma ad ogni famiglia, e la rende capace di affrontare meglio le vicissitudini della vita e della storia. Su questo fondamento, ogni famiglia, pur nella sua debolezza, può diventare una luce nel buio del mondo», scrive papa Francesco (AL 66) e Josef, sostenuto da Hildegard, rappresenta una delle tante luci (molte quelle sconosciute) che rischiarano anche oggi.

La ricorrenza liturgica del nuovo beato sarà celebrata per la prima volta il 3 ottobre 2017.

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