Può essere letto come la storia, assai fantasiosa, di un prete di strada o come testimonianza di un clima ecclesiale e civile che ha caratterizzato gli ultimi decenni. In realtà, in Raccontare Dio per essere parte della creazione, Vinicio Albanesi, il noto prete marchigiano presidente della comunità di Capodarco, traccia l’appassionante vicenda di un credente alla ricerca di Dio.
Le note relative all’infanzia, come le memorie del seminario o i diversi momenti dell’esercizio del suo ministero, raccontano il cammino di un discepolo in cerca del volto del Dio di Gesù. Dio non è nelle formule, non è nelle speculazioni teologiche, non è nei riti: tutti elementi preziosi. Ma di Lui si ha conoscenza nel vissuto. È il Dio dei viventi, non dei dogmi.
Si può dire che non è neppure nei poveri, seppure essi sono il terreno più prossimo alla sua manifestazione. È piuttosto nell’amalgama di tutti questi elementi nella vicenda reale di ciascuno. Per cui Dio si può solo raccontare.
A partire dalle vicende familiari nelle Marche della prima metà del ’900, in quella povertà dignitosa che caratterizzava la gran parte del nostro paese. Una famiglia unita garantiva l’equilibrio emotivo dei figli e il loro progressivo sviluppo. In un quadro naturale caratterizzato dall’“incanto” del mondo: del mare, delle stagioni, della terra feconda. La creazione non si ferma, continua e ciascuno è chiamato in libertà al suo percorso in contesti assai definiti, al di là di quello che racconta la “bolla” mediale.
Con qualche segnale curioso, come il parroco che viene, decenni dopo, scoperto come un modernista, discepolo di Murri e confinato là dove non poteva fare danni. Sempre alla ricerca di un riconoscimento che mai arriva. Il seminario con i suoi riti, dall’orario quotidiano allo studio “governato” dalla lingua latina, è sobriamente ricordato.
In altro contesto, Albanesi ha ricordato alcuni tratti di abuso, ma senza tracce decisive per il seguito della vita. Anche perché la memoria è amalgamata costantemente con i numerosi e successivi incontri con i poveri e gli handicappati. La fatica e la sofferenza di questi addolciscono e limano le asperità via via attraversate.
Poi la stagione conciliare, gli studi romani affrontati assieme alla pratica pastorale, una specializzazione canonistica assai raffinata ma perennemente in ritardo rispetto all’evoluzione della vita civile e al fascino della politica.
E arrivano i nomi di riferimento, assai comuni a quella generazione: Ivan Illic, René Voillaume, Charles de Foucauld, Giulio Girardi, Giovanni Franzoni, Roberto Sardelli, Giovanni Nervo, Giuseppe Pasini, Franco Monterubbianesi, Lorenzo Milani ecc. Ciascuno con la propria suggestione spirituale e culturale e tutti insieme coerenti con l’imperativo dell’aggiornamento conciliare.
Esso arriva anche a sollecitare il proprio equilibrio affettivo, l’idea di prete, l’immagine di Chiesa. In un contesto di grande e guadagnata libertà. Preti e credenti esposti alla facile accusa di deviazione dottrinale e ad una crescente solitudine. «Le sirene di altre carriere non mancarono. La provvidenza stava suggerendo una via degna del Vangelo. Tanto valeva seguirla. Era il momento di dare senso alla vocazione. L’inizio fu terribile: amici allontanati, solitudine, precarietà. Non era il sacrificio di donazione, era un modo di vivere. Si stava sperimentando la comunità, un modo di convivere conosciuto nella Chiesa. Senza la tutela della congregazione che provvedeva a tutto, ma con la spinta a vivere guardando a chi era accanto» (p. 61).
Vinicio Albanesi e il CNCA
«Stavo cercando il mio Dio. Una fatica enorme, nonostante i lunghi anni del seminario e gli studi romani» (p. 69).
