«Certe cose il Signore non le vuol scrivere né sul bronzo né sul marmo, ma sulla polvere, affinché, se la scrittura resta, sia ben chiaro che tutto è opera, merito del Signore. Io sono la pura e povera polvere: su questa polvere il Signore ha scritto».
Così diceva di sé Albino Luciani, il papa che, recitando Trilussa e parlando con brio del Pinocchio collodiano, seppe toccare i cuori e le menti degli uomini e delle donne di ogni paese e condizione, grazie all’umiltà, alla semplicità del fare e del dire, alla signorilità del tratto, al calore umano.
Ricordarlo in occasione della sua beatificazione e sul finire d’una calda estate è il giusto e doveroso tributo alla figura di un uomo che fu prete secondo il cuore di Dio, docente e catecheta abile e saggio; vescovo trepido e intrepido per quanto “scricciolo”; Padre conciliare, discepolo docile dello Spirito Santo; Patriarca, forte, mite e cordiale.
L’umiltà come motto
Da papa, prese il nome di Giovanni Paolo I e indossò quasi come pallio quell’umiltà che scelse anche come motto, in omaggio alle sue origini contadine ma, anche e soprattutto, spiegava lui stesso, «ad uno stile di vita e di servizio vissuto con la consapevolezza di essere figli della speranza, lo stupore di Dio».
Il suo pontificato durò trentatré giorni, “er numero de Cristo”, per dirla proprio alla maniera di Trilussa, e si rivelò essere un’epifania d’amore.
Di lui ci restano l’opera omnia, miniera di dottrina e di saggezza; il volto mite e sereno, la parola buona, arguta e incisiva, le mille esperienze di un’esistenza spesa al servizio di Dio e del prossimo e l’ardente amore per Cristo: «È solo Gesù Cristo che dobbiamo presentare al mondo. Fuori di ciò non avremmo nessuna ragione di parlare: non saremmo, del resto, per la nostra incapacità, neppure ascoltati», sospirò al card. Gantin, suo ultimo interlocutore, la sera del 28 settembre 1978, poche ore prima di morire.
E ci resta anche la nostalgia della sua sorridente semplicità, che gli incorniciò il viso, gli illuminò lo sguardo e lo aiutò a costruirsi una visione originale, tutta sua, delle cose di questo mondo: ricordando gli insegnamenti di san Tommaso, papa Luciani esortava ad essere capaci di convertire in gaiezza anche le cose tristi viste e udite, poiché «i santi non sono cupi: i santi sono lieti. Essi ci mostrano che la stessa Passione di Gesù si è poi completata con la gloria gioiosa della Risurrezione».
Nella sua diocesi non si stancava di ripetere: «Siate sorridenti: farete buona propaganda a Cristo e alle vocazioni».
“Io sono di passaggio”
E a quanti gli suggerivano l’opportunità di adottare e seguire uno stile più aulico, sorridendo rispondeva: «Le nuvole alte non mandano pioggia». Chiaro l’intento: far emergere dalle prediche, dalle omelie, dai discorsi, sempre e comunque il Maestro: Gesù Cristo. «Io sono di passaggio», amava ripetere. «Cristo Gesù è per sempre. Le nostre parole restano solo se sono sintonizzate sulla sua Parola, sul magistero della Chiesa».
L’esempio e la testimonianza di questo grande pastore, rilette alla luce del tempo presente con l’occhio rivolto al futuro, non possono essere un episodio che si chiude con la sua morte: esse, per contro, sono un segno forte della direzione della vita e del mondo, come progettati da Dio; sono un cammino verso Cristo, sull’esempio di Maria, immagine, anticipazione e modello di ogni persona chiamata a salvezza.
Sono la grande lezione, di vita e di fede, d’un umile servitore del Signore, al quale guardare per ritrovare, nella memoria d’un sorriso, la speranza nell’avvenire.
- p. Vincenzo Bertolone SdP è arcivescovo emerito di Catanzaro-Squillace.