Pastorelli di Fatima

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Francesco il contemplativo

Francesco dos Santos Marto nacque l’11 giugno 1908 ad Aljustrel, località della sierra, parrocchia di Fatima, comune di Ourém, distret­to di Santarém. Il 20 dello stesso mese fu battezzato. I genitori, Ma­nuel Pedro Marto e Olimpia di Gesù, erano contadini. Olimpia, ri­masta vedova, si sposò con Manuel Marto ed ebbe cinque figli: Fran­cesco il penultimo e Giacinta l’ultima. Con i due figli del primo ma­trimonio di Olimpia in famiglia erano in nove. Francesco e Giacinta erano cugini di Lucia perché la mamma Olimpia era sorella del papà di Lucia, Antonio dos Santos. Francesco aveva due anni quando il 5 ottobre 1910 il Portogallo divenne repubblica. Olimpia era una don­na un po’ rude, decisa, poco portata all’espansione. Manuel Marto era piccolo di statura, magro, un uomo di poche parole, ma cordiale, ben­voluto dagli abitanti del villaggio. Vissero a lungo, molto uniti.

In famiglia si pregava molto. A mezzogiorno, quando suonava la campana della chiesa di Fatima, interrompevano il lavoro, recitava­no l’Ave Maria e lodavano la Trinità. Le semplici devozioni popola­ri Francesco le apprese soprattutto dalla mamma. La domenica si an­dava tutti in chiesa. La messa era in latino e i fedeli ne approfittava­no per recitare il rosario. Pochi si accostavano alla comunione. Ri­tornati a casa, i fanciulli si dedicavano ai giochi. Anche Francesco combinava le sue marachelle. Aveva il viso un po’ tondo, la pelle scu­ra, la bocca piccola, gli occhi castani, la voce un po’ roca. Era affet­tuoso, umile, paziente, di poche parole, amava starsene in silenzio. Era un anno e nove mesi più vecchio di Giacinta, alla quale era mol­to affezionato. Come del resto a Lucia, che era la vera animatrice del gruppo. Le due fanciulle giocavano molto, mentre Francesco amava il silenzio; trovavano che non era piacevole giocare con Francesco perché cedeva sempre e non si arrabbiava mai. Amava suonare il flauto e unirsi al canto degli uccelli. La natura lo incantava. Cono­sceva alberi e fiori, uccelli e animali. Contemplava le notti stellate, chiamava le stelle le «candele degli angeli» e la luna «la candela di nostro Signore». Gli davano serenità il sorgere del sole e il tramon­to oltre la sierra.

apparizioniNel 1916, a sette anni, iniziò a portare il gregge al pascolo insie­me con la cugina Lucia. A loro si aggiunse anche la piccola Giacinta. Pochi passi fuori dalle basse casupole o più in là, a Valinhos, o a Lo­ca do Cabeço fino a Cova di Iria, proprietà della famiglia di Lucia, dove accanto al grano vi era erba abbondante per il gregge. France­sco suonava le melodie preferite. Tre Ave Maria quando la torre del­la chiesa di Fatima suonava il mezzogiorno e poi la merenda: un toz­zo di pane scuro, qualche sardina o un po’ di formaggio e olive. La sera, il ritorno a casa. Le interminabili preghiere e quindi il riposo.

Nel 1916 in Europa imperversava la guerra e anche i giovani del­la sierra erano stati chiamati alle armi. Per tre volte fece visita ai tre pastorelli l’Angelo della pace, l’Angelo del Portogallo. In primavera al Cabeço apparve simile a un giovane di 14 o 15 anni. Insegnò loro la preghiera di adorazione. Francesco aveva quasi otto anni. Mentre Lucia vedeva, sentiva e parlava, e Giacinta vedeva e sentiva, France­sco soltanto vedeva. In estate l’Angelo del Portogallo apparve al poz­zo della casa di Lucia e disse ai pastorelli di pregare molto e di offri­re sacrifici. Glielo riferì Lucia perché lui non sentì la voce dell’An­gelo. In autunno l’Angelo venne per la terza volta nella località del Cabeço. Aveva un calice nella mano sinistra, sopra il quale era so­spesa una grande ostia, dalla quale cadevano alcune gocce di sangue nel calice. Lucia ricevette l’ostia, Francesco e Giacinta bevvero al ca­lice. Caddero in adorazione e l’angelo scomparve.