Dopo decenni, con l’affinamento prodotto dall’incontro dei poveri, dalla loro difesa davanti ai ritardi della cultura e delle istituzioni, si percepisce che tutto è provvidenza: «La ricerca dell’intimità diventa sempre più raffinata. Cogliere i dettagli del volto di Dio è un lavoro continuo. La guida rimane la sua Parola. Ogni qualvolta la si medita, suggerisce nuovi approfondimenti. In realtà, essa rimane la stessa: è il tuo sentire che cambia. Un sentire che si affina se lo spirito è alimentato, non solo religiosamente, ma anche culturalmente e socialmente» (p. 103).
Handicappati, matti, immigrati (dai primi albanesi a quelli successivi), le malattie invalidanti: una lunga serie di “perdenti” chiamati a vita, dignità, all’inserimento. Con alcune delusioni e molti contrasti: come quando il suo paese natale si rifiuta di accettare una comunità di tossicodipendenti.
Arriva anche una stagione di servizio nella parrocchia come nel tribunale ecclesiastico, raggiunto per mancanza di giuristi “più affidabili”.
In parrocchia si trova la cordialità e tutti i limiti del “laicato sfuso”, la gioia dei sacramenti e degli incontri, le delusioni dei fallimenti.
Anche nel tribunale si trova il carico di sofferenza di chi conosce i frantumi della propria vita di coppia e le grandi miserie che si nascondono dietro le imposte di casa. Forse l’esercizio di una eccessiva condiscendenza, la messa in opera di un diritto che consola e non censura provocano i sospetti dei responsabili diocesani e il cambio di responsabili del tribunale.
Alla frenetica attività del Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza (CNCA) e dei decenni di invenzione e di resistenza si succedono tempi più pacati e impegni più ridotti, ma sempre in grado di riempire fino all’orlo le giornate.
La spinta del volontariato si contrae e il clima sociale si indurisce, la confessione della fede si smorza nel popolo, anche se nel contesto ecclesiale arriva la ventata di papa Francesco.
Al di là dei cambiamenti si solidifica la propria identità. «Sono nato cristiano, in una famiglia cristiana. Ho ricevuto i sacramenti. Ho frequentato il seminario. Sono stato ordinato sacerdote da oltre cinquant’anni. La Chiesa, dunque, è la mia famiglia spirituale, nella quale sono cresciuto e invecchiato […] La mia generazione è stata provata dalle vicende della riforma, iniziata nel mondo cattolico dagli anni ’50 e proseguita con il concilio» (p. 135) e i successivi pontificati. Una appartenenza pacifica ma vigile che permette di definire una cristologia, una sintesi teologica, un quadro di virtù e persino una intuizione trinitaria.
La scrittura secca e senza fronzoli, eco di un carattere non sempre “addomesticabile”, la percezione dell’esaurirsi dei preti “di frontiera”, la sincerità della confessione lasciano talora spazio anche alla commozione. Un vissuto vero che parla di una Chiesa vera e di un Dio continuamente cercato.
- VINICIO ALBANESI, Raccontare Dio per essere parte attiva del creato, ed. Zefiro (Fermo 2023). Sito dell’editore: Zefiro Edizioni
Complimenti Vinicio! Francesco Strazzari
La frontiera non è solo per i nostri fratelli socialmente più svantaggi è in ogni persona anche in giacca e cravatta. Questa scelta populista e politica non è cattolica. Poi contrapporre i “dogmi” visti come cattivi alla “vita reale” vista come buona è una ingenuità che pensavamo che 60 anni di fallimenti pastorali dovrebbero avere dimostrato. Ma tant’è … dovrà morire una generazione di preti malformati perché possa rinascere il vero cattolicesimo. L’anagrafe è dalla nostra parte. Naturalmente il giudizio sui singoli la può fare solo Dio che conosce i cuori e sa quanto dell’inganno in cui vivono i modernisti sia inconsapevole o no. Spero che come accaduto già più volte non censuriate il mio pensiero.
Libro molto interessante, anche perché è interessante la persona che lo ha scritto. Peccato che cliccando sul sito indicato esca la dicitura “sito non raggiungibile”. Non so se si può rimediare.