Mons. Angelelli “beato”

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A partire dagli anni ’70, le forze armate argentine presero di mira i settori progressisti della Chiesa cattolica considerandoli marxisti sovversivi. I vescovi Jaime de Nevares, Enrique Angelelli e Alberto Devoto vennero considerati nemici della patria e fatti oggetto di continui attacchi.

Mons. Angelelli “beato”

Mons. Enrique Angelelli in processione con Carlos Menem

Il racconto di una tragedia

Nel 1974 iniziò una sanguinosa persecuzione religiosa. Fino al golpe del 24 marzo 1976, i crimini apparvero segnati dalla triplice A: Alianza-Anticomunista-Argentina. Tra il 1974 e il 1983 furono assassinati o fatti sparire sedici preti cattolici.

Il 4 agosto 1976 avvenne l’agguato mortale a Enrique Angel Angelelli, vescovo di La Rioja. Era nato a Cordoba nel 1923. Aveva fatto i suoi studi nel Collegio Pio latino-americano di Roma ed era stato ordinato prete nel 1949. Attivo assistente della Gioventù operaia cristiana (JOC) e dell’Azione cattolica, fu fatto vescovo ausiliare nel 1960 e divenne residenziale nel 1968.

Nel suo primo messaggio disse: «Ho un orecchio al vangelo e l’altro al popolo». Si identificò con le tradizioni del popolo riojano e si occupò soprattutto delle classi più deboli e oppresse. Mise in atto le indicazioni del concilio Vaticano II con coraggio e caparbietà. Era senza dubbio una figura carismatica e diede un nuovo e coraggioso impulso alla diocesi. Riorganizzò le strutture ecclesiali e le cooperative agricole, dando fastidio ai latifondisti, che fecero di tutto per farlo rimuovere e allontanarlo dal paese.

La Rioja cadde sotto la mira delle forze armate alleate dei proprietari. Furono colpiti a morte alcuni preti. Mons. Angelelli scrisse al nunzio dicendogli che era giunta la sua ora.

Il 4 agosto ritornava da Chamical a La Rioja con le prove della scomparsa, tortura e assassinio dei sacerdoti Gabriel Longueville e Carlos de Dios Murias e del laico Wenceslao Pedernera. Giunto a Punta de Los Llanos, una Peugeot bianca lo costrinse ad una brusca manovra. L’auto sbandò. Il sacerdote che viaggiava con lui perse i sensi. Angelelli rimase cadavere con le braccia in croce e con il cranio fracassato 25 metri più in là. Si saprà molti anni dopo (2012) che l’incidente fu provocato e che il vescovo fu deliberatamente e barbaramente ucciso.

Ai funerali assistettero l’ambiguo e discusso nunzio Pio Laghi e dieci vescovi. Si trattò di un assassinio come avrebbe confermato a Roma il cardinale Eduardo Pironio al teologo argentino José Miguez Bonino. La Santa Sede ne era sicura, ma la Conferenza episcopale argentina non disse una parola.

Il 2 agosto 1986, il vescovo di La Rioja, Bernardo Enrique Witte, dichiarò che era giunto il momento di investigare sulla vita, l’opera, le virtù e la «fama di santità o di martirio» del suo predecessore Enrique Angelelli. Venne costituita una commissione diocesana formata da teologi, giuristi, preti e laici. «Senza dubbio è stato un vero pastore e profeta nella tempesta. È stato un segno di contraddizione secondo il vangelo».

Chiesa e regime

Molto si è discusso e ancora si discute sul rapporto tra la gerarchia cattolica e la dittatura militare argentina. L’episcopato di allora può essere diviso in quattro gruppi:

* vescovi con voce profetica (una decina );

* vescovi non legati alla dittatura militare, molto impegnati nella vita quotidiana a favore dei perseguitati (circa sette);

* vescovi che credevano nell’onestà della gerarchia militare e l’hanno appoggiata (circa cinque);

* vescovi che interloquivano con le autorità militari senza dare segni profetici (vescovi del silenzio). Tra questi, i cardinali Raul Primatesta e Juan Carlos Aramburu, che arrivarono a chiudere le porte alle famiglie delle vittime.

Ildefonso Maria Sansierra, arcivescovo di San Juan, fu uno dei vescovi più reazionari di tutto l’episcopato argentino. Affermava che «i diritti umani sono osservati in Argentina» e che, in caso di guerra, «è legittimo torturare, assassinare prigionieri, rubare, violentare donne» (cf. E.F. Mignone, Iglesia y Dictatura. El papel de la Iglesia a la luz de sus relaciones con el régimen militar).

L’8 aprile 2013, nella casa provincializia dei dehoniani a Buenos Aires, il teologo e scrittore, p. Leonardo Cappelluti, presidente della Conferenza dei religiosi, mi fece vedere la lettera inviata al card. Primatesta, presidente della Conferenza episcopale, con la quale lo invitava a prendere posizione nei confronti della giunta militare, che con il colpo di stato del 24 marzo 1976, aveva preso il potere. Tre giorni dopo arrivò la risposta. Un richiamo da parte del card. Primatesta alla semplicità delle colombe e alla prudenza dei serpenti, ricordando ai firmatari che c’è un tempus loquendi e un tempus tacendi: un tempo per parlare e un tempo per tacere.

Il 14 marzo 1978, il card. Primatesta, come presidente della Conferenza episcopale, inviò una lettera al generale Videla, capo della giunta, chiedendogli di mitigare le rappresaglie. Non aveva certo la voce dei profeti.

Al potere, la giunta, dopo aver destituito Maria Estela Martinez de Peron, soprannominata Isabelita, proibì i partiti politici, soppresse molti sindacati e conculcò le libertà democratiche.

Trentamila, ma, secondo alcune fonti, cinquantamila, furono i desaparecidos; innumerevoli gli arresti, gli uccisi da un regime, che, secondo il mitico card. Evaristo Arns di San Paolo del Brasile, «lottava al di là del bene e del male».

Con il vescovo Angelelli saranno dichiarati beati anche i sacerdoti Gabriel Longueville, Carlos de Dios Murias e il laico Wenceslao Pedernera. Martiri per la fede.

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