Di Giovanni Battista Scalabrini, che sarà canonizzato il prossimo 9 ottobre insieme ad Artemide Zatti, laico professo della Società Salesiana di San Giovanni Bosco (Salesiani), si parla pressoché esclusivamente nei termini dell’opera grandiosa messa in campo a favore degli emigranti italiani verso l’America.
Emigranti e periferie
Vescovo di Piacenza, fondatore dei Missionari di San Carlo (Scalabriniani), della Società di patronato San Raffaele e della Congregazione delle Suore missionarie di San Carlo Borromeo, Scalabrini incarna la speciale attenzione verso le persone migranti che, da sempre, è parte del magistero della Chiesa.
Mentre fra Otto e Novecento il Socialismo si diffonde anche in Italia – e con esso la propaganda anticristiana e, per reazione, un certo irrigidimento di una parte della Chiesa, Scalabrini denuncia i «sensali di carne umana» che lucrano su miserie e speranze di chi è disposto a lasciare la propria terra, guida la riflessione sui diritti degli emigrati contro ogni sfruttamento, si adopera per lavoratori e lavoratrici rimasti in patria: orario, previdenza sociale, assistenza sanitaria, condizioni igieniche.
Per Scalabrini le migrazioni sono una questione di giustizia e di sviluppo, prima ancora che di flussi. Periferie geografiche, senza dimenticare quelle esistenziali, dai portatori di handicap ai tanti lontani dalla Chiesa.
Questione indigena
Ad oltre un secolo dalla morte, il carisma di Scalabrini rimane di straordinaria attualità. Come avviene, del resto, per la questione indigena.
Risale a poche settimane fa l’ultima tappa del delicato cammino di riavvicinamento della Chiesa cattolica alle popolazioni native, dall’America amazzonica al Canada. La delicata coniugazione fra evangelizzazione e rispetto degli elementi tradizionali che in una civiltà non le sono contrari. Inculturazione. Una questione che – ricordano in pochi1 – non manca di coinvolgere anche Scalabrini.
Di ritorno in Italia da una visita ai propri missionari in America Latina, nel 1904, Scalabrini è raggiunto da una lettera di encomio di papa Pio X «per il gran bene fatto ai nostri italiani», con l’invito a raggiungerlo a Roma perché il papa possa «far tesoro dei suoi consigli».2 Prima dell’udienza dal papa, Scalabrini compila un promemoria con i temi da presentare all’attenzione di Pio X. Fra i molti temi dell’emigrazione italiana, vi trovano spazio anche le opinioni raccolte fra «gli Indios, colloquio col chef del Paranà: “La Chiesa ci ha abbandonati”» e l’urgenza di «provvedere all’evangelizzazione degli Indios dopo 300 anni di cattolicesimo».
L’udienza con Pio X si concretizza il 3 febbraio 1905. Nel sottoporre all’approvazione del papa il programma della celebrazione del secondo Congresso catechistico nazionale, previsto a Piacenza per quello stesso autunno, Scalabrini non manca di ribadire la necessità di riprendere il cammino interrotto con i nativi brasiliani, da tempo «abbandonati anche dalla Chiesa».
In effetti, durante il viaggio in Brasile, Scalabrini era rimasto impressionato dallo stato di incuria pastorale in cui si versavano i nativi del Tibagi, nello Stato del Paranà. Nel colloquio con il papa, Scalabrini sottolinea questo problema e accetta l’invito di Pio X di interessarsi a loro. L’impegno diviene un affare ecclesiale.
«Ho parlato in favore degli Indios al Santo Padre – spiega Scalabrini – che si commosse e ordinò tosto al Cardinale Segretario di Stato di scrivere ai Padri Cappuccini di Rio Grande e ai Minori di Santa Catterina [sic] essere suo desiderio, anzi volere, che dessero mano alla conversione dei selvaggi. Così restò stabilito: Rio Grande per i Cappuccini, Santa Catterina per i Minori, Paranà per i Missionari di San Carlo, San Paulo per Cappuccini».3
Se è evidente, da un lato, l’approccio ormai superato a quelli che al tempo erano ancora detti «selvaggi», lo è anche, dall’altro, la moderna e per nulla affatto scontata sensibilità per le loro sorti. Tanto che qualcuno, inevitabilmente, storce il naso di fronte all’associazione fra emigrati italiani e nativi brasiliani.
