La poliedrica figura di Michael Novak, scomparso il 18 febbraio, merita senza dubbio un ricordo non convenzionale. Non convenzionale è stata, infatti, la sua opera di studioso e di promotore di una cultura volta a stabilire una connessione vitale tra capitalismo e pensiero cristiano. Ciò che abbisogna, per farsi valere, di un’adeguata (e spesso faticosa) dimostrazione. È comunque questa l’impresa alla quale ha dedicato il meglio della sua ricerca e anche della sua tempra di vigoroso polemista.
Autorevole antagonista
Il suo saggio su Lo spirito del capitalismo democratico e il cristianesimo, diffuso in Italia nel 1987, è infatti influenzato dal confronto che, negli anni precedenti, si sviluppò negli Stati Uniti sul tema della «giustizia economica per tutti», posto all’ordine del giorno dall’episcopato e oggetto di dibattiti non solo accademici.
Personalmente ne ebbi cognizione nel 1985 quando, in un colloquio a Chicago con il cardinale Bernardin, allora presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, sentii per la prima volta nominare Novak come dichiarato ancorché autorevole antagonista delle tesi che i vescovi stavano elaborando.
Non era, quella dei pastori americani, un’esercitazione astratta. Imperversava negli States la dottrina delle reaganomics, patrocinata dal presidente Reagan e vissuta come rivincita sull’impianto keynesiano, bollato come socialista, che aveva retto le principali scelte da Roosevelt in poi. E gli effetti di tale dottrina si riversavano sulle condizioni di vita e di lavoro e sulle aspettative di milioni di famiglie.
Tra Bibbia e dottrina
Il documento dei vescovi – mi disse il cardinale – non faceva altro che introdurre nella realtà americana i canoni della dottrina sociale della Chiesa, così come si era sviluppata da Leone XIII in poi. Queste le sue parole: «I cattolici di qui conoscono bene la Bibbia anche per via della… concorrenza dei protestanti, ma per loro la dottrina sociale della Chiesa è un pianeta da scoprire».
C’erano state varie stesure del documento e s’era effettuata un’ampia consultazione nelle diocesi. Ma il cuore del testo – che sosteneva la possibilità e la necessità di coniugare la libertà d’impresa con la giustizia economica per tutti – era divenuto oggetto di contestazione anche tra i credenti.
E qui il discorso cadde sul libro di Novak che già circolava negli USA e che si riteneva fosse stato scritto, anche su input di organismi di stampo conservatore, proprio per alimentare un’opposizione interna all’iniziativa dei vescovi.
Compatibilità problematica
Quando poi il libro giunse in Italia, mi accadde di essere invitato alla sua presentazione in una grande parrocchia romana con interlocutori di prima fila come il compianto Roberto Ruffilli, allora senatore, e Romano Prodi, allora presidente dell’Iri.
Venni così a confronto con la tesi per cui il “capitalismo democratico” è il sistema politico ed economico più compatibile con il cristianesimo e specialmente con il cattolicesimo.
Non riuscii però ad afferrare quale, nel pensiero di Novak, fosse la differenza specifica di quel «democratico» rispetto alla logica fondamentale del capitalismo e dell’economia di mercato.
Mi parve piuttosto che il libro illustrasse le virtù di un sistema funzionante secondo leggi proprie, senza interferenze etiche e intralci della politica.
Profonde dissonanze
La mia cultura di provenienza (priorità e dignità del lavoro, rifiuto della mercificazione, tendenza ugualitaria nella costruzione sociale, responsabilità della politica) frapponeva ostacoli all’idea che bastasse garantire la fluidità degli automatismi economici non solo per vivere nel migliore dei mondi possibili, ma anche per essere in sintonia con il messaggio evangelico e l’insegnamento della Chiesa.
La stessa esaltazione della società civile – un tema che allora mi appassionava nell’esperienza delle Acli – non mi pareva sufficiente ad esaurire il perimetro della giustizia sociale, specialmente perché la società era concepita come contraltare dello stato.
Altrettanto dicasi per la sublimazione del principio di sussidiarietà, valorizzato come matrice di un’economia minore (micro) ma senza mettere in discussione almeno gli effetti della dimensione macro, riferita al peso delle grandi corporazioni e dei gruppi finanziari.
Un’influenza significativa
Proprio nei giorni di quella presentazione era uscita l’enciclica di Giovanni Paolo II Sollicitudo rei socialis, quella delle «strutture di peccato» Confesso che ne feci un uso alquanto… clericale; me ne avvalsi cioè per seminare dubbi rispetto alla propensione al consenso che prevaleva nell’uditorio.
Chiuso l’album dei ricordi, una valutazione di contesto spinge a considerare il contributo di Novak come sostegno, di sponda cattolica, ad un complesso di scelte politiche proprie del clima degli anni 80, che favorivano l’autonomia delle opzioni economiche rispetto alle istanze di umanizzazione proprie delle dottrine solidaristiche.
Va anche aggiunto che, senza sfiorare livelli di egemonia, la sostanza del pensiero di Novak – anche sulla scia delle politiche prevalenti – si è largamente insediata anche in qualificati ambienti accademici, fornendo alimento alle posizioni così dette teocon e altre nomenclature consimili.
Un tentativo di annessione
Quando uscì l’enciclica Centesimus annus di Giovanni Paolo II, Novak e i suoi seguaci ne valorizzarono al massimo il passaggio su un presunto “consenso” al capitalismo, che pure era assai condizionato nel testo.
Fu proprio Novak a scrivere: «Nel concilio Vaticano II Roma ha accettato l’idea americana di libertà religiosa, nella Centesimus annus ha assimilato l’idea americana di libertà economica».
In realtà l’enciclica (n. 42) aveva compiuto due movimenti adottando il classico metodo della distinzione. Accettabile è il capitalismo come «espressione della libera creatività umana nel campo dell’economia», con tutti i relativi corollari. Non accettabile è il capitalismo inteso come «un sistema in cui la libertà nel settore dell’economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale»…
Com’è noto, alla Centesimus annus è stata poi intitolata una fondazione pontificia che si applica all’approfondimento dei problemi posti dalle proposizioni citate; e oggi anche con quelle tutt’altro che nebulose del magistero di papa Francesco.
Del resto, la stessa Centesimus annus non era stata reticente circa «il rischio che si diffonda un’ideologia radicale di tipo capitalistico, la quale rifiuta persino di prendere in considerazione i fenomeni di emarginazione e di sfruttamento che permangono nel mondo e ne affida fideisticamente la soluzione al libero sviluppo delle forze di mercato».
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La considerazione più amara che il congedo da Novak mi suggerisce è che di questioni così gravi, e tuttora aperte, si debba parlare solo in occasione della morte di un interlocutore e non nella vita comunitaria di ogni giorno. Ecco: se si riuscisse ad attivare un’opinione pubblica nella Chiesa, ci si potrebbe chiarire e correggere senza diplomazie e senza condanne.