A partire dal 13 maggio del 1917 si susseguirono a Cova di Iria le apparizioni di nostra Signora. Un luogo con alcuni lecci e olivi, sen­za acqua, neppure una casa, in piena sierra. Il 13 agosto la nostra Si­gnora non apparve perché l’amministratore di Ourém, espressione del governo portoghese, repubblicano e laico, li aveva portati con un inganno a Vila Nova di Ourém. Apparve invece il 19 agosto – era do­menica – a Valinhos, alle quattro del pomeriggio, e disse ai pastorel­li di pregare molto per i peccatori. Il 13 settembre – era giovedì – vi erano circa trentamila persone e alcuni sacerdoti a Cova di Iria. Ve­stita di bianco, splendente più del sole, nostra Signora assicurò la gua­rigione di alcune persone. Sabato 13 ottobre pioveva e avvenne il fe­nomeno del sole.

Francesco aveva nove anni quando nostra Signora apparve nel­l’ottobre 1917. Un anno dopo cadde ammalato e morì nell’aprile del 1919. Gli bastò un anno di contemplazione sulla terra per arrivare al­la santità. Ricevette la prima comunione il 3 aprile del 1919, un mat­tino di primavera, nel pieno della sofferenza. Il male – una bronco­polmonite che portò alla morte milioni di persone in Europa – gli procurò inaudite sofferenze a partire dal dicembre 1918. Sopravvis­se fino al 4 aprile del 1919, quando si spense serenamente alle dieci di sera. Non aveva ancora undici anni. Gli posero tra le mani un ro­sario. Lo portarono al cimitero di Fatima il giorno dopo. Seguiva la piccola bara anche la cugina Lucia, che gli farà visita al cimitero tan­te volte prima di entrare nella vita religiosa. Nel febbraio del 1952 si procedette alla riesumazione e fu trovato intatto il rosario. In marzo i suoi resti mortali furono traslati nella chiesa del santuario di Fati­ma, dove già erano stati portati quelli di Giacinta. Una semplice scrit­ta: «Qui riposano i resti mortali di Francesco Marto, al quale appar­ve nostra Signora. 13 marzo 1952». È raffigurato pastorello che suo­na il flauto con i passeri che gli volano accanto.

Nel 1930 il vescovo di Leiria dichiarò degne di fede le visioni dei pastorelli a Cova di Iria, consentendo il culto ufficiale di nostra Si­gnora di Fatima. Il processo informativo fu iniziato nel 1949 e si con­cluse nel 1989. Nel 1981 il vescovo chiese a papa Giovanni Paolo II che si pronunciasse per la beatificazione di Francesco e Giacinta. Fu riconosciuto che le virtù teologali della fede, speranza e carità erano state praticate in grado eroico. Il 13 maggio 1989 Giovanni Paolo II dichiarò venerabili Francesco e Giacinta. Il 13 maggio del 2000 lo stesso papa presiedette a Fatima la celebrazione della beatificazione. Era presente anche Lucia, monaca di clausura a Coimbra. La cano­nizzazione, il 13 maggio 2017 nel centenario delle apparizioni, in­serirà Francesco nella lista dei santi della Chiesa universale, lui, il pa­storello contemplativo, che morì con il sorriso.