Già nelle Costituzioni del 1948 si precisava: «se, nel disimpegno della missione a favore degli emigrati italiani, altri fedeli richiederanno l’opera del missionario scalabriniano, questi non tarderà a portarla con ogni carità». Ma non basta, se l’11 febbraio 1956 padre Francesco Prevedello, ottavo superiore della Congregazione scalabriniana, è chiamato ad affrontare nuovamente la questione, chiarendo essere un dovere di carità e di giustizia «svolgere il sacro ministero in favore di chi non è di origine italiana», tanto più dove fosse scarso il clero locale. Non è un caso che padre Prevedello porti l’esempio dei missionari inviati da Scalabrini in mezzo ai nativi del Tibagi. Senza contare che, in Brasile, non mancano vescovi disposti a concedere l’assistenza agli italiani solo a condizione che i missionari si assumano anche la cura pastorale dei nativi.4
E Giovanni Battista Scalabrini lascia il segno, se è vero che la figura di un suo missionario, padre Pietro Bandini, è connessa alla fondazione, nel 1898, della colonia italiana di Tontitown, in Arkansas: uno sguardo privilegiato sugli sviluppi religiosi e sociali che caratterizzano gli Stati Uniti tra XIX e XX secolo, dall’immigrazione di massa dall’Europa all’evangelizzazione dei nativi americani.5
Popoli autoctoni e custodia del creato
Sin da quando la questione indigena è tornata alla ribalta, nel corso degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, alla lotta per i diritti – e spesso per la sopravvivenza stessa – dei popoli autoctoni si è saldamente legata una seconda battaglia: quella in difesa dell’ambiente. L’impegno a favore della natura è soprattutto per i popoli autoctoni dell’America Latina un dibattito di pressante attualità: la discussione durante la COP26 di Glasgow e la sigla dell’Accordo di Escazù (2021) non sono che due dei più recenti sviluppi in materia.
Si tratta, sorprendentemente, di una prospettiva non del tutto estranea anche a Scalabrini. E non solo perché «emigrano i semi sulle ali dei venti, emigrano le piante da continente a continente portate dalle correnti delle acque, emigrano gli uccelli e gli animali, e, più di tutti, emigra l’uomo», secondo uno dei passaggi sociali e “naturalistici” più celebri del suo ministero a favore degli emigranti.
Molto di più, nel 1901, il celebre discorso al Catholic Club di New York testimonia la visione profetica di Scalabrini, capace di ricongiungere promozione umana, custodia del creato e prospettiva di fede.
«Mentre il mondo si agita abbagliato dal suo progresso – dice Scalabrini –, mentre l’uomo si esalta delle sue conquiste sulla materia e comanda da padrone alla natura sviscerando il suolo, soggiogando la folgore, confondendo le acque degli oceani con il taglio degli istmi, sopprimendo le distanze; mentre i popoli cadono, risorgono, e si rinnovellano; mentre le razze si mescolano, si estendono e si confondono; attraverso il rumore delle nostre macchine, al di sopra di questo lavorio febbrile, di tutte queste opere gigantesche e non senza di loro, si va maturando quaggiù un’opera ben più vasta, ben più nobile, ben più sublime: l’unione in Dio per Gesù Cristo di tutti gli uomini di buon volere».6
Per «fare patria dell’uomo il mondo», senza per questo estirparne le radici.
- Pubblicato sul blog dell’autore, Caffèstoria.it, il 20 settembre 2022.
1. Cf. P. Livio Bordin cs (direttore dei Missionari di Emigrazione della Francia), “Un aspetto curioso di monsignor Scalabrini, l’incontro con gli indios. Domani verrà beatificato dal Papa”, Il Cittadino, 8 novembre 1997.
2. P. Giovanni Terragni cs, Scalabrini e la Congregazione dei Missionari per gli emigrati. Aspetti istituzionali. 1887-1905, Autorinediti, Napoli,2014, pp. 185-186.
3. Mons. Giovanni Battista Scalabrini, Lettera a Simeoni, Piacenza, 27 marzo 1905, AGS/AN 01-05-17.
4. P. Mario Francesconi cs (a cura), Storia della congregazione scalabriniana, vol. VI (dal 1941 al 1978), Centro Studi Emigrazione, Roma, 1982, pp. 29-30.
5. Cf. Edward C. Stibili, Pietro Bandini: missionary, social worker and colonizer. 1852-1917, Center for Migration Studies, New York 2003.
6. Mons. Giovanni Battista Scalabrini, Discorso al Catholic Club, New York, 15 ottobre 1901, The Italian Herald, 24 ottobre 1901.