«L’ultima parola che ho da dire come teologo e politico non è un concetto come “grazia”, ma un nome: Gesù Cristo». Con queste parole Karl Barth, nel 1968, compendia la sua vita.
In questa maniera concisa egli puntualizza ciò che lo ha guidato come teologo: non un impegno con una semplice dottrina o ideologia, ma la proclamazione di un nome e quindi, in definitiva, l’incontro con una persona.
«Ciò di cui mi sono occupato nella mia lunga vita» ha aggiunto, «è stato in misura crescente l’impegno ad esaltare questo nome e dire dort (lì)!
Karl Barth riassume esattamente ciò che, guardando in retrospettiva, egli ha inteso come compito della sua vita. Sembra strano che uno dei più grandi teologi del secolo 20° abbia sintetizzato tutto il suo lavoro scientifico in un nome: Gesù Cristo.
Ma chi era quest’uomo di nome Karl Barth, morto il 10 dicembre di cinquant’anni fa? E quali pensieri hanno caratterizzato la sua attività teologica?
Karl Barth era nato il 10 maggio 1886 a Basilea. Suo padre era teologo e parroco. Più tardi, insegnò, all’università di Berna, dogmatica, storia della Chiesa e Nuovo Testamento.
Già da giovanissimo, Barth si entusiasma dell’attività di suo padre, Dopo l’esame di maturità, inizia il suo studio della teologia prima a Berna e poi a Berlino. Qui diventa allievo del celebre storico dei dogmi Adolf von Harnack.
Il cammino successivo dei suoi studi è movimentato: lo porta a Tubinga e a Marburg e, infine, di nuovo a Berna dove, nel novembre 1908, viene ordinato al servizio parrocchiale. Tuttavia, prima di iniziare il suo compito di vicario a Ginevra, ritorna per alcuni mesi a Marburg dove incontra anche Rudolf Bultmann. Per lungo tempo i due rimangono in un rapporto amichevole, anche se spesso hanno dei punti di vista teologici diversi.
Preparazione meticolosa delle prediche
Una prima fase della sua vita si svolge nel 1911, come parroco della piccola comunità rurale di Safenwil, nell’Argau. Come “pastore di campagna” quale egli stesso amava definirsi durante i dieci anni di attività, tenne nella comunità oltre 500 prediche. Preparava in maniera minuziosa i suoi discorsi, spesso trascorreva molti giorni su questi suoi testi.
Nel 1913 sposò Nelly che, poco più tardi, mise al mondo il suo primo figlio.
Con la crisi della prima guerra mondiale anche il pensiero teologico di Barth rimane scosso: il riserbo dei suoi insegnanti, con cui aveva studiato teologia, lo lascia sconcertato. Scrive: nella loro «abdicazione etica» si dimostra «come anche i loro presupposti esegetici e dogmatici non potevano essere a posto».
La paura della Chiesa di esprimersi in una situazione politicamente tesa diventa per Barth il punto di partenza del suo impegno per una teologia della Parola di Dio.
In questo momento cruciale nasce anche la sua prima grande opera, il commento alla Lettera ai Romani. Qui cerca di considerare il testo biblico non solo dal punto di vista storico-critico, ma di elaborare il messaggio che la lettera costituisce per l’uomo d’oggi, in un tempo molto concreto.
Nella prefazione alla prima edizione, nel mese di agosto del 1918, scrive: «Paolo ha parlato ai suoi contemporanei come figlio del suo tempo. Ma molto più importante di questa verità è l’altra, il fatto di parlare come profeta e apostolo del regno di Dio a tutti gli uomini, di tutti i tempi». Il messaggio di Dio, che Paolo rivolge agli uomini, invita anche gli ascoltatori di oggi a una decisione.
Barth cerca in questo modo di superare il divario storico tra il tempo di Paolo e quello attuale.
A dire il vero, la Lettera ai Romani non rimase senza opposizione. Ciononostante, già nel gennaio 1921 viene chiamato come professore alla facoltà teologica dell’Università di Göttingen. Anche se non si era mai laureato o né ottenuto l’abilitazione, fu presto nominato dottore in teologia dall’università di Münster, dove nel 1925 divenne anche professore. Da allora, un’intensa attività didattica determina la sua vita.
Qui ebbe origine anche una delle sue concezioni teologiche fondamentali: la teologia dialettica. Barth stesso la caratterizza così: «Come teologi, noi dobbiamo parlare di Dio. Siamo però uomini e come tali non possiamo parlare di Dio. Dobbiamo riconoscere le due cose, il nostro dovere e il non potere e anche così dare gloria a Dio».
