La condivisione della stessa residenza e della mensa mi ha offerto la possibilità non solo di apprendere la lezione del grande biblista Romano Penna, ma di dialogare pressocché quotidianamente con lui su temi di esegesi e di teologia.
Oggi posso affermare che il suo influsso sul modello di teologia fondamentale che ho elaborato negli anni è stato decisivo, soprattutto in tre dimensioni fondamentali proprie del suo lavoro ermeneutico.
Una premessa si rende necessaria: il teologo (speculativo) non dovrà direttamente fare l’esegeta, perché non si può improvvisare tale, né l’esegeta può improvvisarsi teologo. Questi, tuttavia, è chiamato a servirsi delle risultanze del lavoro dei biblisti, come di quanti si esercitano nel momento positivo del sapere della fede.
Paolo e il metodo storico-critico
Come noto Romano Penna fu esponente di spicco del modello storico-critico messo in opera soprattutto riguardo all’epistolario paolino e, in genere, al Nuovo Testamento. Egli non amava esercitarsi in dissertazioni sul metodo a livello formale, piuttosto lo attuava a partire dai testi e sulle tematiche cui dedicava la propria ricerca.
Per il teologo fondamentale l’attitudine alla ricerca storica risulta decisiva dato che consente di suffragare e accompagnare la dimensione storico-diacronica della rivelazione, ovvero quella che con Wolfhart Pannenberg e il cosiddetto “circolo di Heidelberg” si è denominata la “rivelazione come storia”. E storicità significa innanzitutto diacronia. Oggi le dimensioni dell’umano, o addirittura del post-umano (questo fantasma che minacciosamente incombe) vengono sempre e comunque individuate, descritte e proposte all’interno di un eterno presente, in cui il kairòs laico dell’attimo fuggente sottrae ogni rapporto autentico col passato e di conseguenza col futuro.
Questo ritorno dello strutturalismo risulta tanto più preoccupante, in quanto molto più invasivo e pervasivo rispetto alle filosofie strutturaliste che il secolo scorso ha prodotto e proposto in Occidente. Allora eravamo di fronte a prospettive filosofiche tutto sommato accademiche ed elitarie, che poco avevano a che fare col sentire quotidiano e con l’agire del cosiddetto uomo della strada, oggi siamo di fronte al fatto che i comportamenti indotti dalle nuove tecnologie risultano improntati da una forma mentis strutturalmente sincronicistica, che va sempre più innestandosi nella cultura diffusa.
Allora le strutture fondamentali dell’umano venivano cercate e descritte a partire da forme originarie ritenute in certo senso pre-culturali o prototipiche, oggi tali strutture vengono indagate e descritte a partire dalla presenzialità tecnico-scientifica dei dati e dei loro nessi. A fronte, e direi nuotando controcorrente rispetto a questa inquietante sfida, la fede cristiana è a mio avviso chiamata ad operare un forte recupero della dimensione diacronica dell’esistenza (come dimensione portante della coscienza storica) dei singoli e delle comunità, nelle diverse forme comunicative ed educative che è chiamata ad attivare.
La modalità esegetica di Romano Penna ha supportato la fede e la teologia in questo ingrato e faticoso, e tuttavia imprescindibile, compito.
Il cristianesimo delle origini
In secondo luogo, la lezione del Penna è risultata decisiva per quel che concerne lo studio del contesto delle origini cristiane. Studio che il teologo fondamentale è chiamato a svolgere nel presente. Imprescindibile a questo riguardo il volume L’ambiente storico-culturale delle origini cristiane. Una documentazione ragionata (Dehoniane, Bologna 1984, sesta ed. 2012; traduzione in lingua spagnola: Bilbao 1994).
L’analogia storica, che comunque va sempre maneggiata con molta cautela, consente di rilevare come il contesto ebraico, quello pagano e la tentazione gnostica abbiano molto da dire all’oggi della fede cristiana.
L’attenzione al mondo greco-romano si può cogliere in un importante saggio che l’esegeta ha dedicato alla presenza di Paolo ad Atene e al discorso all’Areopago, un momento di riflessione decisiva e particolarmente significativa per la teologia fondamentale contemporanea (“Paolo nell’agorà e all’areopago di Atene (At 17,16-34). Un confronto tra vangelo e cultura”, in Rassegna di Teologia 36 (1995) 653-677).
Da un lato Paolo enuncia agli ateniesi la realtà centrale e qualificante la speranza cristiana mostrandone la continuità con la domanda di senso e di verità propria dell’uomo (momento fondativo), dall’altro egli esplicita la speranza con particolare attenzione alle istanze che il contesto della città offre all’apostolo (momento contestuale). Ed è proprio questo il compito della teologia fondamentale.
Il tempo
Infine, come anche si evince dall’annuncio della risurrezione presente in Atti 17, l’elaborazione da parte di chi scrive del modello kerygmatico-kairologico ha potuto a più riprese usufruire della lezione esegetica del maestro Penna. Per quel che concerne la dimensione kerygmatica è risultato particolarmente significativo il continuo ricorso del biblista a 1Cor 15, 1-11, dove non mancava mai di rilevare l’intreccio tra fede e storia espresso efficacemente a partire dal contenuto del kerygma nel discorso lucano-paolino.
Inoltre, la tematica del kairòs, per una felice coincidenza si è sviluppata contemporaneamente all’elaborazione dell’ultimo libro di don Romano “Ecco ora il momento favorevole”. Il tempo e la storia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2024). Mentre egli lavorava a questo saggio il sottoscritto, su sollecitazione di mons. Luciano Pacomio, redigeva la voce “Tempo” per il Nuovo Dizionario teologico interdisciplinare (Dehoniane, Bologna 2020).
Nei “discorsi a tavola”, che poco avevano di luterano (qualcosa sì), siamo tornati spesso su questa tematica e ho potuto avvalermi di indicazioni molto importati dell’amico e collega, a cui va tutta la mia gratitudine.
Grande perdita per l’esegesi e la teologia. Grazie a Lorizio per questo articolo pieno di gratitudine per il maestro scomparso e che come “seme sotterrato nella terra” probabilmente ora meglio di prima verrà valorizzato nei frutti del suo splendido (e spesso nascosto) lavoro esegetico.
I “discorsi a tavola” menzionati testimoniano la passione “teologica” che va riconosciuta al Lorizio in quanto teologo fondamentale, ma anche all’esegeta che non avrebbe potuto svolgere il suo compito se non “teologicamente”: quando il “teologare” è qualcosa di dinamizzante l’incontro tra persone allora -anche a tavola o soprattutto a tavola- la teologia mostra il suo trattato sapienziale ed è “teologia che di carne e di popolo” (Papa Francesco)