Proprio non le andava giù quel motto che suo fratello si era scelto come vescovo dalla Regola pastorale di Gregorio Magno: “Pro veritate adversa diligere et prospera formidando declinare”. Perché mai uno doveva prospettarsi una vita piena di difficoltà? «Perché doveva prospettarsi, anche agli occhi altrui, una vita piena di cattivissime situazioni adversa (quasi da martirio) e non una vita aperta alla speranza di interventi dello Spirito Santo e della Provvidenza?». Confessa però di aver capito solo da poco «la santa furbizia e la preveggenza» di suo fratello Carlo (Maria Martini).
A parlare è la sorella Maria – che, giustamente, si firma aggiungendo il cognome da coniugata, preferendo però il nomignolo con cui era affettuosamente chiamata in famiglia: Maris Martini Facchini – in un libro giunto sugli scaffali in occasione del 6° anniversario della morte del cardinale.
È uno scritto che si discosta un po’ dalla lunga serie di titoli pubblicati in questi anni, anche se idealmente si collega a quello del giornalista Marco Garzonio (“Vedete, sono uno di voi”, intervista a Ermanno Olmi, Àncora, Milano 2017) autore della lunga prefazione.
Del fratello Carlo «monumento vivente», ma in famiglia sempre Carluccio, ne viene tracciato un profilo molto personale, come solo i ricordi familiari possono essere, a partire dagli anni dell’infanzia nella Torino degli anni Trenta o nel rifugio di Orbassano nel periodo bellico: sono brevi flash, immagini, aneddoti, battute, impressioni che mostrano la complicità unica e irrepetibile dei fratelli di fronte a genitori e amici, ma che, in fin dei conti, sembrano rispondere al contrario di quanto affermato (“Vedete, sono uno di voi”) perché già da bambino il giovane Martini appariva “altro” (riflessivo, studioso, sempre preparatissimo) rispetto ai fratelli e ai compagni di scuola.
Un fratello davvero “uno di noi”?
Una famiglia borghese in una residenza borghese con tanto di cuoca, cameriera e, all’occorrenza, le balie. I giochi e lo studio, ma soprattutto l’affetto e l’ammirazione per quel figlio, e fratello, «unanimemente lodato» che, a 17 anni, lascia la famiglia per entrare nel seminario dei Gesuiti.
È lungo il racconto dei giorni precedenti il distacco: lo sgomento del padre, la nostalgia della mamma, gli interrogativi dei fratelli. E quindi gli anni successivi con i genitori che seguivano con affetto e trepidazione i primi passi del giovane religioso ben presto avviato all’insegnamento.
Poi gli anni a Milano, la “partenza” dei genitori – prima la madre poi il padre – e i lunghi mesi della malattia fino al momento della morte, una morte annunciata fin dalle prime avvisaglie del male, e per certi versi anche umanamente temuta.
È un ritratto umano, umanissimo quello tracciato dalla sorella minore dei tre fratelli Martini in una «dolcissima e appassionata memoria» come lo definisce il vescovo Bruno Forte nella postfazione.
Buona parte del testo, oltre alle 22 pagine della prefazione, è occupata dal racconto dell’incontro col regista Ermanno Olmi impegnato nella realizzazione del film sul cardinale (i faldoni pieni di materiali, le riprese all’interno delle abitazioni, la stanza di Gallarate…) e dagli ultimi momenti che hanno preceduto la sua dipartita verso il Cielo nell’agonia di Gallarate.
Ma sono soprattutto le riflessioni, i commenti a margine di avvenimenti pubblici o privati che rendono il libro originale e unico, quasi il tassello mancante di un grande mosaico costruito sul personaggio fin dagli anni della guida della diocesi ambrosiana.
L’affermazione che il più bel giorno della sua vita era stato quello in cui il Vaticano II aveva proclamato con la Dei Verbum l’importanza della ricerca storica sulla Bibbia, le calze rosse da cardinale “dimenticate” a Roma dopo il concistoro, il rammarico per quei movimenti che toglievano i preti più giovani dal loro servizio pastorale, la riservatezza, lo sgomento di fronte a quel morbo di Parkinson che limitava le reazioni del corpo… sono frammenti di ricordi che solo una sorella come Maris – che aveva ricevuto dalla madre l’incarico di prendersi cura del fratello, «quando sarà anziano» – poteva affidare alla carta.
Un “librino” prezioso
Un «librino», come lo definisce, ma anche «ricordi che rappresentano un raro e ben riuscito esempio di recupero di eredità familiari che hanno il loro peso e il loro gusto» come scrive riferendosi al “quaderno delle ricette” che non poteva mai mancare nella cucina di allora dove i bambini crescevano a riso e latte, il pranzo buono alla domenica e l’ovetto à la coque per cena.
Una sorella che, forte dell’affetto e della premura per quel fratello venerato fin da bambina, non si rassegna neppure di fronte alla trascuratezza del letto di morte («lenzuola e cuscini discordanti, di buon prezzo e di pessima qualità, un’orrenda coperta di pile…») e che, a distanza di ormai 6 anni, quasi vorrebbe tornare indietro e insistere per una morte meno pubblica e più “familiare” dell’amatissimo Carluccio. «Via tutti, voglio e devo stare sola con lui, e se lui è un uomo come tutti noi, deve stare con sua sorella, unica rimasta della sua famiglia!».
«Rievocare il tempo passato e rivivere con sereno distacco i ricordi non è facile, anzi, può essere talvolta doloroso», ma forse dovremmo tutti essere grati a Maris per averci lasciato questo dono.
Il libro sarà presentato ufficialmente il prossimo 18 ottobre presso la Fondazione San Fedele a Milano cui saranno devoluti i proventi dei diritti d’autore.
Maris Martini Facchini, L’infanzia di un cardinale. Mio fratello Carlo Maria. Ricordi e immagini di vita familiare, Àncora, Milano 2018, pp. 128, € 16,50.