L’uomo, nella sua inadeguatezza, deve parlare di un Dio che lo incontra come sovrano. La posizione della “possibilità impossibile” della conoscenza di Dio rimanda completamente l’uomo alla rivelazione divina. Soltanto attraverso di essa si risolve l’opposizione tra Dio e l’uomo e diventa possibile conoscere Dio. Questa caratteristica fondamentale della “teologia della Parola”, in base alla quale Karl Barth comprende ciò che Dio dice all’uomo, è determinante per tutto il suo lavoro accademico.
L’amante segreta
Un altro profondo cambiamento nella vita di Barth avvenne nel 1924, quando conobbe la teologa Charlotte von Kirschbaum che diventa una delle sue più importanti collaboratrici. Quanto fosse in realtà stretto il rapporto si venne a conoscere pubblicamente soltanto decenni più tardi.
La relazione d’amore tra Barth e Charlotte von Kirschbaum scatenò inevitabilmente dei conflitti con Nelly Barth, aggravati dal fatto che l’amata, nel 1929, si trasferì nella casa di famiglia di Münster e qui rimase fino a quando fu accolta in una casa di riposo negli anni ’60.
A causa delle insanabili diversità di vedute, Karl Barth nel 1930 si trasferisce all’università di Bonn. Qui è sempre più sollecitato dall’acutizzarsi della situazione politica in Germania. Benché per lungo tempo non avesse detto nulla, nel giugno del 1933 scrive il suo documento polemico Esistenza teologica oggi, in cui invita la Chiesa e la teologia alla resistenza contro «lo spirito e la lettera» del nazionalsocialismo.
Determinante è Barth anche nella formulazione delle “sei tesi di Barmen”, in cui, nel maggio 1934, i cristiani riformati, quelli uniti e i luterani prendono pubblicamente posizione contro il regime nazista.
Quando poi Karl Barth si rifiuta di giurare fedeltà al “Führer”, nel novembre 1934, viene sospeso come docente universitario e torna in qualità di professore straordinario in Svizzera, all’università di Basilea.
Anche se, nel 1946, Barth si trasferì per due semestri come docente ospite all’università di Bonn, da vario tempo egli aveva però spostato il centro della sua vita nella vecchia patria. Qui lavora soprattutto alla sua Dogmatica ecclesiale. Un’opera mastodontica di oltre 9.000 pagine. In essa espone in maniera dettagliata il suo pensiero teologico.
I trattati della dottrina su Dio, sulla grazia e sulla creazione sono delineati a partire dalla sua “teologia dialettica”, presentando così un compendio del suo pensiero. Soltanto nel 1966, all’età di 80 anni, porta a termine il lavoro della sua Dogmatica ecclesiale. Benché costituita di tredici densi volumi, rimane tuttavia alquanto incompleta perché manca il trattato sull’escatologia.
L’impegno per l’ecumenismo
Barth dedica in particolare gli ultimi anni della sua attività all’impegno teologico e specialmente a quello ecumenico. Per il suo settantesimo anno di età riceve molte onorificenze.
Oltre all’attività accademica, egli dedica in modo particolare il suo tempo al servizio ecclesiale della comunità: dal 1954 celebra regolarmente le liturgie nel carcere di Basilea dove continua a predicare con entusiasmo e dove conosce personalmente molti detenuti.
Nel 1962 si ritira definitivamente e viaggia per tenere conferenze e per rispondere agli inviti che gli giungono dagli Stati Uniti. Nel 1966, già ottantenne, compie con sua moglie Nelly un viaggio a Roma e viene ricevuto in udienza privata da Paolo VI. Nella notte tra il 9 e 10 dicembre 1968 muore a Basilea, sua città natale.
Guardando alla vita e all’opera teologica di Barth, ciò che traspare è il suo entusiasmo per la persona di Cristo. Non sono stati i grandi concetti e le idee teologiche a motivarlo e a stimolarlo. È stato Gesù Cristo che egli proclamò in molteplici maniere con l’insegnamento accademico e la predicazione e per il quale diede anche testimonianza in una situazione politica travagliata.
Forse, a partire da questo nome, si può comprendere meglio ciò che gli interessava maggiormente nei suoi numerosi scritti. Infatti, come egli stesso sottolinea: «In nessun altro nome c’è salvezza come in questo nome. In esso c’è anche la grazia, in esso c’è anche l’impulso a lavorare, a combattere, e lo stimolo verso la comunità, verso il prossimo. In esso c’è tutto ciò che io nella mia vita, nella debolezza e nella follia, ho cercato. Ma lì c’è tutto». (katholisch.de, 10.12.2018)
E’il mio teologo preferito, forse perchè è così “largo” da non rientrane in nessun schema e categoria. E’ Barth e basta.