È morto Gabino Diaz Merchán, arcivescovo emerito di Oviedo, personalità di spicco dell’episcopato spagnolo del postconcilio.
Se ne è andato all’età di 96 anni, dopo un periodo di infermità. Lo chiamavano «l’arcivescovo della concordia» per la sua abilità ad affrontare i periodi più burrascosi della Spagna sia politico-sociali sia religiosi.
Nato a Mora, nell’arcidiocesi di Toledo nel 1926, fu testimone dell’uccisione dei genitori all’inizio della guerra civile.
Fu ordinato prete nel 1952 e, nel 1965, entrò come vescovo a Guadix, dove rimase fino al 1969, quando fu nominato arcivescovo di Oviedo nelle Asturie fino al 2002.
Fu certamente un “grande” della gerarchia spagnola, sia come arcivescovo di Oviedo, succedendo al mitico Tarancón, sia come presidente della Conferenza episcopale spagnola dal 1981 al 1987.
Dovette fare i conti con il golpe di stato di Tejero nel 1981, l’arrivo al potere del Partito socialista e il periodo della restaurazione voluta da Giovanni Paolo II, in un confronto sempre critico e costruttivo con i cardinali conservatori Suquia e Rouco, che in Spagna facevano di tutto per far dimenticare la memoria del card. Tarancón e del nunzio Dadaglio.
Era mite, ma arcigno nell’opporsi ad una gerarchia nebulosa e ingessata. Aveva una preparazione filosofica e teologica non da poco, che gli aveva dato l’Università pontificia di Comillas.
Uno dei suoi ultimi atti pubblici fu la consegna del pastorale e della croce pettorale, perché fossero messi all’asta per aiutare i rifugiati della guerra in Ucraina. Lottò fino alla fine per una Chiesa aperta.
Lo incontrai più volte nei tanti reportage. Vi era sul tappeto la questione dell’Opus Dei, che chiedeva una collocazione all’interno della Chiesa e animatissime erano le discussioni sulla formula giuridica. Nel 1982 Diaz Merchán, come presidente della Conferenza episcopale, si fece ricevere da Giovanni Paolo II, che stravedeva per l’Opus. Alla prelatura personale, nonostante il suo parere contrario e di altri vescovi, si arrivò il 28 novembre 1982. Il 21-22 marzo 1983 la costituzione apostolica Ut sit erige l’Opus Dei in prelatura personale.
Lo smarrimento è grande, ma l’Opus Dei è potente e diffusa soprattutto negli ambienti della finanza e dell’economia.
Nel marzo 1985 la Chiesa spagnola tiene il convegno su “Evangelizzazione e l’uomo d’oggi”, senza alcun interesse e coinvolgimento del popolo di Dio. La Chiesa spagnola è caratterizzata da atonia religiosa, frammentazione, inoperosità apostolica. I tempi di Tarancón e di Dadaglio sono un ricordo. Sull’identità cristiana le polemiche sono a non finire.
L’Opus Dei, da un lato, continua a fare problemi e, dall’altro, la tradizione anticlericale dei socialisti al governo spinge la gerarchia ad un’attenta e critica vigilanza.
Imperversa il terrorismo basco e il vescovo di San Sebastian, Setién, è fatto attacco di feroci critiche, perché favorevole all’autonomia del Paese.
Nel 1982 la grande svolta della società spagnola. La vittoria socialista con circa dieci milioni di voti, quattro milioni e oltre in più delle elezioni del 1979, dà al Partito un gran numero di seggi al parlamento e una grande possibilità di manovra per il governo.
Arriva papa Giovanni Paolo II in Spagna, da tempo entrata nel fenomeno della secolarizzazione ed è governata da un partito laico.
Nel febbraio del 1987 la Conferenza episcopale elegge un nuovo presidente. È l’arcivescovo di Madrid, card. Angel Suquía, esponente dell’ala conservatrice. Le tensioni sono palesi. La gerarchia cattolica, sulle indicazioni del papa polacco vuole cambiare registro. Vi è la possibilità di rieleggere il presidente uscente, Diaz Merchán, che ha rappresentato la continuità (1981-1987), rispetto alle scelte conciliari (per la Chiesa) e democratiche (per il Paese) del card. Tarancón, presidente della Conferenza episcopale dal 1972 al 1981. Per il terzo mandato era allora necessaria la maggioranza dei due terzi. Dopo cinque scrutini è stato invece eletto, a maggioranza assoluta (39 voti su 77) il card. Suquía. Vittoria di Giovanni Paolo II.