Ormai la sua partenza era quasi… scritta nella storia del padre Luigi. Da mesi non stava bene e si vedeva che il suo fisico cedeva sotto i colpi della malattia, fegato o cuore o entrambi. E chi gli voleva bene non poteva non trepidare per la sua salute che, da due anni almeno, dava segni di debolezza.
Poco dopo Capodanno seppi che era stato trasferito a Bolognano alla casa di cura dei padri dehoniani. Pur ripromettendomi di andarlo a trovare appena possibile (non erano ancora in corso del restrizioni attuali del coronavirus), tuttavia le mie speranze si spegnevano giorno dopo giorno mentre sentivo le poche, brutte notizie che i suoi confratelli di Capiago erano in grado di trasmettermi.
Poi venne la notizia del suo decesso, il 15 marzo scorso, mentre io stesso ero bloccato dall’influenza. Fu un colpo duro, anche perché inconsciamente sempre allontanato. Non posso nascondere che tra le varie morti, che da qualche tempo accompagnano i miei giorni e che in questi ultimi giorni si sono infittite, questa partenza è forse quella che più mi ha colpito e mi ha lasciato come si suol dire… a piedi.
Ho conosciuto Guccini già nei primi anni ’70, attraversogli articoli che scriveva su Testimoni e attraverso la stessa rivista che era lo specchio della sua personalità, Questa rivista che è stata da lui fondata era l’organo del primo rinnovamento postconciliare della vita consacrata e subito rimasi colpito dalla modernità e insieme dalla fedeltà alla tradizione che caratterizzavano l’approccio di p. Luigi Guccini ai problemi della vita religiosa. Conoscevo la sua lunga militanza in questo campo che aveva portato la rivista Ancilla Domini, strumento di formazione per le religiose, a diventare Testimoni, rivista di informazione, spiritualità e vita consacrata. Ma un conto è conoscere per sentito dire o per aver letto e un’altra cosa è incontrare la persona.
Un giorno di luglio 1985 venne a cercarmi a Roma per propormi di tenere una conferenza sullo sviluppo della vita consacrata in riferimento alla missione in occasione del Primo convegno di Testimoni al Passo della Mendola, settembre 1985, se la memoria non mi tradisce. Il grande relatore era il p. Jean-Marie R.Tillard, amico della redazione di Testimoni ed estimatore del p. Guccini. Devo confessare si essermi sentito in mezzo a quei relatori come un ragazzo… presuntuoso. Guccini mi incoraggiò e mi trasmise quella carica di semplice coraggio e libertà evangelica che lo caratterizzava quando parlava di questi argomenti.
Dopo di allora continuò a sollecitare la mia riflessione e devo riconoscere che, senza gli stimoli frequenti pertinenti di p. Luigi, io non mi sarei mai azzardato a scrivere sull’argomento della vita consacrata e ad affrontare i temi che, di volta in volta, egli mi suggeriva e mi chiedeva.
Da quando seppe dell’esistenza di un corso di formazione permanente per i Missionari Saveriani che abbiamo tenuto ogni anno a Tavernerio dal 1992 al 2016, egli ne sposò l’idea, fu tra quelli che ne fecero pubblicità e soprattutto non mancò mai di tenervi una settimana sulla vita consacrata “oggi”.
Era molto ascoltato anche dai più critici dei confratelli: aveva della vita consacrata una visione larga e nuova, libera dalle ristrettezze dei vecchi manuali che finivano per fare della vita consacrata un fardello da cui cercare di liberarsi in ogni modo.
In questi 45 anni la reciproca collaborazione è stata sempre viva e di pari passo è cresciuta la mia conoscenza dell’uomo e la stima per la qualità della sua riflessione, ma più ancora per la qualità e coerenza della sua vita. Egli aveva un’alta stima per la Chiesa locale nella quale voleva che la vita consacrata fosse segno sempre più chiaro di santità, memoria e profezia del regno di Dio.
Lo andavo a trovare regolarmente a Capiago per il sacramento della riconciliazione e per la direzione spirituale. Una volta mi scappò di dirgli, quello che da sempre sentivo in me, che ricevere da lui il perdono di Dio era un’esperienza di grande pace. M’attendevo che nella sua modestia si schernisse. Invece mi disse candidamente che era la cosa più bella e consolante che egli si aspettava di sentirsi dire.
Aveva della riconciliazione e del sacramento una conoscenza notevole, storica e teorica, nutrita di letture, studio ed esperienza e quindi una visione grande, aperta, libera dalle pastoie giuridiche che la storia vi ha inevitabilmente appiccicate. Confessarsi con lui era un momento – un’esperienza – non solo di pace, ma di gioia e di crescita interiore. Luigi Guccini in poche parole era un vero padre spirituale. Mi fermo qui perché non voglio si pensi che sto esagerando.
Che il Signore ci conceda altri confratelli come lui, capaci di far amare il Signore e di servire generosamente la sua chiesa. Come p. Luigi Guccini.
Tavernerio, 24 marzo 2020