Ruffilli e la riforma istituzionale

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Il 16 aprile 1988 Roberto Ruffilli veniva ucciso dalle Brigate Rosse-Partito comunista combattente nella sua abitazione a Forlì – “uomo chiave del rinnovamento” (come afferma il volantino di rivendicazione) della Democrazia Cristiana, con il suo progetto di una riforma istituzionale che è ancora oggi in attesa di un compimento. Per ricordarne la figura, riprendiamo un articolo del prof. Stefano Ceccanti (pubblicato nel 2023 sulla rivista Arel).

Per comprendere l’eredità di Roberto Ruffilli dobbiamo anzitutto fare memoria. Per questa ragione credo valga la pena di ripartire dal numero monografico di «Appunti di cultura e di politica», il mensile della Lega Democratica, del maggio 1988, quello immediatamente successivo alla sua uccisione. Anche perché erano quelle la Rivista e l’Associazione in cui si era esercitato fin da inizio decennio, prima dell’impegno parlamentare[1].

Possiamo condensare questo sforzo di sintesi, qual è quello tipico della memoria, in tre punti cardine.

Il primo punto di questa memoria, il messaggio complesso che tiene insieme la fedeltà creativa alla Prima Parte della Costituzione che esigeva modifiche della Seconda e della connessa legislazione elettorale, lo chiarisce bene Leopoldo Elia nel suo testo Dallo studio alla politica delle riforme, che colloca la riflessione di Ruffilli come sviluppo logico di quella di Aldo Moro. Conclusa in modo troppo precoce la solidarietà nazionale, occorreva riprendere quel disegno sul terreno specifico delle regole che incentivassero l’alternanza democratica, in continuità col disegno della Prima Parte della Costituzione, oltre i limiti del rigido proporzionalismo e della mancata razionalizzazione della Seconda Parte dovuti alla divaricazione della Guerra Fredda:

«Più d’uno tra noi comprendeva in quegli anni che non bastava insistere nell’attuazione della Costituzione… le indicazioni di Moro potevano trovare una vera terza fase in una politica istituzionale nella quale si realizzassero condizioni e regole per una democrazia più idonea a corrispondere alle sue grandi missioni di giustizia e progresso sociale per l’attuazione del disegno fissato nella prima parte della Costituzione»[2].

Il secondo punto è costituito dalle coordinate più complessive che Federico Scianò ricostruisce nel pensiero di Ruffilli a partire dalla lezione di Moro. Secondo Scianò, Ruffilli coglie in Moro due aspetti; anzitutto, le possibilità del superamento della residua diversità comunista verso una piena accettazione della scelta europeistica e atlantica che poteva riportare le forze politiche su un terreno di omogeneità che consentisse finalmente l’alternanza in modo non traumatico e questo come effetto di una società italiana più indipendente che cercava di trascinare i partiti in questa evoluzione[3].

«Il problema per Moro – scrive Scianò – non è la costruzione di una democrazia consociativa che elimini il conflitto politico; è invece l’adesione della opposizione marxista-leninista alla pratica globale della libertภcon l’istituzionalizzazione su tale base della battaglia democratica per il governo»[4], resa possibile da quello che Moro definiva il processo di liberazione in corso che scaturiva «dalla società… non (dal)l’opera dei partiti»[5].

Il terzo punto è quello della propria collocazione futura in un sistema di alternanza. Fino quel momento nell’ambito del vasto ed eterogeneo mondo riconducibile alla DC l’impostazione prevalente a favore di un sistema di alternanza era quella delle componenti moderate interne, che logicamente immaginavano l’evoluzione della DC in un partito di centro-centrodestra. Del resto, sarebbe stato un esponente di quell’area, Mario Segni, a svolgere il ruolo di leader del movimento referendario. È evidente che gli esponenti della Lega Democratica, chiaramente vicini alla sinistra interna, non potevano condividere quell’esito, compreso Roberto Ruffilli, definito da Paolo Giuntella «un ‘liberal’ nel senso proprio, anglosassone e americano della parola. Un democratico progressista»[6].

Per questa ragione Ruffilli, come ben spiega Scianò, riteneva che per Aldo Moro, che avrebbe avuto esistenzialmente analoghi problemi, la fase auspicabile di compiuta alternanza fosse necessariamente solo abbozzata nei soggetti politici che si sarebbero venuti a determinare, nei poli che sarebbero entrati concretamente in competizione sospinti da una società ormai adulta. Vi era, nella lettura di Moro proposta da Ruffilli, «la convinzione dell’impossibilità di predeterminare gli esiti della terza fase sul piano degli schieramenti politici governativi»[7].

Come è noto, il gruppo redazionale di «Appunti di cultura e di politica» guidato da Pietro Scoppola e comprendente Gianluca Salvatori, Stefano Semplici, Giuseppe Tognon, Giorgio Tonini nonché il sottoscritto, nel dicembre successivo, in un numero di «Appunti» divenuto celebre, dal titolo Nove tesi per l’alternanza, ne trasse esplicitamente le conseguenze, nel senso di una doverosa separazione consensuale di chi era legato alla tradizione dell’unità politica dei cattolici per collocarsi chiaramente nell’ambito di un futuro polo di centrosinistra, in alternativa a chi avrebbe scelto la collocazione di centrodestra[8].

