Qualche anno fa, era il febbraio 2015, Pat Marrin pubblicò una significativa striscia a fumetti sul National Catholic Reporter. Monsignor Romero e Rutilio Grande comparivano in sogno al Santo Padre, che annunciava loro il riconoscimento del martirio. «Siamo in 75 mila», gli rispondeva mons. Romero, additando alle sue spalle la schiera di vittime della repressione salvadoregna. E papa Francesco, allargando le braccia: «Benvenuta, Chiesa dei poveri!». Mi piace ricordare questa striscia perché intuì il profondo legame tra queste due figure e il sogno di «una Chiesa povera e per i poveri» manifestato dal papa. Due figure indissolubilmente legate in vita e oltre, se si pensa che la causa di p. Grande fu avviata subito dopo quella di mons. Romero. Dell’arcivescovo di El Salvador è stato ora firmato il decreto di canonizzazione. E per il servo di Dio Rutilio Grande, a che punto stiamo?
Il Convegno
Un’occasione propizia per tracciare il bilancio l’ha offerta il convegno «Rutilio Grande. Una vita dedicata al cambiamento» promosso dall’Ambasciata della Repubblica di El Salvador presso la S. Sede e svoltosi alla Pontificia Università Gregoriana lo scorso 23 febbraio, in preparazione al 41nesimo anniversario del suo assassinio, consumatosi il 12 marzo 1977.
Il Postulatore generale della Compagnia di Gesù, p. Pascual Cebollada Silvestre, ha ricordato che in quella dolorosa occasione anche l’arcivescovo Bergoglio scrisse al Provinciale dei gesuiti del Salvador per manifestare il proprio cordoglio. Per comprendere il «codardo massacro» – come lo ha definito l’on. Jaime Alfredo Miranda, vice ministro degli Affari Esteri della Repubblica di El Salvador – occorre calarsi nel profondo disagio sociale che precipitò la nazione nel conflitto civile. Con una superficie di appena 21 mila chilometri quadrati, El Salvador era nelle mani di pochi latifondisti – basti ricordare che tra 1945 e il 1959 l’area destinata alla produzione del caffè raddoppiò e quella per il cotone crebbe di venti volte.
Una sproporzione, in un momento di forte crescita demografica, che causò espropriazioni forzate, disoccupazione, e mancanza servizi sociali per la maggior parte della popolazione, mentre i pochi oligarchi beneficiavano di condizioni da primo mondo. I movimenti di operai e contadini impegnati nella richiesta di condizioni di vita migliore incontrarono la violenta repressione da parte delle forze governative. Intanto la Chiesa locale, di orientamento conservatore e asservita allo status quo, veniva attraversata dai primi fermenti di cambiamento grazie alle encicliche di Giovanni Paolo XXIII, il concilio Vaticano II e la svolta di Medellin. Come contribuire alla conversione delle strutture di peccato in un contesto di dittatura militare? Quale neutralità vi può essere in un contesto in cui alla Chiesa è negata la neutralità, ma può solo scegliere se intorpidire oppure risvegliare le coscienze?
Un banchetto per i più poveri
Rutilio si impegnò nello sviluppo di metodiche creative di evangelizzazione, incominciando a riunirsi periodicamente con membri della sua parrocchia per interpretare, alla luce del Vangelo, anche la realtà sociale e politica. P. German Ramón Rosa Borja SJ, collaboratore storico della causa di beatificazione di p. Grande, ha ripercorso le tappe della sua proposta catechetica. Creando unità ecclesiali di base (equipe di sacerdote e laici) che insegnavano a leggere la Bibbia secondo il metodo del guardare, giudicare e agire, egli cominciò ad alfabetizzare e a formare i responsabili e i leader delle comunità, proclamando la legittimità e il diritto dei poveri di organizzarsi in associazioni e sindacati.
L’annuncio del regno di Dio alla comunità era annuncio di liberazione integrale, annuncio di un Dio che ci salva dal peccato personale, ma anche dal peccato sociale e strutturale, dall’idolatria del potere e della violenza. In nome del Vangelo p. Grande denunciò una realtà che si opponeva alla volontà di Dio per il suo popolo, che non era la povertà, ma un progetto di fratellanza e di giustizia.
