S. Alfonso, vescovo tra il popolo

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L’elezione a vescovo di sant’Alfonso de’ Liguori, per 30 anni missionario del Regno di Napoli, fu per lui come fulmine a ciel sereno. Il suo biografo, Tannoia, scrive: «Quando credeva, perché oppresso da mali, esser prossimo alla morte e disporsi per quel passaggio, Iddio, con un tratto di provvidenza, lo richiama a nuova vita e l’investe di un nuovo zelo, per altre opere di sua maggiore gloria» (Tannoia, III, 1). Mentre altri candidati si ammalarono per non essere stati scelti (e c’erano tanti), il fondatore dei redentoristi ebbe bisogno di cure mediche perché obbedì alle richieste del papa: «I Redentoristi giubilarono; Alfonso, invece, restò muto e disfatto» (A. Luciani).

Sant’Alfonso Maria de’ Liguori

È un santo!

Dopo la consacrazione episcopale avvenuta a Roma il 20 giugno 1762, nella chiesa di S. Maria sopra Minerva per mano del card. Fernando Rossi, il confessore di sant’Alfonso, Angelo Caione annota: «Due grandi sforzi aveva sofferto nella sua vita: uno quando, lasciando il Mondo, abbracciato si vide strettamente dal Padre: l’altro, quando in Roma fu consacrato vescovo contro sua voglia».

Nel 1745 sant’Alfonso scrisse un piccolo libretto dal titolo Riflessioni utili ai vescovi, in cui tra l’altro suggerisce: «Dopo l’ordinazione, il vescovo è tenuto a vivere con le sue pecorelle della cui salute dev’egli certamente rendere conto». Accettò la “croce” episcopale con mitezza e saggezza pastorale sapendo che la strada che il papa gli aveva proposta era strada di perfezione e santità personale.

Un giorno un padre redentorista andò a trovare il suo fondatore divenuto vescovo a Sant’Agata dei Goti (Benevento). Entrando in città, incontrò dei contadini a cui chiese: «Che si dice del vostro vescovo?». «È un santo, Dio l’ha mandato a posta per noi: sente tutti, fa bene a tutti, continuamente soccorre i poveri: chi vuol parlare a Monsignore ci parla, i più poveri ugualmente che i nobili» (C. Berruti).

Da vescovo, Alfonso ascoltava con pazienza tutti, specialmente favoriva i poveri, si privava del necessario per venire incontro a molteplici situazioni di indigenza. Ai parroci raccomandava di aiutare i poveri con gesti concreti.

Il confessore di sant’Alfonso in una lettera descrive le doti pastorali, la carità del santo: «La sua mansuetudine e carità incanta ognuno. Non piglia regali: anche i canestri di fichi ha fatto ritornare indietro. È così profuso nella limosina […]. Sparsa la voce che Monsignore fa limosina, tutti i poveri concorrono in folla da tutti i paesi».

Governare la diocesi dal letto

Sostieni SettimanaNews.itLa salute del vescovo di Sant’Agata non era delle migliori. Alfonso soffriva di asma, bronchite e artrosi.

Nel febbraio del 1770 gli morì il nipote Carlo, figlio del fratello Ercole. Ci furono solenni funerali a Napoli; un cronista a caccia di notizie, sentito il nome de’ Liguori, pensò fosse morto il vescovo di Sant’Agata. La notizia si diffuse soprattutto fuori Napoli tanto che i canonici di Lucca celebrarono una messa solenne per sant’Alfonso: «benemerito della Chiesa e dell’Europa tutta». Alfonso, con il suo fare scherzoso, dettò una lettera di ringraziamento per tanta premura.

L’8 agosto 1768, scrivendo a padre Blasucci, confidava: «Non posso camminare se non appoggiato ad un altro, perché non mi reggono le gambe, e già fa l’anno che non dico messa, perché il reumatismo mi ha totalmente torto il collo, che non posso alzarlo a sumere il Sangue […]. Io sto risoluto di lasciare il vescovado e venirmene a morire tra’ i miei della Congregazione».

Nonostante la cattiva salute, Alfonso continuò a governare la diocesi, pensava più alla sua sposa che ai suoi acciacchi. Alla fine, si decise a scrivere una lettera di dimissione a Clemente XIV il quale non tardò a fargli recapitare la risposta: «Mi contento che governi la Diocesi di sopra il letto. Vale più una sua preghiera da dentro il letto, che se girasse per cento anni l’intera diocesi».

I confratelli redentoristi, però, presi da pietà per la sofferenza e la malattia del fondatore, gli suggerirono di insistere per le dimissioni. Il santo bonariamente rispose: «La voce del papa è la voce di Dio per me; e muoio contento, se per volontà di Dio io muoio oppresso sotto il peso del Vescovado».

Un giorno, mentre si discuteva ancora di dimissioni, sant’Alfonso si lasciò andare ad un battuta nei confronti del papa, il conventuale Lorenzo Ganganelli: «Questo è monaco capo tuosto, se la fo (la rinuncia) non l’accetta; pazientiamo, ed aspettiamo l’altro papa che viene appresso». Sant’Alfonso non si perse di coraggio, governò la diocesi nonostante i suoi limiti. In questo periodo scrisse la Pratica di amar Gesù Cristo (1768), pubblicò L’opera dommatica e, nel 1771, i Sermoni compendiati, nel 1772 Il trionfo della Chiesa e la settima edizione della Theologia Moralis, nel 1773 Le riflessioni e le meditazioni sulla Passione di Gesù Cristo.

Nel 1775, dopo poche settimane dall’elezione del nuovo papa, Pio VI, si decise nuovamente ad inoltrare la lettera di rinuncia, avvalorandola con queste parole: «Santità […] fui fatto vescovo di S. Agata de’ Goti, nel Regno di Napoli, in età avanzata di sessanta sei anni. Ho tirato, coll’aiuto del Signore, per tredici anni a portare il carico del vescovado; ma al presente mi vedo inabile a più portarlo. […] Oltre l’età ho molte infermità che mi minacciano da vicino la morte […] sono diventato così cionco che più non posso dare un passo […] non posso più tenere le ordinazioni, né più predicare; e quello che più importa, non posso più girare per la visita, e la diocesi ne patisce positivamente».

Pio VI accetta la rinuncia

Papa Pio VI, solo dopo aver accertato lo stato di grave salute di Alfonso, accettò le sue dimissioni il 9 maggio 1775. Alfonso aveva 79 anni e, nonostante i suoi malanni, contribuì ancora al bene dei Redentoristi e della Chiesa. Morì nel convento di Pagani (Salerno) a 91 anni, il primo agosto 1787.

Alfonso de’ Liguori, vescovo della carità, ha amato i poveri perché ha amato Cristo, non ha visto Cristo nei poveri, piuttosto ha visto i poveri in Cristo. È l’amore al suo “corpo totale”, che lo ha reso attento alle membra sofferenti.

Non passano inosservate alcune affermazioni di Pio IX scritte nel 1847 all’editore Giacinto Marietti per la pubblicazione dell’Opera omnia del santo: «Nel dare alla luce questi libri tu fosti del parere che meritatamente dovesse precedere tutti gli altri sant’Alfonso Maria de’ Liguori, nel quale furono degni di ammirazione la benevolenza verso il prossimo e lo zelo inestimabile per la salute delle anime».

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