Giacinta, il fiore del profumo della compassione

Giacinta, la sorellina più piccola di Francesco, venne alla luce l’11 marzo 1910. Il 19 fu battezzata. Era il tempo dello scontro fron­tale tra la nuova repubblica e la Chiesa. Imperava l’anticlericali­smo, che fortunatamente non toccava l’ambiente della sierra. Il papà, Manuel Pedro Marto, era stato in Mozambico durante le lot­te coloniali. Era uomo di fede profonda, di devozioni sentite, che trasmetteva ai tanti figli. Era un cristiano, che con la gente di Alju­strel la domenica frequentava la chiesa di Fatima e partecipava al­le feste religiose. Papà e mamma alla sera riunivano i figli e recita­vano il rosario perché terminasse la guerra. Vi era il terrore che tut­ta l’Europa fosse coinvolta nell’accanimento contro la religione. In­segnarono anche a Giacinta la dottrina cristiana seguendo un vec­chio catechismo che risaliva all’abate di Salamonde (1741-1821) con domande e risposte.

apparizioniGiacinta aveva tratti graziosi: il corpo ben proporzionato, il vol­to rotondo, occhi castani, vivi, pure castani i capelli, quasi dorati, ben pettinati da mamma Olimpia, la bocca piccola con labbra fini. Era allegra. Amava ballare al suono del flauto di Francesco. Aveva un’anima delicata e spirito gioviale. Somigliava al padre Manuel per la sua bontà e amabilità e alla mamma Olimpia per il suo amore per la verità. Era capricciosa e un po’egoista. Simpatica certamente an­che nella recita del rosario. Voleva giocare e diceva solo: «Ave Ma­ria, Ave Maria» e quindi il Padre nostro per far più presto e ritor­nare ai giochi.

Ascoltava dalla cugina Lucia il racconto di episodi della Bibbia e sapeva che la Madonna era apparsa a La Salette e a Lourdes. Pian­geva sentendo il racconto della passione e morte del Signore. Otten­ne presto dalla mamma il permesso di unirsi a Lucia e a Francesco nel condurre al pascolo alcune decine di pecore del gregge dei geni­tori. Era la sua passione. Le piacevano gli agnellini, che volentieri metteva al collo imitando l’immagine del Buon Pastore che le era stata fatta vedere. Saliva su una roccia e gridava al vento: «Ave Ma­ria» e ne aspettava l’eco.

Ebbe nel 1916 con Lucia e Francesco la visita dell’Angelo della pace e del Portogallo. Aveva solo sei anni quando, imitando l’Ange­lo, imparò a prostrarsi a terra in adorazione.

Visse le apparizioni impressionata dal volto soave di nostra Si­gnora, dall’insistenza a pregare per i peccatori, dal richiamo alla pe­nitenza. Fu sottoposta a continui ed estenuanti interrogatori perché rivelasse il segreto. La visione dell’inferno la turbò profondamente e iniziò a darsi al sacrificio, alla recita del rosario, all’orazione per il papa. Aveva sette anni e mezzo quando nostra Signora si congedò dai pastorelli nel mese di ottobre con il miracolo del sole.

Nell’ottobre del 1918 la colpì la febbre chiamata «la spagnola», che solo in Portogallo fece 150 mila vittime. Il 1° luglio del 1919, papà Manuel la mise sopra un’asinella e la portò a Vila Nova de Ourém, 15 chilometri da Aljustrel, all’ospedale Sant’Agostino. Le riscontra­rono anche una pleurite purulenta. Il 31 agosto fu rimandata a casa senza alcun miglioramento. Viveva un inferno. Si faceva portare a Cova di Iria, a volte posta sulla groppa di un cavallo o di un’asina.

