È morto lo scorso 1° dicembre l’arcivescovo emerito di Algeri, Henri Teissier. Il suo impegno decennale in Algeria per il dialogo tra le religioni, in particolare con l’islam.
Negli anni Cinquanta del secolo scorso, circa due milioni di cristiani vivevano nei quattro Paesi dell’Africa del Nord: Libia, Tunisia, Algeria, Marocco. Erano quasi tutti di origine europea e i più erano nel Magreb da una o più generazioni, specialmente in Algeria e Tunisia. Erano convinti di aver fatto rinascere definitivamente la Chiesa dei primi secoli. L’indipendenza li fece partire quasi tutti.
Cristiani nel Nord Africa
Sul finire degli anni Ottanta erano circa 160 mila nei quattro Paesi e, la maggior parte, erano lavoratori di passaggio, appartenenti alle nazionalità più diverse. La presenza cristiana sprofondò. La seconda volta che accadeva. La Chiesa fiorente di Cipriano e Agostino scomparve tra il VII e il XII secolo. L’arcivescovo di Algeri, Henri Teissier, nell’Africa del Nord dal 1946, una volta mi disse: «Gli avvenimenti ci hanno fatto scoprire una nuova vocazione: vivere per diventare la Chiesa di un popolo musulmano».
Il simpatico e dinamico arcivescovo, succeduto nell’aprile 1988 al mitico card. Duval, nel 1984 aveva scritto un libro: La chiesa nella casa dell’islam. Lo incontrai nel dicembre 1988 e mi parlò lungamente del suo libro, facendo la storia delle comunità cristiane autoctone, che da secoli vivevano fra i musulmani. Dal XIV secolo in Egitto, Siria e Palestina e da sette secoli in Turchia. Ma la Chiesa dell’Africa del Nord aveva pure il suo passato tra i musulmani. I lazzaristi e gli ordini mercedari in Tunisia e Algeria vissero la condizione di minoranza dal XVII secolo. In Marocco i francescani erano presenti dal XIII secolo.
Alcune famiglie religiose importanti nacquero proprio in terra musulmana, soprattutto in Algeria. È il caso, ad esempio, dei padri bianchi e delle suore bianche, fondati dal card. Lavigerie nel 1868, che, partendo dall’Algeria, si diffusero nell’Africa del Nord.
Agli inizi del secolo scorso, p. Charles de Foucauld diede vita a uno dei più importanti movimenti spirituali del secolo: i piccoli fratelli e le piccole sorelle di Gesù, i piccoli fratelli e le piccole sorelle del Vangelo, le piccole sorelle del Sacro Cuore, le fraternità sacerdotali o laicali Gesù-Caritas ecc. L’arcivescovo Teissier mi faceva notare: «Quella che era la vocazione dei francescani in Marocco del XIII secolo, dei padri bianchi del XIX secolo o dei figli e figlie di fratel Charles de Foucauld a metà del Ventesimo secolo, è divenuta la vocazione di tutta la nostra Chiesa, dopo l’indipendenza dei nostri Paesi».
“Obbligati” a lavorare con i musulmani
Infatti, dopo la partenza degli europei, alcune congregazioni religiose che lavoravano quasi esclusivamente per i cristiani si trovarono in pochi mesi nella situazione di accogliere unicamente musulmani. Fu il caso delle figlie della carità, le francescane di Maria, i gesuiti.
I padri bianchi e le suore bianche, già da molto tempo avevano un sistema educativo non solamente di scuole, ma anche di movimenti, per giovani musulmani: scout musulmani con un assistente padre bianco, gruppi di formazione «Abeilles» con suore bianche, foyers studenteschi musulmani, e così via.
«La nostra fortuna – mi confidava Teissier – fu che ci trovammo obbligati a lavorare principalmente con i musulmani e per i musulmani proprio nel momento in cui la stessa Chiesa universale scopriva la sua responsabilità apostolica in rapporto ai fedeli di altre religioni e in rapporto all’islam. Fu, in effetti, uno degli aspetti più imprevisti del concilio Vaticano II, che aprì un nuovo campo alla missione della Chiesa, in qualche maniera senza averlo voluto. Si veda il n. 3 del documento conciliare Nostra aetate, totalmente consacrato alle relazioni con i musulmani».
La creazione del Segretariato per i non cristiani (1964), ora Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, diede alla Chiesa uno strumento di riflessione. Si creò una commissione per i rapporti con l’islam, di cui fu il primo sottosegretario un padre bianco del Nord Africa, il p. Cuoq.
