Il grande teologo Karl Rahner nasceva il 5 marzo 1904 e moriva il 30 marzo 1984: confido nel fatto che i due anniversari rappresentino delle occasioni per soffermarsi sulla sua opera. Ho avuto modo di studiarne il pensiero pochi anni addietro, cogliendo, ad esempio, l’influenza su di lui esercitata da filosofi come Kant e Heidegger, oltre che, naturalmente, da Tommaso d’Aquino.
Così, con il senno di poi, ho scoperto di aver avuto un imprinting religioso rahneriano. Si concludevano gli anni Settanta e iniziavano gli Ottanta: ancora si avvertiva l’onda lunga del Concilio Vaticano II o l’eco del libro di Milan Machovec Gesù per gli atei, e il parroco e insegnante di religione della mia infanzia e prima adolescenza, rispondendo a una mia domanda che evocava proprio il testo, propose una serie di similitudini, immagini, metafore assai vicine all’idea dei cristiani inconsapevoli. I “cristiani di fatto”, come li ribattezzai io allora.
Concezione maturata proprio da Rahner, come è noto, sulla base dell’idea dell’apertura “trascendentale” degli umani alla dimensione del divino e dell’infinito. Apertura costitutiva di ciascuno e di ciascuna di noi, pur essendo Dio, liberamente, a corrispondere a essa, a venirci incontro. La grazia, il dono divino restano tali, ma noi siamo inclini ad accoglierli. Non solo: è sempre il Creatore che, liberamente, si manifesta e si rivolge a noi in una pluralità di modi. Con la Parola, certo, o con i sacramenti; ma anche in forme diverse, magari imprevedibili o per noi inimmaginabili, lontane dal nostro limitatissimo campo visivo.
Una concezione che non manca di presentare aspetti problematici, come si può intuire. Se consideriamo, ad esempio, il Mahatma Gandhi come un “cristiano inconsapevole” (magari come un “cristiano suo malgrado”), rischiamo di non rispettarne fino in fondo la differenza, la peculiarità, l’alterità; rischiamo di non riconoscere appieno l’originalità del suo messaggio e di ignorarne la matrice culturale e religiosa.
Rahner, ovviamente, non sosteneva che tutti siano cristiani. La sua era piuttosto un’attualizzazione dell’idea, propria della tradizione cristiana, di “chiesa invisibile”. La Chiesa non è solo quella che si definisce tale e i cristiani non sono solo coloro che così si dicono. Su un altro versante, a tutto ciò complementare, potremmo anzi aggiungere che non basta dirsi cristiani per esserlo davvero.
Potremmo provvisoriamente affermare che non sarebbe corretto scorgere un cristiano dietro ogni persona generosa, mite, giusta, amorevole, pia. Il dialogo interreligioso rischierebbe di naufragare prima ancora di iniziare. Neppure, però, dovremmo accontentarci di parlare di uomini e donne “di buona volontà”. Cosa c’è dietro, e oltre, quella volontà buona? Come comprenderne propriamente, e in profondità, il senso?
Ecco, forse sono alcune delle questioni che l’importante teologo del Novecento continua a porci.
Davvero un grande teologo (https://iltuttonelframmento.blogspot.com/2019/07/la-svolta-antropologica-in-teologia.html). Oggi forse un po’ dimenticato. Peccato che i suoi discepoli e i suoi “follwers” non siano stati alla sua altezza!