Faceva freddo il 21 gennaio del 1920, quando, di buon mattino, Giacinta partì per Lisbona. Sul treno rimase sempre in piedi, alla fi­nestra. Le era accanto mamma Olimpia. Fu ricoverata all’orfano­trofio di nostra Signora dei miracoli, a Estrela. Vi rimase due setti­mane. Passò quindi all’ospedale Dona Estefania, occupando il nu­mero 38 dell’infermeria. Il 20 febbraio, sentendosi vicina alla morte e ricordando le parole di nostra Signora che sarebbe venuta presto per portarla in cielo, chiese di confessarsi e di fare la comunione. Il priore non s’accorse della gravità del momento e disse che sarebbe passato il giorno dopo. Alle dieci e mezzo della notte, nel silenzio della grande infermeria, partì per l’eternità. Le mancava solo un me­se ai dieci anni.

Il 24 febbraio fu sepolta nel cimitero di Vila Nova de Ourém. Quindici anni dopo, il 12 settembre del 1935, l’urna fu portata a Co­va di Iria per una messa celebrata solennemente dal vescovo di Evo­ra. Fu quindi sepolta nel cimitero di Fatima. Il 1° maggio del 1951 i suoi resti mortali furono portati dal cimitero al luogo delle appari­zioni e quindi tumulati nella basilica, in una cappella laterale, a sini­stra, guardando l’altare. La si vede raffigurata pastorella con un agnellino al collo. Dal 2006 – era suo desiderio – le è accanto la tom­ba della cugina Lucia, che amava con grande intensità.

Dichiarata prima venerabile, poi beata, sarà pro­clamata santa il 13 maggio 2017. Appropriate le parole di Giovanni Paolo II, il 13 maggio 2000: «La Chiesa vuole, con questo rito, collocare sopra il candelabro queste due candele (Francesco e Giacinta), che Dio ha acceso per illuminare l’umanità nelle sue ore più oscure e inquiete». Significativa e toccante la preghiera composta da Lucia, che si trova nel­la prima Memoria:

«Tu che nella terra
sei passata volando
Giacinta cara.
In un dolore intenso
amando Gesù
non dimenticare la prece
che io ti chiedevo.
Sii amica mia
accanto al trono
della Vergine Maria.
Giglio di candore
perla brillante.
Oh! là dal Cielo
dove vivi trionfante
serafino di amor
con il tuo fratellino
prega per me
ai piedi del Signor».

Lucia, una vita tracciata da nostra Signora

Era il 28 marzo, Giovedì santo, del 1907 quando venne alla luce una bambina, alla quale Antonio dos Santos, fratello di Olimpia, mamma di Francesco e Giacinta, e Maria Rosa diedero il nome di Lu­cia Rosa. Avevano altri cinque figli. Fu battezzata il 30 marzo, Saba­to santo. Lucia mostrò subito grande attenzione e cura per le faccen­de di casa. La famiglia era semplice, profondamente radicata nei va­lori cristiani, ricca di umanità e aperta alle necessità del prossimo. Maria Rosa era la catechista della parrocchia. Sapeva leggere, come pochissime donne in quel tempo, e, appassionata della Bibbia, ne rac­contava gli episodi. Lucia ricevette la prima comunione il 30 maggio del 1913, solennità del Sacro Cuore di Gesù, nella chiesa parrocchia­le di Fatima. A sette anni e mezzo iniziò a portare al pascolo il greg­ge di casa. Si unirono a lei in seguito i cugini Francesco e Giacinta, con i quali vi era una profonda sintonia, pur avendo caratteri diversi.

Nel 1916 ebbe la visita dell’Angelo della pace e del Portogallo con il quale, lei sola, poteva parlare.