Indubbiamente tale teologia ebbe implicazioni politiche, ma non le avevano anche le correnti spiritualiste che inducevano al conformismo, all’autocompiacimento ritualistico, all’immobilismo sociale? «C’è chi vuole un Dio ricco – redarguiva il sacerdote gesuita. – Io voglio tavoli lunghi per tutti, con sedie per tutti e Gesù che siede al mezzo». Una Chiesa come spazio di consolazione per i più poveri, immagine al banchetto della fine dei tempi, annunciato dai profeti dell’Antico Testamento che non slegavano la salvezza della persona dal vincolo alla storia e alla realtà sociale, ma chiamavano a conversione ogni strato sociale perché il regno di Dio cominciasse oggi e raggiungesse il suo compimento oltre questa vita.
Il martirio
Sappiamo quanto l’assassinio di p. Grande colpì mons. Romero, nominato da appena un mese arcivescovo di El Salvador. Al silenzio che seguì alla promessa d’investigazione sulla morte dell’amico, Romero rispose con la decisione di disertare ogni cerimonia di Stato. Annullò le messe di suffragio nelle chiese locali convocando tutti i presbiteri in arcidiocesi, segno dell’unità del clero: alla messa parteciparono oltre 150 sacerdoti e 100mila persone, senza contare quanti ascoltarono via radio l’omelia funebre – autentico vademecum sul senso e la necessità di un’autentica teologia della liberazione. Anche la “conversione” di Romero confluirà inevitabilmente nella Positio super martyrio di p. Grande, che il postulatore Cebollada Silvestre stilerà sotto la guida del relatore nominato lo scorso 2 marzo, dopo il decreto di validità, dalla sessione ordinaria della Congregazione per le cause dei santi.
La Positio – oltre ai consueti dati biografici, alla storia della causa, all’importanza del messaggio del candidato per la Chiesa e la società di oggi – dovrà soffermarsi in modo particolare su quanto raccolto in merito alla sua morte. Una prima sezione riguarderà il martirio visto dalla parte del persecutore. Occorre constatare che il martirio è avvenuto in odium fidei o a causa di una virtù che ne consegue, in questo caso la giustizia; e indagare la figura del persecutore oppure, qualora non sia identificabile, ricostruire l’ideologia che ne ha determinato l’azione.
Un’altra sezione della Positio affronterà il martirio dalla parte della vittima. Il martirio è una grazia, non un progetto umano: la vittima si metteva temerariamente in pericolo o fuggiva la morte, avendone la possibilità? Alla persecuzione reagiva con violenza o con il perdono? P. Cebollada ha citato autografi del 1975 in cui P. Grande scrive: «Amo tanto e perdono le loro offese gratuite e infondate, tanto che offro la vita perché vi convertiate». Ulteriori capitoli riguarderanno infine le testimonianze dirette o segrete sulla santità, le sue virtù e la fama di santità.
A proposito di quest’ultimo punto, p. German Borja ha citato due esempi specifici: il pellegrinaggio di 6 ore a piedi fino al luogo del martirio, sulla strada per Aguilares, che si svolge ogni anno – e l’arte dei murales. Una volta che la Positio sarà conclusa, verrà sottoposta al vaglio della commissione teologica e, se il loro parere sarà positivo, tornerà all’ordinaria delle Cause dei Santi; e da lì al Santo Padre, per il decreto di beatificazione (il martirio “supplisce” al primo miracolo). I tempi di lavoro ordinari, ma non brevissimi, dunque.
Ricordare i martiri
La Chiesa di El Salvador attende con grande trepidazione questi ulteriori passi, fedele al desiderio manifestato nel numero 37 della Tertio Millennio Adveniente di san Giovanni Paolo II: «Occorre che le Chiese locali facciano di tutto per non lasciar perire la memoria di quanti hanno subito il martirio, raccogliendo la necessaria documentazione» su figure spesso sconosciute «quasi “militi ignoti” della grande causa di Dio».
Essi sono gli autentici, grandi profeti del cristianesimo, a patto che si sia disposti a ripercorrerne le orme, piuttosto che a strumentalizzarne la memoria. Lo ha messo in rilievo, aprendo l’incontro, P. Anton Witwer, preside dell’Istituto di Spiritualità della Gregoriana: «Ricordare i martiri non significa coltivare odio e rivalsa verso i loro uccisori, ma che la nostra vocazione è seguire il Signore crocifisso e operare per la riconciliazione della gente».