Il 9 gennaio è morto di cancro a 67 anni il sacerdote polacco Tadeusz Isakowicz-Zaleski. Il suo nome è molto noto nel paese per la sua attività di informatore. In particolare, per il coraggio dimostrato nella denuncia degli abusi ecclesiastici e nell’accompagnamento delle vittime, mentre la Chiesa era silente e la società civile distratta. Anche a costo di qualche smentita. Come nel caso riguardante il card. Stanislaw Dziwisz, accusato da Isakowicz-Zaleski di aver insabbiato prove che lui gli aveva presentato e che un’indagine del Vaticano ha poi sminuito. O nel caso simile dell’ex nunzio, Jozef Kowalczyk, la cui azione è stata per molti aspetti discussa.
Molto efficaci le sue denunce verso i preti e i prelati collaborazionisti con il regime comunista.
Vittime e disabili
Ma la sua azione pastorale si è manifestata in altri campi. In particolare, nella ricostruzione storica delle vittime polacche durante la guerra nei territori allora condivisi con l’Ucraina e nell’impegno a favore dei disabili.
Fra il 1943 e il 1944 nell’area della Volinia (attuale Ucraina) furono massacrati 100.000 polacchi e, per ritorsione, 15.000 ucraini. Una strage silenziata dai regimi per coprirne altre e in nome della “fratellanza dei popoli”.
Il prete non ha mai smesso di raccogliere testimonianze e ricostruire i fatti il cui esito è stato il recente riconoscimento reciproco di Chiese e governi nella dichiarazione comune “perdono e riconciliazione” del luglio scorso. Per il servizio ai disabili ha avviato la fondazione Albert di Radwanowice.
Soci e amici hanno scritto: «La sua vita è stata piena di sacrificio e di una profonda fede nell’umanità che lo hanno reso un pilastro per molte comunità e gruppi che hanno avuto la fortuna di conoscerlo. Il suo impatto sulla vita di persone con disabilità intellettiva e delle loro famiglie è stato inestimabile».
In una Polonia politicamente spaccata in due ha ricevuto l’elogio del vice-primo ministro, W. Kosiniak-Kamysz (nuova maggioranza), e del presidente della Repubblica (Pis). Quest’ultimo, in un messaggio, lo ricorda per il suo servizio pastorale agli armeni (la madre era armena) e ai polacchi. «Custode della memoria delle vittime polacche del genocidio in Volinia. Durante il periodo della Repubblica popolare polacca partecipò alle attività dell’opposizione, sostenne fermamente le aspirazioni alla libertà e difese i diritti umani… Si distinse nella lotta per la “memoria purificata” (lustracia) nella Chiesa… instancabile pastore e custode delle persone disabili».
Quando gli altri tacevano
L’ausiliare del vescovo di Cracovia, Damian Muskus, lo ricorda come la voce di «chi cercava la verità su pagine difficili della storia della Chiesa». Talvolta era precipitoso nel giudizio, ma sempre con retta coscienza.
Egli «ha parlato quando gli altri sono rimasti “diplomaticamente” in silenzio. Si collocava dove gli altri preferivano non esserci. Non tollerava l’indifferenza o il nascondere i problemi sotto il tappeto». Più del suo volto mediatico era importante «il suo vissuto tra le persone con disabilità, facendosi loro padre e fratello, pari tra pari, con una semplicità e una povertà davvero francescane».
Convittore al Cotugno di L’Aquila, 50anni orsono, l’incarico di studiare Massimiliano Kolbe e presentare poi la ricerca che ancora ricordo.