apparizioniVennero nel 1917 le apparizioni di nostra Signora, alle quali mamma Rosa pare non abbia mai prestato fede, anche sul finire del­la sua vita. Cosa che procurava una grande sofferenza a Lucia. Sof­frì fino all’inverosimile per la morte prematura di Francesco e di Giacinta, benché la nostra Signora l’avesse preannunciata. Il vesco­vo di Leiria, per assicurarle un po’ di serenità, la mandò all’Asilo di Vilar, a Porto. Era il 1921. Era chiamata Maria dei dolori perché non si sapesse che era la pastorella di Fatima alla quale era apparsa la Madonna, che le aveva affidato un segreto. Era una vita totalmente diversa da quella di Aljustrel. Era un’educanda qualsiasi senza co­gnome, né famiglia, sconosciuta. A volte, dimenticandosi che le ave­vano cambiato nome, non era pronta a rispondere quando la chiamavano. Imparò a cucinare e soprattutto a ricamare; studiò musica e disegno e altro. Era un’alunna modello, ma non le fu concesso di fare l’esame di quarta, necessario per proseguire gli studi, perché, presentando la documentazione, non venisse alla luce la sua identità. Ne soffrì tantissimo perché – pensava – lo studio le avrebbe da­to la possibilità di diffondere il messaggio di Fatima con maggior precisione, anche letteraria.

A 16 anni fu ammessa alle Figlie di Maria e decise di consacrarsi a Dio con il voto di castità perpetua. All’Asilo di Vilar passò quattro anni, che segnarono la sua vita, soprattutto perché dovette vivere nell’anonimato e senza poter continuare gli studi.

Nel luglio del 1924 fu sottoposta a un minuzioso interrogatorio per l’avvio del processo canonico diocesano, iniziato già nel 1922. Nell’estate del 1925 sentì forte il desiderio di farsi religiosa e ne parlò con la mamma. Passarono insieme momenti felici, ricordando fatti ed episodi di casa, di villaggio e paese, cantando le melodie della sierra. Ricevette in quell’anno anche la cresima. Era sempre vivo in lei il de­siderio di farsi carmelitana. A Coimbra, fino all’espulsione del 10 ot­tobre del 1910, erano presenti le monache carmelitane. Lucia fu sul punto di recarsi a Roma per assistere alla canonizzazione di Santa Teresa del Bambino Gesù, carmelitana, ma, all’ultimo momento, il vescovo disse di no perché dal suo passaporto si sarebbe svelata la sua vera identità. Pensava addirittura di entrare nel Carmelo di Li­sieux ed era intenzionata a imparare il francese. Come postulante della Congregazione di santa Dorotea, fondata da santa Paola Fras­sinet, fu inviata a Tuy, in Spagna, e quindi a Pontevedra. Era l’otto­bre del 1925. Continuava a essere chiamata Maria dei dolori. Le fu assegnato subito il compito di badare al giardino e poi di tenere pu­liti la casa, la cucina e il refettorio. Nel febbraio del 1926 ebbe l’ap­parizione di Gesù Bambino nel patio di casa delle suore dorotee. In luglio fu mandata di nuovo a Tuy per il noviziato, la base della vita religiosa. Tempo di formazione per consacrarsi interamente al Si­gnore. Si trovava bene con le novizie, che in quegli anni erano mol­te. Loro parlavano spesso dei pastorelli di Fatima e lei non diceva una parola al riguardo. Ebbe la sua notte oscura. Le venne il dubbio che tutto fosse stato orchestrato dal maligno ed ebbe paura. Fu un tempo di immensa angustia. Fece la professione religiosa ed emise i voti temporanei. Ricevette l’abito della congregazione. Emise i voti perpetui il 3 ottobre del 1934. Era presente anche mamma Maria Ro­sa. Lucia ancora una volta ebbe la sensazione che la mamma non cre­desse del tutto alle apparizioni.

Da Tuy ancora a Pontevedra e verso la fine del 1937 di nuovo a Tuy, addetta alla lavanderia, al refettorio e alla sacrestia. Insegnava anche il catechismo ai fanciulli. Bravissima nel raccontare le appari­zioni di Fatima senza parlare di sé.

