Quarantacinque anni fa, il 5 settembre moriva, durante un’udienza con Giovanni Paolo I, il metropolita di Leningrado e Novgorod, il vescovo Nikodim (1929-1978).
Nella storia post-bellica della Chiesa ortodossa russa «è stata la personalità più sorprendente che ha influenzato in modo significativo molti aspetti della vita della Chiesa, in primo luogo la natura delle relazioni Chiesa-stato». Così lo ricorda il patriarca Cirillo di Mosca, suo segretario e suo successore come responsabile del dipartimento delle relazioni estere del patriarcato.
Uomo di grande prestigio, protagonista nel dialogo ecumenico per decenni, era anche «l’uomo che osava dire di “no” alle autorità civili. A quel tempo, era l’unico di tutto l’episcopato che poteva parlare così, per difendere gli interessi vitali della nostra Chiesa». Il riferimento è alla persecuzione ai tempi di Krusciov (1893-1971).
«Quella era l’epoca. Alcuni vescovi passarono attraverso prigioni e campi di lavoro e la loro volontà fu, in un certo senso, spezzata. Altri, forse per debolezza di carattere, non sapevano come e non erano in grado di dire la parola “no”. C’era una sola persona nella nostra Chiesa che la pronunciava, il metropolita Nikodim».
L’attivo e instancabile sviluppo delle relazioni ecumeniche e internazionali «ha impedito alle autorità russe di perseguire una soluzione finale alla questione religiosa nel nostro paese». Opera compresa da pochi, che giocava sul difficile crinale del lealismo rispetto allo stato e dell’autonomia della Chiesa. Nessuna critica al potere sovietico a fronte della sopravvivenza della Chiesa. Il prestigio internazionale garantiva rispetto alle persecuzioni interne.
Al vescovo vetero-cattolico di Utrecht, mons. Kok, che lo sollecitava ad una maggiore esposizione, rispondeva: «Dopo l’ultima guerra, la Chiesa russa ha dovuto fare una scelta fra servire il popolo e combattere il regime. Ha scelto di servire e non tocca a voi occidentali farci da maestri. Saremo noi a decidere quando verrà il tempo di versare ancora il nostro sangue».
Vocazione provata
Figlio di un operaio attivo nel partito e di una madre atea, Boris Gheorgevic Rotov (il nome civile di Nikodim) entra in monastero a 15 anni. Dopo l’ordinazione diaconale, è segretario del vescovo Dimitri. A 28 anni diventa capo della missione patriarcale a Gerusalemme. Vescovo nel 1960, è attivo a Minsk e poi a Leningrado (oggi tornata al nome precedente, Pietroburgo). Dopo un incontro personale, sviluppa il suo lavoro di dottorato sul pontificato di Giovanni XXIII.
La neutralità della Chiesa è per Nikodim condizione di necessità per la sua sopravvivenza istituzionale. Ma è anche parte di un’interpretazione teologica fondata sulla centralità dell’eucaristia e dell’assemblea liturgica.
Su di lui, p. P. Duprey, allora attivo nel Segretariato per l’unione dei cristiani, scriveva: «(Nikodim) fonda la possibilità del dialogo ecumenico su una distinzione fortemente accentuata fra ciò che è necessario e ciò che è accessorio, fra dogma e opinione teologica, fra espressioni della fede utili nel passato, ma non più oggi. In questo contesto egli non si perita di denunciare esagerazioni nei metodi e nei risultati delle riflessioni teologiche che, dopo aver reso utile servizio in passato, sono diventati una specie di ostacolo sul cammino della realizzazione della grande missione della Chiesa nel mondo».
In un testo di quindici anni fa (ripubblicato per l’occasione) l’archimandrita Iannuario Ivliev, riconosce all’attesa escatologica il nucleo portante della spiritualità e della persona di Nikodim. In primo luogo, per la centralità della liturgia eucaristica, fedelmente celebrata. In secondo luogo, per una straordinaria efficienza, non guidata dall’attivismo ma dal tempo “che si è fatto breve”.
E, ancora, per l’acuto senso dell’unità della Chiesa che, seppur divisa e attraversata dalle drammatiche dimensioni della storia degli uomini, è attratta in unità dal “ritorno del Signore”. Infine, perché, pur rigorosamente fedele alla sua Chiesa e non disposto a patteggiamenti facili, aveva un tale senso dell’imperativo di Gesù all’unità che rendeva “necessaria” la difficile unità interna e fra Chiese divise.
Il servilismo della gerarchia
La memoria di Cirillo del suo maestro è carica di devozione discepolare e di ammirazione, e ne condivide l’istanza di qualificazione culturale e teologica, ma appare in più punti quasi antitetica.
Per Nikodim, l’Occidente era un interlocutore affidabile, senza essere necessariamente un esempio da seguire. Del tutto diversa la reiterata accusa di Cirillo che fa dell’Occidente il luogo del male e dell’immoralità, facendo apparire le confessioni ecclesiali dell’Occidente come un insieme di lapsi e di compromessi.
Per Nikodim il potere sovietico era “legale”, ma egli sapeva dire dei “no” ai burocrati del partito. Non pare sia così per Cirillo, che non si stanca di giustificare la guerra e il sogno dell’impero sovietico.
Così l’ecumenismo: se, per Nikodim, il dialogo, teologico e pratico, fra le Chiesa era “necessitato” dall’eschaton cristiano, Cirillo non ha avuto dubbi nel chiudere il dialogo teologico e ridurre l’alleanza fra le Chiese a una questione di strategia in difesa degli interessi istituzionali. Un conto è rafforzare la posizione pubblica della Chiesa in ordine al suo dovere di annuncio (Nikodim), altro è trasformare la Chiesa in un organo dello stato, mutuando da questo un clima di servilismo.
Nikodim era particolarmente attento alla dottrina sociale cattolica, ripresa nel documento I fondamenti della concezione sociale, approvato dal concilio dei vescovi della Chiesa russa nell’ottobre del 2000. Cirillo ha ignorato quanto in quel testo si dice delle condizioni di una “guerra giusta”.
È paradossale che tocchi a un accademico russo, Valerij Garbuzov, direttore dell’istituto russo per gli studi su USA e Canada, ricordare, in una pubblicazione scientifica e pubblica, la sindrome post-imperiale di Putin e la bolla di illusioni coltivate dai suoi fedeli esecutori (cf. Asianews 8 settembre).
Gli stereotipi ideologici guidano un programma politico fragile, incerto e raffazzonato, «un collage di affermazioni che vanno dall’indirizzo euro-asiatico al “mondo russo”, dall’antiamericanismo» alla contrapposizione con l’Occidente, usando concetti fumosi come “democrazia sovrana” e una manipolazione discutibile della fede ortodossa.