Francesco Cosentino trae una lezione ancora valida per i cattolici dal profilo di Aldo Moro, ucciso il 9 maggio del 1978 dalle Brigate Rosse. Lo pubblichiamo nel 40° della morte per fare memoria dello statista democristiano. La riflessione si aggiunge a quella firmata da Domenico Rosati (La DC durante e dopo Moro), apparsa su Settimana News il 1° maggio.
«La storia sarebbe estremamente deludente e scoraggiante, se non fosse riscattata dall’annuncio, sempre presente, della salvezza e della speranza». In un articolo apparso su Il Giorno, del 10 aprile 1977, il presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, commentava così il giorno della Pasqua. Giorno di redenzione dell’uomo – scriveva – che è anche il fine ultimo di ciascuno e degli sforzi, ancora limitati, della politica.
Un anno dopo, in quella fosca compagine degli anni di piombo che insanguinarono l’Italia, si fece vicino per lui il giorno della Pasqua di Risurrezione. Un incontro con quel Dio, che egli aveva cercato sempre con onestà, aveva pregato ogni giorno a messa, aveva incontrato nella parola di Dio e, soprattutto, aveva servito in un impegno politico intelligente, generoso e onesto per l’Italia.
Uomo, politico, credente
Un uomo e un politico raro. Straordinariamente immerso nella realtà sociale e politica italiana, che riusciva a interpretare con grande spessore, era anche incredibilmente tenace nel perseguire l’utopia della costruzione di una speranza nuova per l’Italia. E, verace e appassionato, lavorava giorno e notte per realizzare quel sogno che, alla fine, era il cuore della politica: «Governare – disse in una relazione al Partito del 1973 – significa fare tante singole cose importanti ed attese, ma nel profondo vuol dire promuovere una nuova condizione umana».
Si coglie qui la sua formazione umanistica e politica, ma soprattutto la sua radicata spiritualità cristiana, alimentata dal pensiero di autori come Mounier e Maritain e dalla spinta post-conciliare, che ne fecero un politico sempre più convinto di un nuovo ruolo del laico nella società civile, dell’importanza di una plurale alternanza tra cattolicesimo e socialismo, di una nuova concezione dello Stato. Cresciuta e maturata nell’associazionismo cattolico, la sua fede lo apriva a una concezione laica dello Stato e della politica, smentendo i paradigmi ancora oggi esistenti, di matrice conservatrice e fondamentalista, di un cristianesimo politicizzato in vista della conquista del proprio spazio.
Un pensiero «carico di futuro» e un’occasione perduta
Troppo avanti, troppo oltre, troppo scomodo. Egli vedeva nel «compromesso storico» l’unica occasione, per questo nostro Paese, di superare il clima della «guerra fredda» e di perseguire quella necessaria inclusione civile, che avrebbe potuto realizzare una società moderna e solidale.
Ciò che era in gioco, per il pensiero «visionario» di questo statista, era il nuovo ruolo dell’Italia in un’Europa che aveva necessita di superare le guerre ideologiche e di rifondarsi nel solco di una pacificazione capace di inaugurare un nuovo modo di concepire la politica, avvalendosi della teoria democratica delle alternanze e della non contrapposizione.
Ucciso Aldo Moro – o, per meglio dire, eliminato dal sistema – la democrazia italiana e la vita politica di questo Paese si sono certamente impoverite. In esso, sono andate scemando fino a scomparire le visioni di pensiero capaci di contenere progetti e futuro e, lentamente, si è arrivati alla spettacolarizzazione da talk show, all’imbarbarimento del linguaggio, all’egocentrismo di leader avidi di potere e rapiti dal fascino del varietà televisivo.
Un’occasione persa che, come la storia successiva insegna, non si è mai più ripresentata e ha generato una politica priva di pacate riflessione, incapace di leggere gli eventi e i mutamenti della società, povera di un linguaggio attento e competente, incline ai personalismi esasperati e ai leaderismi messianici.
Una lezione valida ancora oggi
Ancora oggi, è la sua visione politica ispirata dalla fede cristiana la vera e grande lezione che rimane. Quella fede maturata nella FUCI, quell’amicizia con Paolo VI, quell’intrattenimento con la spiritualità dossettiana, e tutto ciò che, a partire dalla visione integrale di uomo e di società del Vangelo, lo spinse a immaginare la costruzione di un nuovo umanesimo sociale e cristiano.
Dalle sue lettere, dalle lezioni all’Università e da molti suoi discorsi politici pubblici, si evince che sopra ogni cosa vi era per quest’uomo una rigorosa accoglienza degli insegnamenti della Chiesa, che sapeva tradurre in un impegno laico concreto, senza mai scadere nel fanatismo, nell’esaltazione, nella retorica e nello spirito da crociata.
«Un uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico», lo definì Paolo VI durante i funerali. Ma anche un cristiano che ha interpretato l’azione politica come traduzione concreta di quella dottrina sociale della Chiesa che, essendo attenta ai bisogni dei più deboli e alle questioni inerenti la giustizia tra le classi sociali, lo conduceva a dialogare senza problemi con l’altra parte politica. Aveva, cioè, quella capacità di essere «ponte», a cui oggi spesso ci invita papa Francesco, che manca allo spirito contrappositivo dell’urlata politica di oggi, anche di quella che si fregia del nome cristiano.
Rapito dalle Brigate Rosse il 16 marzo del 1978, in Via Fani, Aldo Moro chiese anche ai brigatisti una Bibbia. Il 9 maggio successivo fu ucciso. E con lui, il sogno di un’Italia diversa e migliore.
E, però, la sua lezione rimane. Incalza i credenti che hanno sposato troppo i valori di certa borghesia e scaraventa giù dal divano quelli che pensano alla fede come una faccenda da consumarsi solo nel perimetro del tempio o della sagrestia. Sollecita il cattolicesimo italiano a ritrovarsi anche negli spazi pubblici, civici e politici, non per esibire una prova di forza, ma per contribuire al bene comune. Provoca i cattolici italiani a creare nuovamente spazi di confronto e movimenti di opinione, che possano almeno ricollegare i fili spezzati e unire le forze, per ricominciare a pensare insieme i grandi temi. Obbliga tutti a seguire l’imperativo di Papa Francesco, per il quale «Nessuno di noi può dire: “Ma io non c’entro in questo, loro governano… il cristiano deve fare politica!”».
Se anche qualcuno ha pensato come Caifa pensò su Gesù e cioè che «è meglio che un solo uomo muoia per tutti», sacrificandolo a un’ingiusta ragione di Stato, è altrettanto vero che la lezione di Aldo Moro è ancora oggi un faro di speranza. Ciascuno, e soprattutto i cattolici politicamente impegnati, potrebbero trarne ancora vantaggio.