Nel 1940, a Tuy, le fu chiesto di scrivere una lettera a Pio XII per chiedere la consacrazione della Russia al Cuore immacolato di Ma­ria. Era il 2 dicembre. Nel 1942 si festeggiò il venticinquesimo delle apparizioni, ma lei rimase a Tuy. Fu colpita dalla morte della mam­ma, il 16 luglio del 1942. L’anno dopo ebbe la visione della Madon­na, che l’autorizzava a scrivere la terza parte del segreto, totalmente svelato nel 2000. Mise lo scritto in una busta chiusa e sigillata, che il vescovo di Gurza portò in Vaticano.

Nell’estate del 1945 Lucia andò pellegrina a Santiago de Com­postela provandone una gioia immensa. Nel maggio del 1946 le fu concesso di recarsi a Fatima, che aveva lasciato nel giugno del 1921. Visitò i luoghi della fanciullezza e s’incontrò con lo zio Marto, papà di Francesco e Giacinta. Bevve l’acqua del pozzo dei genitori.

Finalmente il 25 marzo del 1948, solennità dell’Annunziata, poté entrare nel Carmelo di Coimbra e il 13 maggio ricevette l’abito del­le carmelitane. Il 31 maggio del 1949 emise i voti solenni di povertà, castità e obbedienza. Terminato il noviziato, disposto dalle Costitu­zioni dell’ordine carmelitano, le fu assegnata la sua cella, dove visse per 57 anni, fino alla morte avvenuta il 13 febbraio del 2005. Si de­dicò alla restaurazione del monastero, fedele all’orario della comu­nità. Era semplice, generosa, sorridente. Lavorava raccolta, con gran­de libertà di spirito. Curava il giardino e rispondeva a tutti coloro che le scrivevano da ogni parte del mondo. Si parla di diecimila lettere. Si pensa che abbia avuto altre visite dal Cielo. Sfortunatamente, non ne lasciò traccia scritta.

Incontrò a Fatima Paolo VI il 13 maggio del 1967. A Cova di Iria la folla era immensa. Il card. Albino Luciani, futuro Giovanni Paolo I, la incontrò l’11 luglio del 1977 al Carmelo di Coimbra. Giovanni Paolo II la incontrò a Fatima nel 1982, nel 1991 e nel 2000 in occa­sione della beatificazione di Francesco e Giacinta. Il card. Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione della fede, futuro papa Be­nedetto XVI, la visitò nel Carmelo di Coimbra nell’ottobre del 1996.

Il corpo di sr. Maria Lucia di Gesù e del Cuore Immacolato, la pa­storella di Fatima, fu sepolto nel chiostro del Carmelo di Coimbra. Il 19 febbraio del 2006, un anno dopo la morte, il suo corpo fu deposto nella cappella a sinistra, guardando l’altare, della basilica di Nostra Signora del Rosario, accanto alla cugina Giacinta.

Si legge nella biografia Um caminho sob o olhar de Maria:

«Sentì le seduzioni del mondo, le tentazioni del demonio e i richiami della natura. Ma vinse tutto con eroica fedeltà al sì del 13 maggio del 1917. Il mondo fu per lei solo il cammino per andare a Dio e, per cur­ve ripide, salì sempre per il cammino (retto?) come un raggio di luce, conforme al suo desiderio intimo, fatto proposito e offerta generosa a favore dei fratelli: Voglio che la mia vita sia una traccia di luce che bril­la nel cammino dei miei fratelli indicando loro la fede, la speranza e la carità».[1]

Se ne attende la beatificazione.


[1] C. De Coimbra, Um caminho sob o olhar de Maria, Ediçoes Carmelo, Marco de Canaveses 2013, 479 (tr. it. Un cammino sotto lo sguardo di Maria, a cura dei Padri Carmelitani Scalzi di Monza, OCD, Monza 2014).

apparizioni

Il testo è tratto dal volume di Francesco Strazzari, Il fenomeno Fatima. Viaggio nel cuore spirituale del Portogallo. Prefazione di Virgílio do Nascimento Antunes, Collana «Oggi e domani», EDB, Bologna 2014, pp. 104, € 8,80.

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