Karl-Josef Rauber, in memoria

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Aveva 88 anni. Era noto per la sua schiettezza. Non aveva peli sulla lingua anche quando si trattava di esprimersi su personalità eminenti della gerarchia cattolica. Lasciata la nunziatura di Bruxelles, si era ritirato a Rottenburg, stupenda località del Baden-Wurttemberg, nelle vicinanze della celebre università di Tubinga, ospite delle suore dello Schonstattenzentrum, dove lo incontrai il 3 febbraio 2010 per conto della rivista Il Regno.

Eccessivamente piramidale

Incominciò a parlarmi della Chiesa «eccessivamente piramidale», chiamando in causa il cardinale Ratzinger, che conosceva dal 1962. «Era una persona molto gentile e cordiale. In seguito i nostri contatti divennero meno frequenti. Quando divenni presidente della Pontificia accademia ecclesiastica, ebbi modo di incontrarlo ancora e, più di frequente, quando fui membro della Congregazione per i vescovi per tre anni.

Fu la Svizzera, dov’ero nunzio, a raffreddare i nostri rapporti. In una riunione di preti, a una domanda sul celibato, risposi: “Non credo che cambierà qualcosa sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, poi lo Spirito Santo ci guiderà”. Il card. Ratzinger mi segnalò alla Segreteria di stato perché criticavo la disciplina ecclesiastica. La cosa si ripeté quattro volte».

Rauber parlò della sua attività nella diplomazia vaticana. «Sono stato in servizio per ben 43 anni, di cui 26 come nunzio. Il più bel periodo lo trascorsi con mons. Benelli, di cui sono stato segretario per dieci anni. Era un uomo eccezionale e strano. Urlava, ma aveva un grande cuore. Conosceva bene l’arte della diplomazia. Un conservatore intelligente».

Mi espresse il suo giudizio sulla attività diplomatica della Santa Sede: «La ritengo importante, ma vedo che il suo ruolo è diminuito. L’Europa e l’America non sembrano darle molto ascolto, forse perché la Chiesa sta attraversando un po’ di turbolenza. Si vedano i casi di pedofilia negli USA, Irlanda, Germania. Il card. Bertone, segretario di Stato vaticano, non viene dalla diplomazia, anche se è stato un ottimo segretario della Congregazione per la dottrina della fede. Certo non sono più i tempi di Casaroli e Silvestrini, che hanno fatto la storia della diplomazia vaticana di fronte alla sfida del comunismo e alla caduta del muro di Berlino».

Gli ricordai l’incontro e la conversazione che ebbi con lui a Budapest. Mi parlò di un confronto duro con il card. Sodano, allora segretario di Stato vaticano. «È stato per l’affare Haas, vescovo di Coira in Svizzera. A parere di Sodano, Haas era la persona giusta per Coira, nonostante l’opposizione del clero. Mi ero consultato con tutti i vescovi e avevo sentito cinquecento persone. Sodano si arrabbiò perché mi ero permesso di consultare i vescovi, ricordandomi un passo di papa Gregorio Magno, che diceva che non si deve interferire nelle diocesi. Ed io, come nunzio, che dovevo fare? Gli ho risposto citandogli papa Giovanni XXIII che diceva che le difficoltà non erano dovute ai bulgari − era rappresentante del papa in Bulgaria − ma alle autorità vaticane. Adirato e inviperito mi mandò a Budapest. Si trattava di punti di vista».

Andarsene in silenzio

Durante il suo servizio come nunzio in Belgio (2003-2009), Rauber dovette affrontare una certa ostilità a motivo delle espressioni del papa, allora Giovanni Paolo II, riguardo alla prevenzione dell’HIV/AIDS. «Il papa si era pronunciato contro l’uso dei condom nel viaggio in aereo verso l’Africa. Fui preso di mira, tanto che si voleva dichiararmi “persona non grata”. Quando lasciai Bruxelles, a fine mandato, non diedi neppure il saluto ufficiale. Andai dal re, ma non dal presidente del Parlamento. Me ne andai in silenzio».

Allo scadere dei 75 anni, Rauber rassegnò le dimissioni, nonostante le pressioni a rimanere che gli venivano dalla Segreteria di stato. «In Segreteria di stato volevano che restassi ancora per un po’, ma non accettai. Devo tanto alla Santa Sede, anche se non sempre sono stato ascoltato, riguardo soprattutto alle nomine dei vescovi. Certo sono rimasto dolorosamente sorpreso per alcuni avvenimenti. Penso al caso dei lefebvriani, alla non trasmissione al papa delle informazioni su Williamson, negazionista dei campi di sterminio, alla nomina di mons. André Léonard, come arcivescovo di Malines-Bruxelles. C’è stata tanta superficialità».

Nell’anno 2000 intervenne per dire il suo pensiero sulla Chiesa per la pubblicazione del libro: La cosa più importante per la Chiesa (EDB). Si espresse così: «La Chiesa, in quanto popolo di Dio e misterioso corpo di Gesù Cristo, ma anche in quanto Ecclesia semper reformanda, nella sua attività pastorale, missionaria ed ecumenica, dovrà rendersi sempre più conto che deve seguire l’umile invito alla partecipazione ad esso, vale a dire alla pienezza dell’amore salvifico di Dio, che si concentra in Gesù Cristo. Ne sono ancora e sempre più convinto».

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