Come spiega bene Francesco Ognibene sulle pagine di Avvenire, le posizioni sono diverse, non per questo ostili, ma certamente non omologabili, soprattutto sul piano antropologico (qui), preferisco ricordare questa persona inquieta e stimolante, nonché provocatoria per il pensiero teologico, proprio per un paio di riflessioni che interpellano il nostro mestiere.
La prima la riporta Roberto Carnero, sullo stesso quotidiano: «È stato proprio lo studio della teologia a educarmi a una cultura della domanda. Mentre oggi siamo circondati da persone che hanno il culto della risposta» (qui). Penso che non possiamo non rallegrarci della fecondità del sapere teologico, capace una volta tanto di superare le barriere delle nostre sacrestie e interpellare, in un moto perpetuo del quaerere (fides quaerens intellectum) il pensiero laico, anche di chi adotta posizioni non coincidenti con la dottrina cattolica, mentre devo con rammarico segnalare che il «culto della risposta» si esprime come una vera e propria idolatria nei nostri ambienti accademici particolarmente da parte della maggior parte dei giovani in formazione.
L’altra riflessione riguarda un tema al quale ho dedicato diverse pagine: la «logica del paradosso» e la trovo espressa nel suo God save the Queer: «Nei secoli la teologia ha lavorato in maniera assidua per mantenere insieme gli ossimori della rivelazione, evitando la facile scelta di semplificarli. Tutte le volte che si è provato a lasciar fuori o minimizzare uno degli aspetti contraddittori per andare verso la comfort zone delle definizioni nette, si è approdati nella terra dell’eresia, dove si perde qualcosa della divinità e spesso parecchio pure dell’umanità».
Quella che il compianto Italo Mancini, ispirandosi a Blaise Pascal, chiamava la «professione dei contrari», pone il teologo di fronte alla necessità di superare il «principio di non contraddizione» e la «logica binaria» nel momento in cui riflette il «mistero», confrontandosi col «paradosso assoluto» che è il Cristo, parola di Søren Kierkegaard, per il quale
«non bisogna pensare male del paradosso; perché il paradosso è la passione del pensiero e i pensatori privi di paradosso sono come amanti senza passione: mediocri compagni di gioco. Ma la potenziazione estrema di ogni passione è sempre di volere la propria fine: così la passione più alta della ragione è di volere l’urto, benché l’urto possa in qualche modo segnare la sua fine. È questo allora il supremo paradosso del pensiero, di voler scoprire qualcosa ch’esso non può pensare. Questa passione del pensiero è in fondo presente dovunque nel pensiero, anche in quello del singolo, fin quando egli, col pensare, non si riduce a se stesso. Ma a causa dell’abitudine, egli non lo scopre» (Briciole di filosofia).
E di questa «passione» Michela Murgia è stata testimone scomoda e provocatrice.
Sinceramente sarebbe il caso di tacere sono morti fior fior di giornalisti, scrittori, scienziati e politici… basta chi l’ha apprezzata lo farà chi non l’ha condivisa idem…
E’ vero sono morte molte persone di cui non si parla, ma della Murgia si parla perché e: diventata (ha voluto essere) una ICONA come si dice adesso. Ha voluto essere la paladina dei diritti queer, ha messo in scena pochi giorni prima della morte un matrimonio queer, ha pubblicizzato in tutti i modi la sua “famiglia queer”. Di lei vedrete che si parlerà ancora molto: gli attivisti, gli ideologhi, diventano dei “santini” laici, delle icone appunto. E certo uomini di Chiesa ogni volta sono i primi ad incensarli deve essere un riflesso condizionato. Ricordate quando morì Pannella, che per una vita si era battuto per aborto divorzio e droga libera, alcuni vescovi elogiarono po’ “spirito di Pannella”?
Non capisco ,saro’ un po’ rigido, ma il rispetto per le idee di una persona e’ un conto, fare finta che queste idee siano conciliabili con la dottrina cattolica. A me risulta che la Murgia fosse una attivista femminista, propagandista della famiglia “queer” e delle teorie LGBQT+ ,contraria alla famiglia tradizionale,contraria a rapporti tradizionali madre-figlio, a favore di diritti quali aborto , utero in affitto, eutanasia.
Insomma mi pare che la Murgia lo abbia espresso in tutti i modi e in tutte le salse , il suo pensiero :adesso la arruoliamo fra i grandi pensatori cattolici ?Credo che lei stessa ,persona onesta, ci farebbe una risata.
Tra i diversi articoli che Avvenire ha dedicato alla Murgia, quello di Ognibene è stato certamente il più duro. A mio avviso il peggiore, perché del tutto incapace di un atteggiamento interlocutorio. Ognibene – bontà sua – ha già tutte le risposte (quasi tutte: eccetto quella sulla fede della scrittrice), e nonostante questo è stato molto ma molto più conciliante nello scrivere a riguardo dei funerali del Cav. Chissà perché – viene da chiedersi -, e una domanda ulteriore, un po’ sospettosa, affiora alla mente: sarà mica una questione di simpatie politiche? Ci sarebbe da chiederlo direttamente al giornalista, me ne rendo conto.
È il narcisismo del teologo? È quella tendenza a specchiarsi nel pensiero altrui per trovare le sembianze del proprio? Vogliamo sperare di no, vogliamo credere che questa interessante rivista non voglia diventare una sorta di Carosello teologico. Ci auguriamo che l’autore abbia in serbo uno studio scientifico sui punti di consonanza tra il suo pensiero e quello della Murgia e non si sia limitato a uno spoiler per cavalcare l’onda.
Non sarebbe forse più opportuno fare silenzio e onorare il lutto senza perciò tentare di appropriarsi/reinterpretare la memoria della Murgia? Personalmente trovo disdicevole che specie in ambito cattolico sia da subito partita questa campagna di discussione mediatica sulla sua figura e sul suo pensiero. Ci sarà tempo magari per queste discussioni, ora la pietà cristiana dovrebbe invitare al silenzioso rispetto e forse alla preghiera.
Riflettere e comunicare pensiero non toglie nulla al silenzio e all’orazione, anzi può nutrirli, onde evitare che si alimentino solo di emozioni. E questo proprio mentre si levano significativi interrogativi da ogni parte in una circostanza drammatica come la dipartita di una donna che ha svolto un ruolo importante nel dibattito pubblico.
La ringrazio per la risposta. Comprendo e rispetto il suo punto di vista