Detto ciò sul piano della memoria, si capiscono anche meglio le riflessioni di Ruffilli nel volume Il cittadino come arbitro che, nella sostanza, ha un concreto precipitato in una legge elettorale a dominante maggioritaria e in norme costituzionali di razionalizzazione simili al modello tedesco, secondo una linea di continuità ideale che le forze di centrosinistra hanno espresso sin dalla Tesi 1 dell’Ulivo.

Se infatti, in continuità con Moro, la spinta verso una democrazia dell’alternanza è il prodotto di una nuova spinta sociale, di una società non più racchiusa dentro le appartenenze separate della Guerra Fredda, capace di «far valere i diritti vecchi e nuovi»[9], «il centro del sistema non può che essere il cittadino elettore. Perché scelta effettiva sia non si tratta dell’elezione diretta di una persona, ma dell’individuazione in sede pre-elettorale, con gli opportuni incentivi maggioritari, di una precisa maggioranza di governo dentro cui collocare anche le responsabilità individuali»[10], superando l’uso spregiudicato del potere di coalizione al centro e in periferia che, in quel momento, garantiva al PS una quota di potere nettamente superiore al consenso elettorale ma che, più in generale, negava un rapporto tra consenso, potere e responsabilità.

Qui sta per Ruffilli anche l’utilizzazione nelle Conclusioni delle categorie di Maurice Duverger: si tratta di superare la «democrazia mediata» che non produce risultati chiari nel passaggio dal voto degli elettori alla formazione dei governi, giungendo a quella «immediata», ossia alla scelta di una maggioranza in cui incardinare anche la questione della leadership di governo senza cadere in quella «plebiscitaria», che separerebbe la scelta delle persone che governano da precise maggioranze[11].

Accanto all’intervento sulla legislazione elettorale andrebbero proposte ipotesi di razionalizzazione, evitate alla Costituente per la sfiducia reciproca dovuta alla Guerra Fredda[12], attingendo a quelle già sperimentate nelle democrazie parlamentari e in particolare alla Legge Fondamentale tedesca, già oggetto di studio e di proposta alla Commissione Bozzi.

Come è noto, esse consistono in quattro elementi chiave: rapporto fiduciario col solo Cancelliere in unica assemblea che dà la fiducia (art. 63), potere di proporre al Capo dello Stato la revoca oltre che la nomina dei ministri (art. 64), sfiducia costruttiva da approvare a maggioranza assoluta dei componenti, a differenza del rapporto fiduciario che può darsi anche a maggioranza semplice (art. 67), possibilità del cancelliere di chiedere elezioni anticipate in caso di sconfitta sulla questione di fiducia, che vengono concesse a meno che la Camera elegga entro pochi giorni un nuovo Cancelliere a maggioranza assoluta (art. 68).

Proposte tutt’oggi attuali nel loro indirizzo di fondo, senza assolutizzare mai questa o quella precisa formula giuridica.

In ultimo, una considerazione: più di un osservatore ha rilevato lo scarto rilevante tra la cultura politica quanto mai rozza e semplificatoria degli ultimi esponenti delle Brigate Rosse, compresi i responsabili materiali dell’omicidio Ruffilli, e l’elaborato testo di rivendicazione dell’omicidio[13], tale da costituire un paradossale omaggio alla riflessione di Ruffilli e alla sua continuità con quello di Aldo Moro, ucciso dieci anni prima. Un fatto inquietante, ma che dovrebbe anche essere responsabilizzante, per chiudere una transizione costituzionale decisamente troppo lunga.


[1] Per il ruolo di R. Ruffilli nella Lega Democratica, esperienza nella quale ho avuto personalmente il privilegio di conoscerlo, cfr. L. Biondi La Lega Democratica, Viella, 2013, in particolare p. 143 e ss, p. 195, p. 215 e ss., p. 240 e ss.

[2] L. Elia, Dallo studio alla politica delle riforme, in «Appunti di cultura e di politica», n. 5/1988, p. 27.

[3] F. Scianò, L’interprete della terza fase, in «Appunti di cultura e di politica», n. 5/1988, p. 20 e ss.

[4] Ivi, p. 21.

[5] Ivi, p. 22.

[6] P. Giuntella, Perché Roberto, in «Appunti di cultura e di politica», n. 5/1988. p. 5.

[7] F. Scianò, L’interprete della ‘terza fase’, cit., p. 21.

[8] I contenuti del numero e il dibattito che ne seguì, compresa la proposta di poco successiva del Congresso della FUCI, nel marzo 1989, presieduto da Giovanni Guzzetta e Patrizia Pastore, di ricorrere al referendum in materia elettorale con la pronta adesione di Nino Andreatta nel Convegno di Chianciano della Sinistra DC del successivo settembre sono ricostruiti nel libro citato di Lorenzo Biondi, p. 343 e ss.

[9] Così inizia Ruffilli il paragrafo 5 dell’Introduzione, qui ripubblicata, p. 130.

[10] Così conclude il par. 6 dell’Introduzione, qui a p. 131.

[11] Paragrafo 2 delle Conclusioni, p. 135.

[12] Paragrafo 3 delle Conclusioni, qui a p. 136.

[13] www.fondazioneruffilli.it/images/allegati/RR_VolantinoRivendicazione.pdf

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Un commento

  1. Guido Lanciano 17 aprile 2024

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