Il 1° luglio è morto a Parigi lo studioso Pierre Lenhardt. Egli era convinto che «la ricerca della verità è un dovere religioso» e «la gioia della Torah» è stata al centro della sua vita nella Congregazione dei Fratelli di Sion. Pensando che la sua vocazione lo chiamasse allo studio e all’insegnamento e non al ministero pastorale, non chiese mai di diventare prete. Egli riteneva che «la teshuva delle Chiese cristiane deve avvenire non solo a partire dalle Scritture (ebraiche), ma anche con l’ascolto della Tradizione d’Israele che interpreta le Scritture e insegna la teshuva attraverso l’esegesi (midrash) e soprattutto attraverso la liturgia». E questo ha delle conseguenze anche sullo studio del Nuovo Testamento: «Non è la Scrittura la base diretta del NT, ma la Scrittura portata da un popolo che vive di una Tradizione di lettura interpretativa e di preghiera liturgica».[1]
Tali convincimenti spiegano perché la sua vita sia stata dedicata all’ascolto d’Israele[2] e il valore e la novità della sua posizione trovano una conferma nelle difficoltà che egli ha dovuto affrontare: per 25 anni ha insegnato all’École Biblique di Gerusalemme, ma la sua proposta che gli studi ebraici vi ricevessero un posto centrale attraverso una collaborazione con la Hebrew University non venne accolta. I suoi tentativi presso l’Istituto Ecumenico di Tantur non ebbero miglior successo: gli venne risposto che l’Istituto era nato per l’ecumenismo fra cristiani, mentre lui riteneva che la relazione con Israele costituisse la base dell’unità tra i cristiani. Quando sollecitava i vescovi perché gli studi ebraici ottenessero maggiore spazio, la risposta era spesso: la priorità non può essere data all’ebraismo, l’attuale priorità pastorale è l’islam. Ma soprattutto cocente fu la sua delusione per la chiusura, improvvisa e mai chiarita nelle sue reali motivazioni, del Centre Ratisbonne, a Gerusalemme.
Per rendere onore a questa vita coraggiosa non resta che ricordarne le tappe e rileggere le sue opere, in particolare quella che Pierre Lenhardt considerava l’esito di tutto il suo studio e insegnamento: L’unità del Dio trinitario.[3] Riguardo a questo libro il mio rimpianto è che egli non abbia conosciuto l’opera di Elia Benamozegh L’origine des dogmes chrétiens, una spiegazione cabbalistica della dogmatica cristiana scritta a metà del XIX sec. dal rabbino livornese di origine marocchina, rimasta inedita per un secolo e mezzo e pubblicata solo all’inizio del nuovo millennio.[4]
Dopo aver trascorso l’infanzia e la giovinezza in Marocco e in Algeria, Lenhardt incontrò il suo primo maestro di ebraico Nissim Gabbay, anche lui un ebreo marocchino, frequentando la Sinagoga liberale di rue Copernic a Parigi, dove era affascinato dalla liturgia, le sue preghiere, i suoi canti. Inoltre Gabbay gli fece conoscere anche l’ebraico rabbinico attraverso la lettura del Sefer ha-Aggadah, di Hayyim Bialik, «testo che da allora non mi ha più abbandonato».
Nel 1963 egli prese i voti come Religioso di Sion: «La convinzione che gli ebrei ricevevano dalla Parola di Dio, dalla loro Tradizione e dalla Bibbia ebraica, una luce che illuminava la mia vita cristiana, mi ha fatto desiderare di entrare e restare nella congregazione di Sion».
Conclusi gli studi di lingue classiche, di filosofia e teologia all’Institut Catholique di Parigi, Lenhardt ha iniziato a studiare Talmud alla Hebrew University di Gerusalemme. Nella città santa ha poi fondato il Centre Chrétien d’Études Juives Saint Pierre de Ratisbonne, di cui è stato direttore e insegnante. Egli ha detto e scritto che riteneva sbagliata e ingiusta la decisione delle autorità romane di chiudere il Centro nel 2001: continuava a sperare in un ripensamento e in una sua rinascita sia pur in altra forma.
La sua profonda spiritualità ha reso attraenti i testi della Torah orale a numerosi studenti cristiani in molte parti del mondo: Israele, Francia, Svizzera, Italia, Spagna, Brasile. Egli ha anche visitato Argentina, Costa Rica, Nicaragua e Messico, prendendo contatto con le diverse realtà locali di dialogo ebraico-cristiano.
Quanto Pierre Lenhardt ha voluto imparare dalla Tradizione vivente d’Israele e ha saputo insegnare ai cristiani ha gettato semi che continueranno a fruttificare.
Sia il suo ricordo in benedizione.
[1] I due brani sono contenuti in una lettera scritta da Lenhardt a don Luigi Nason, e da questi pubblicati su «Qol» 193/194 (2019), in un numero interamente dedicato al religioso francese da poco scomparso.
[2] P. Lenhardt, Una vita cristiana all’ascolto di Israele, tr. di R. Fontana, Effatà, Cantalupa 2013.
[3] Id., L’unità del Dio trinitario. In ascolto di Israele nella chiesa, a cura di L. Nason, Glossa, Milano 2016.
[4] L’opera è stata pubblicata in traduzione italiana da Marietti nel 2002 e 2016 e nell’originale francese da In Press nel 2011.
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