Il Segretariato romano si orientò verso la formazione di “operatori del dialogo” con la pubblicazione della prima edizione degli orientamenti per un dialogo con i musulmani, dovuta a Louis Gardet e all’azione di p. Cuoq. Una seconda edizione, profondamente rivista e arricchita, fu preparata da p. Borrmans e pubblicata nel 1981. Eccellevano uomini del calibro di p. Anawati (Il Cairo), i gesuiti Allard, Pouzet (Medio Oriente) e prendevano consistenza il Centro diocesano di Algeri (Glycines) e “La Source” (Marocco per il Magreb).
Venne il tempo dei grandi incontri, per lo più organizzati dal Consiglio ecumenico delle Chiese: Ginevra-Cartiny (1969), Broumana in Libano (1972), Accra in Ghana (1974). Il card. Pignedoli fu presidente del Segretariato e alla sua apertura mentale e passione si debbono gli incontri al Cairo, nello Yemen, a Tripoli. Dal 24 al 28 ottobre 1988, ad Assisi, 25 persone dell’Algeria, Libia, Marocco, Mauritania e Tunisia si riunirono per riflettere insieme, musulmani e cattolici, sul tema: «Coesistenza nella differenza».
Incrinature nel dialogo
Nel 1989, quando lo incontrai personalmente, Teissier mi confessò preoccupato: «Quanto è stato acquisito in questi incontri resta, ma bisogna riconoscere che sta crescendo l’estremismo in parecchi Paesi musulmani. Ragazzi musulmani gettano pietre contro le chiese dei cristiani o distruggono le croci. In Egitto gruppi di estremisti hanno messo bombe nei luoghi di culto dei copti, mentre in Occidente si costruiscono moschee per i lavoratori musulmani».
Le cose non andavano quindi come si erano augurati i grandi fautori del dialogo islamo-cristiano postconciliare. Correnti radicali nell’islam intralciavano lo sviluppo delle relazioni. Si continuava a imporre sia nelle moschee sia nei programmi scolastici sia nelle pubblicazioni il discorso tradizionale della superiorità dell’islam sul cristianesimo. L’osservazione amara di Teissier: «La revisione dei testi di storia decisa a Cordova (1974 e 1977) è stata fatta solo da parte cristiana. Da parte musulmana, al contrario, si è inasprito il discorso».
Giovò la visita di Giovanni Paolo II in Marocco nell’agosto 1985, evento di grande valore simbolico, che consentì al papa di dare personalmente e autorevolmente un’illustrazione piuttosto significativa del dialogo ufficiale non solo davanti al re Hassan II e agli ulema (i teologi musulmani), ma anche davanti a 80 mila giovani e, attraverso la televisione, a tutta la nazione.
«In fondo – ammetteva Teissier – si era creduto forse con troppa leggerezza che fossero sufficienti alcuni grandi colloqui per farla finita con le opposizioni plurisecolari e i conflitti generati da divergenze di interesse. Questi dialoghi ufficiali restano sì necessari, ma bisogna ritornare, per il momento, con maggior convinzione a ciò che resta e resterà sempre vero. Dappertutto dove due esseri umani entrano in collaborazione vera e autentica, si accettano e si riconoscono, fanno progredire la riconciliazione e la pace fra i gruppi ai quali appartengono. Queste collaborazioni nascono di continuo e diventano più profonde con il tempo fra i giovani che sono nella stessa scuola, fra studenti musulmani e direttore di un collegio, fra vicini, fra partners di lavoro e, soprattutto, fra amici. Relazioni quotidiane che sono sempre esistite fra cristiani e musulmani che vivono nello spesso paese. Ma, in passato, la Chiesa non aveva preso abbastanza coscienza della sua vocazione al dialogo, alla riconciliazione e alla pace fra le religioni. Dopo il Vaticano II le nostre comunità devono aiutarci a far capire che queste situazioni quotidiane sono una testimonianza a nostra portata della pace evangelica».
A tu per tu, misurando le parole, il card. Duval, mi disse: «Il dialogo islamo-cristiano non è una novità nella storia. Ciò che è nuovo è che, d’ambo le parti, si insiste perché si diffonda e divenga pratica quotidiana di tutti i cristiani e di tutti i musulmani. Deve essere l’onore della nostra epoca nella preparazione del nuovo millennio».
Ricordo che Teissier pose fine alle nostre conversazioni con un avvertimento: «Non faremo pace nella relazione islamo-cristiana che attraverso il cammino della morte e risurrezione. La sofferenza è necessaria per arrivare alla comunione. È quanto ci insegna l’itinerario di Gesù».
Interessantissima testimonianza